Intervista al “Trionfo della Morte” di Palermo – 1^ parte

Un affresco anonimo di epoca tardo medievale
Uno dei molteplici “Sicilian Secrets” che la Sicilia custodisce gelosamente

Sfogliare la propria tesi di laurea fa riaffiorare tanti ricordi…. La memoria torna indietro all’ingresso in una biblioteca comunale nelle zone di Via Maqueda a Palermo, un ambiente scuro e cupo, quasi misterioso, per chiedere di poter visionare un manoscritto del 1500/1600. Ad accogliermi, un signore dall’aria simpatica e strana allo stesso tempo, che dopo aver effettuato una verifica mi comunica di non aver trovato quanto richiesto.
“E quindi? – domandai – Non c’è al momento, ma quando posso trovarlo?”
La risposta, con accento marcatamente palermitano, fu: “No signorina, il manoscritto si è disintegrato nel nulla, insomma non c’è.”

Le mie ricerche comunque andarono avanti, per oltre un anno, da Roma a Pisa, da Bologna a Napoli, da Torino e Palermo. E proprio girovagare per Palermo, tra biblioteche, archivi e musei, mi ha regalato una ventata di sensazioni ed emozioni forti, spesso bizzarre, umane, perché quel colore che la città mostra nelle sue strade e nei vicoli a volte ha ombre in angoli interni, nascosti, e ti stupisce con l’imprevisto che scatena la tua curiosità.
Stiamo per incontrare una grande opera d’arte di cui non si conosce l’autore, non si conosce la data esatta, non si conosce il committente, non si hanno documenti antichi; un unicum eccezionale inserito nella corrente del gotico internazionale.

Ma è l’Opera stssa a rappresentare la più grande fonte documentaria, nonostante la sua lettura sia talmente ricca di complessità e contraddizioni da lasciare libera ogni interpretazione, togliere le catene all’immaginazione e farsi disorientare da componenti tanto disparate ma in perfetta unione tanto da renderla bellissima.e

Ma adesso è con l’affresco che vogliamo parlare, in una intervista che abbiamo deciso di dividere  in più parti perché ha tante cose da raccontarci

– Qual è il contesto che ti ha fatto nascere?

AFFRESCO : Era il tardo Medioevo. L’Italia da nord a sud, nel periodo che indicativamente possiamo collocare tra la metà del XIII secolo e la metà del XV, era un campo scatenato di lotte politiche e di anarchia sociale; un vasto fenomeno di portata europea irruppe nella vita delle persone, la peste; numerosissime erano le carestie e la mortalità infantile raggiunse livelli altissimi. Furono avvertite pertanto delle trasformazioni nei modi di percepire la morte che andarono a costituire l’espressione di una sensibilità nuova. Tutto ciò aiutò a sviluppare nella coscienza collettiva un nuovo sentimento sulla finitezza dell’uomo che diventò il cardine, non solo della vita spirituale, ma anche di quella laica. Il pensiero dell’aldilà non fu certo messo in dubbio, ma diventò meno impellente di quello della vita terrena e dell’impiego umano del tempo.
Si era diffusa una vasta letteratura sul tema della morte: prose, poesie, trattati e bibbie, veicoli sia dello spirito umanistico, sia della visione monastica.
Quindi la Morte al centro della vita morale e della riflessione più intima degli uomini. Tutto ciò si tradusse in una smania del macabro che sollecitò un gusto particolare in Italia e oltralpe dove alla ricchissima fioritura letteraria si accompagnò un fervido sviluppo figurativo sull’iconografia della morte che si può tradurre in tre parabole: Incontro dei tre vivi e dei tre morti, Danza macabra, Personificazione della morte.
In Italia è l’ultima parabola a prendere il sopravvento e l’influsso di poeti come Boccaccio, e ancor di più Petrarca, fu molto grande. La denominazione data a queste rappresentazioni deriva proprio dal successo e dalla diffusione che nel XV secolo ebbero i Trionfi petrarcheschi.
Gli artisti riuscirono a personificare questa forza negativa e distruttrice e allora eccomi qua.        Ecco dove mi inserisco, dopo il grande Trionfo della Morte di Pisa e altri esempi come a Lucignano, a Siena, a Subiaco, arrivo io qui a Palermo.
Sono un affresco e ormai non c’è dubbio, mi hanno analizzato abbastanza; sono molto grande, ricca di tantissimi elementi, ma la prima cosa che notano guardandomi è ovviamente la dea mors al centro di me, la regina del mondo, violenta e cattiva esercita il suo terribile ministero muovendosi autonomamente e per far capire agli uomini che davanti a Lei sono tutti uguali; prende tutti prima o poi, e tutti si dovranno rassegnare a lasciare i loro beni terreni.
Hanno detto di me che sono un memento mori.

– Che vuol dire?

AFFRESCO :Ricordati che devi morire!

– Ma durante i secoli dove sei stata?

AFFRESCO: Sono stata creata per un ospedale, sembra strano oggi, ma non per quei tempi per i motivi che vi ho già detto. Era l’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo la cui sede era a Palazzo Sclafani. I miei artefici decisero di inserirmi in una delle pareti del cortile interno, insieme a me c’era un Giudizio Universale attribuito ad un certo Crescenzio ed eseguito intorno al 1440, un Paradiso e un Purgatorio del 1634 attribuiti al famoso Pietro Novelli. C’era anche un altare in marmo con una pala lignea raffigurante la Pentecoste di Wobreck e le immagini delle cinque sante protettrici di Palermo. Per circa cinque secoli rimasi lì, ma con i bombardamenti della seconda guerra mondiale nel 1943 la mia vita fu seriamente messa a rischio: la copertura a volta sopra la mia parete crollò e mi trovai esposta alle intemperie e ricoperta di macerie per un anno, quando decisero finalmente di trasferirmi in un’altra sede.
Il mio intonaco cominciava a staccarsi e per portarmi nella nuova sede ne ho viste di tutti i colori. Considerate le mie dimensioni, una superficie di 43 metri quadrati per un altezza di 6 metri e una larghezza di 6 metri e mezzo, mi hanno dovuto dividere in sei parti e “strapparmi” da quella parete. Sulla mia bellissima e delicatissima superficie pittorica a scopo protettivo mi hanno messo di tutto e di più: diversi strati di tela e carta amalgamati con colla, farina di frumento, farina di lino e gesso; non sto a raccontarvi ciò che combinarono nel mio retro per poi rifarmi un nuovo supporto e trasferirmi nella Sala delle Lapidi del Palazzo Pretorio di Palermo dove rimasi per nove anni. Fortunatamente però non ho mai abbandonato Palermo e credetemi non ne ho intenzione.
Nel 1953 mi trovarono un’altra sede, Palazzo Abatellis, dove tutt’ora mi trovo.                              Un meraviglioso Palazzo, esempio di architettura gotico-catalana opera dell’architetto siciliano Matteo Carnalivari. In questo luogo, dove il tempo pare essersi fermato, decisero di costituire la Galleria Nazionale della Sicilia e quell’anno iniziarono i lavori espositivi e museali avvalendosi della collaborazione del famoso architetto veneziano Carlo Scarpa che studiò accuratamente il miglior posto dove collocarmi: nella sala II, un tempo una cappella.

CONTINUA…

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