Il cunto siciliano, ossia l’epica siciliana che continua a incantare
Immaginate una piazza siciliana al calar del sole, il vociare che piano si smorza e un uomo che si erge al centro. Ha uno sguardo intenso, gesti calibrati e una voce che sembra scolpire le parole nell’aria. Quell’uomo è un ‘cuntista’, un narratore che con il cunto siciliano trasforma la storia in magia. Ma il cunto non è solo un racconto: è un’arte antica, una tradizione che intreccia parole, ritmo, mimica e cuore. Sicilian Secrets vi trasporta in questo mondo fatto di parole ed emozioni.
La parola cuntu è un termine dialettale siciliano che significa racconto, ma il cunto siciliano è molto più di una semplice narrazione. Esso incarna una forma d’arte antica e complessa, che unisce parole, ritmo, gestualità e mimica. Il cuntista, infatti, non si limita a raccontare storie: egli le interpreta, dando vita a personaggi epico-cavallereschi attraverso una scansione metrica precisa, movimenti del corpo e una mimica facciale che definiscono ogni figura. Questa tradizione affonda le sue radici nella passione popolare per i paladini del ciclo carolingio, eroi che hanno affascinato generazioni di siciliani.
Si narra che proprio tale passione abbia ispirato anche la nascita dell’arte dei pupi, un altro caposaldo della cultura siciliana. Secondo lo studioso Di Palma, “il cunto è prima di tutto un elemento del vasto affresco della cultura popolare siciliana e, se costituisce anche una sopravvivenza del mondo medievale, non fa che arricchire lo spessore della tradizione”. Questo lo rende un ponte tra passato e presente, un simbolo della continuità culturale.
Le origini antiche del cunto
Le origini del cunto siciliano risalgono al Medioevo, sebbene siano difficili da ricostruire con precisione a causa delle scarse testimonianze scritte. Adolf Gaspary, nel suo studio sulla letteratura italiana dell’800, descrive i cuntastorie come narratori che intrattenevano il popolo nelle strade e nelle piazze con storie epico-cavalleresche, utilizzando una modulazione della voce simile al recitativo. Sebbene i cuntastorie siciliani abbiano mantenuto viva questa tradizione fino ai giorni nostri, già nel XIV e XV secolo erano figure centrali nella diffusione delle storie epiche, come testimoniano fonti frammentarie e cronache locali. Paolo Toschi, nella sua Fenomenologia del canto popolare, collega i cuntisti ai giullari e cantori di gesta del Medioevo, sottolineandone il ruolo fondamentale nelle piazze e nelle corti italiane. In Sicilia, come altrove, queste figure erano presenti nei mercati, nelle fiere e persino in contesti addirittura più prestigiosi.
L’evoluzione del cunto tra il XVIII e il XIX secolo
Secondo Di Palma, la tradizione del cunto siciliano si consolida tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, anche se è probabile che le sue radici affondino in secoli ancora più remoti. Nel XIX secolo, il cunto vive un periodo di grande vitalità: Giuseppe Pitrè, celebre etnologo siciliano, documenta la presenza di circa quaranta cuntisti professionisti attivi in tutta l’isola, con diciotto concentrati solo a Palermo. In questo periodo, i cuntisti iniziano a differenziarsi tra professionisti e dilettanti, una distinzione che avrebbe influenzato la percezione e la pratica del cunto nei decenni successivi.
Con l’avvento dell’alfabetizzazione e la diffusione dei libri, il repertorio dei cuntisti si arricchisce di nuove storie, come quelle del brigante Musolino o dei Beati Paoli. Tuttavia, questa evoluzione provoca una frattura tra la tradizione epico-cavalleresca e le nuove narrazioni, generando tensioni tra i cuntisti e i pupari, che vedevano nei nuovi narratori dilettanti una minaccia alla purezza della tradizione.
Ramon e la rinascita del cunto
Una figura emblematica nella storia recente del cunto siciliano è quella di Ramon, un giovane che apprese l’arte del cunto durante un periodo di detenzione all’Ucciardone all’inizio del Novecento. Analfabeta, ma dotato di grande memoria e intuizione, Ramon combinò le conoscenze acquisite in prigione con le storie apprese dai calzolai palermitani, autentiche biblioteche viventi di racconti popolari. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Ramon divenne un punto di riferimento per il cunto siciliano, trasmettendo il suo sapere a un pubblico variegato e a futuri maestri come Celano, il quale considerò Ramon come il vero e unico continuatore della tradizione orale.
Mimmo Cuticchio: il maestro contemporaneo
Con la morte di Celano, fu Mimmo Cuticchio a raccogliere l’eredità del cunto, trasformandolo da mestiere di strada a vera e propria arte scenica. Cuticchio ha saputo fondere il mondo dei pupari con quello dei cuntastorie, portando il cunto siciliano nei teatri e innovandone le tecniche. Uno degli elementi distintivi del suo stile è l’uso della spada come oggetto scenico, strumento di concentrazione e simbolo della tradizione cavalleresca. Cuticchio ha anche eliminato alcuni elementi della pratica tradizionale, come la cantilena e il rallentamento, preferendo una narrazione più fluida e dinamica, capace di catturare il pubblico contemporaneo.
Tra le sue rappresentazioni più note spiccano le rielaborazioni di grandi poemi epici, come l’Orlando Furioso, che Cuticchio racconta con una freschezza capace di affascinare tanto il pubblico locale quanto quello internazionale. Il suo contributo non si limita alla scena, ma si estende anche alla formazione: molti giovani cuntisti hanno appreso i segreti di quest’arte nei laboratori e nelle scuole fondate dal maestro, contribuendo così a mantenerla viva.
Il cunto oggi: tradizione e innovazione
Oggi, l’arte del cunto siciliano continua a evolversi grazie a interpreti come Salvo Piparo, Gaetano Lo Monaco e altri, che combinano tecniche tradizionali con elementi moderni. Piparo, per esempio, vede nel cunto non solo una tecnica declamatoria, ma un’espressione profonda e personale, radicata nella memoria e nell’improvvisazione. “Il cunto è qualcosa che tieni sottopelle”, afferma Piparo. “Non è solo tecnica, ma l’esigenza di raccontare una storia che nasce da sola, dalle mani, dagli occhi, dal respiro”. Questa visione sottolinea la natura unica del cunto siciliano, che non può essere standardizzato o imitato. Ogni cuntista deve trovare il proprio stile, rispettando la tradizione ma lasciando spazio all’individualità. La metrica, spesso considerata l’essenza del cunto, non è che uno dei suoi tanti elementi. “La metrica nasce dall’istinto narrativo”, spiega Piparo. “Se la stabilisci a priori, ammazzi il cunto”.
Una tradizione destinata a durare?
Il futuro del cunto siciliano è incerto. Tuttavia, l’arte del cunto ha dimostrato una straordinaria capacità di adattamento nel corso dei secoli, e nuovi interpreti continuano a emergere, sperimentando e rinnovando questa forma di narrazione. Un esempio recente di innovazione è l’uso del cunto in contesti educativi e turistici. Alcuni cuntisti contemporanei organizzano laboratori nelle scuole siciliane per avvicinare i più giovani a questa tradizione, mentre altri collaborano con guide turistiche per offrire un’esperienza culturale immersiva ai visitatori dell’isola. Questa apertura verso nuovi contesti dimostra che il cunto non è solo una forma d’arte, ma un mezzo versatile per trasmettere emozioni e valori.
Come diceva Luigi Burruano: “Senza collare”. Il cunto è libertà creativa, passione che si fa parola, una tradizione che vive e cambia volto, mantenendo vivo lo spirito della Sicilia e dei suoi antichi narratori. Che sia nei teatri o nelle strade, il cunto siciliano continua a raccontare storie, collegando passato e presente, e lasciando ai posteri l’ardua sentenza sul suo destino.