A Tu per Tu con la…STORIA!
Cronaca di una visita nei luoghi in cui fu firmato l’armistizio di Cassibile che, di fatto, sancì la fine della Seconda Guerra Mondiale
Un giorno qualsiasi del mese di novembre di questo 2015.
E’ tarda mattinata ed io e Salvo Zappalà, patron di Sicilian Secrets, siamo ampiamente in anticipo rispetto all’orario concordato per la visita al luogo in cui fu firmato l’armistizio di Cassibile: quello reale, non quello dove – fino agli anni ’80 – si pensava erroneamente fosse stata firmata quella resa incondizionata dell’Italia agli Alleati che pose, di fatto, fine al Secondo conflitto mondiale.
Abbiamo appuntamento con la baronessa Liliana Sinatra Grande, in quel castello San Michele nelle cui campagne…a circa 3 km da Siracusa… furono issate le tende del quartier generale americano e che, attualmente, è di proprietà del fratello Mario.
E fu, proprio, sotto la tenda adibita a mensa che, quel 3 settembre del ’43, alle ore 17.15 esatte, il generale Giuseppe Castellano, facente le veci del Maresciallo Badoglio per lo Stato italiano, e il generale Walter Bedell Smith per le forze armate alleate, firmarono quello che passerà alla storia come l’Armistizio “corto”.
La giornata, luminosa e calda, ci invoglia a fare un giro tra le strade bianche di Cassibile…soprattutto, tra le viuzze della parte vecchia di questo che sapremo essere un quartiere…una circoscrizione… della città aretusea e non già un comune a sè stante come, erroneamente, pensavamo e che si offre ai nostri occhi con quel trionfo di pietra bianca, porosa e luminosa, cifra di tutta la città di Siracusa e della sua provincia.
Scopriamo che qui vive ancora, ultranovantenne come fosse un signore feudale, l’attuale Marchese di Cassibile…al secolo Loffredo Gutkowsky. E’ Lui che, in un nano secondo, diventa oggetto delle mie ossessioni e sarà sempre Lui, mi auguro, il prossimo personaggio da intervistare, da raccontare. Sempre che Lui acconsenta…naturalmente. Le notizie, fornitemi dai più, sono confortanti e mi parlano di un uomo che ami raccontare e raccontarsi e pertanto, a questa speranza, mi attacco con tutte le mie forze.
Comunque sia, dopo un girovagare che ci catapulta in quei luoghi che un giorno di tanti anni fa divennero luogo di incontro e di integrazione tra vinti e vincitori, raggiungiamo il centro e ci sediamo in un bar gestito da una signora gentilissima che, a dispetto dell’aspetto dell’età che palesa, ci da informazioni dettagliate aiutandosi, per colmare alcune lacune, con un i phone di ultima generazione.
Con la partecipazione tipica del popolo siciliano, inoltre, comincia a chiamare chiunque, al di sopra dei 70 anni, passi da lì ed è così che, in men che non si dica, ci troviamo a dividere il nostro caffè, con una moltitudine di persone che ha voglia di raccontare, di regalare un personale ricordo di quei giorni.
Uno tra tutti cattura la mia attenzione e lo fa per la sua capacità di farci “vedere”…come fossimo comodamente seduti davanti ad uno schermo cinematografico… il giorno dello sbarco del luglio del ’43…un paio di mesi prima, pertanto, dalla firma dell’armistizio: Lui è Alfio…gagliardo ultraottantenne.
Le immagini di quel giorno scorrono nell’azzurro senza confini dei suoi occhi come fossero delle diapositive in sequenza. Un click e si cambia immagine. Mi pare di vederle tutte quelle navi, in assetto da guerra, che guadagnano la spiaggia di “Fontane bianche” sovrastate da grandi palloni aerostatici, escamotage usato dagli Alleati per rendere difficile la vita al nemico e, quindi, diminuire la possibilità per l’aviazione tedesca di scendere a bassa quota e centrare l’obiettivo.
L’infanzia di Alfio ha negli occhi lo stupore e la gioia di quelle immagini. Il suo sguardo di bambino si perde in quella visione e nel mistero di quel lenzuolo bianco appeso alla porta d’ingresso della casa della nonna. In segno di resa…questo lo capirà dopo.
La sua infanzia ha il sapore della carne in scatola…del cioccolato e delle caramelle venute da una terra lontana, l’America e di cui quei soldati, appena sbarcati, sono stati generosi con la popolazione fiaccata da anni di guerra e di fame.
Mi pare di vederlo ‘sto benedetto sbarco e, come fossi un novello Tornatore, ricorro all’effetto “dissolvenza” e mi ritrovo catapultata nei ricordi di mia mamma alle prese con i miei tre fratelli più grandi. Mi pare di udirlo il suo incitamento, sfollata a Belpasso…in provincia di Catania, a non affacciarsi alla finestra per paura…dato i colori ed i tratti svevi dei miei fratelli…di poter essere scambiati per tedeschi e diventare, loro malgrado, oggetto di rappresaglia.
Tra un ricordo ed un altro, tra una chiacchiera ed un’altra…si fa l’ora di andare.
Salutiamo grati e ci avviamo.
Destinazione Santa Teresa Longarini che si trova sulla strada che da Cassibile porta a Siracusa. E’ lì, al centro di un podere coltivato a carciofi che fanno bella mostra di sé, lungo il viale di accesso, come fossero sentinelle della Storia, che si trova la Villa Fortezza San Michele…circondata da svariati ettari di terreno, un tempo coltivati ad uliveto ed oggi trasformati in aranceti ed in altre svariate coltivazioni…ed è sempre lì, dicevo, che il generale Eisenhower decise di posizionare il proprio quartier generale. Forse per la posizione strategica che qui ravvide risalendo, con le truppe da Gela. Forse. O forse per altri motivi che, neppure l’attuale proprietario, saprà spiegarci con certezza.
Si tratta di una masseria fortificata coeva del Palazzo: uno dei più antichi nuclei di organizzazione del territorio siracusano” ci racconta la baronessa Sinatra Grande e, prodiga di notizie, ci racconta essere il maniero appartenente alla famiglia da generazioni ma che, esso…però, agli inizi del secolo XVIII era di proprietà del barone Scipione Arezzo della Targia.
Nel 1718 – continua – passò, con regolare atto di vendita, nella disponibilità di Paolo La Ferla ed in seguito…nel 1798, estintasi la famiglia per mancanza di prole maschile, passare nella proprietà dei De Leva di Modica tramite le nozze di Giovanna La Ferla con Carmelo Di Leva.
La lontananza del fondo dalla residenza dei proprietari, la scarsa manutenzione delle vigne, allora principale fonte di reddito e le tante soggiogazioni cui il territorio era sottoposto, crearono gravi problemi ai due coniugi tanto da convincerli a concedere i terreni in gabella il che, con il tempo, però si dimostrò non sufficiente a rendere la terra fonte di reddito.
Dato che trattavasi di un bene inalienabile, la De Leva supplicò – aggiunge la baronessa – Sua Maestà Reale di accordarle la facoltà di concedere San Michele, con un contratto di censo perpetuo, al sacerdote Don Salvatore Grande di Avola.
Fu così che la proprietà, nel 1818 e per un canone annuale di 200 onze, fu data in locazione al religioso.
Da lì, l’attuale proprietà dell’intero apparato rurale passata al fratello della baronessa Sinatra Grande, dalla nonna Aline ed è dalla loro mamma, Coraly, che prende nome la Casa vacanze “Donna Coraly Resort” che, spesso è meta di tanti stranieri attirati dalla bellezza della nostra isola ma anche dalla suggestione che lega quei luogo al 3 settembre del 43.
E’ qui infatti che, contrariamente a quanto si sapeva fino agli anni 80, che venne firmato l’armistizio e non già sul terreno della Marchesa di Cassibile, in prossimità di un passaggio a livello in Contrada Gallina.
Proprio nel terreno, un tempo coltivato ad ulivi, che la baronessa – nel suo giro attraverso la magnificenza delle stanze – ci fa vedere dal terrazzo da cui si gode una vista mozzafiato.
Una fortezza, quella di San Michele, che ha subito varie sistemazioni ed è per questo che, accanto alla villa ed alla chiesetta, che è possibile datare intorno al 1622, si notano altri “corpi” (abitazione custode, magazzini, recinti per cavalli…) che appartengono, invece, ad un’epoca datata intorno al 1884. Il contrasto, tra le diverse architetture, offre uno spettacolo di grande appeal ed è per questo che il sito, ci conferma la baronessa, è visitato da svariati turisti provenienti da ogni dove.
Oggi, quello che era una fortezza in cui tutti i contadini del circondario potevano trovare rifugio, si è trasformata in un’azienda moderna sia da un punto di vista turistico che agricolo con più complesse coltivazioni rispetto a quelle originarie, come si diceva.
Non appena arriviamo, accolti con piglio sicuro dalla baronessa…è lei stessa che comincia a raccontarci come, in quel tratto di corte di cui calpestiamo l’attuale ghiaia, fosse solito passeggiare il generale inglese Mongtomery e a me viene quasi voglia di abbandonare il mio peso specifico per paura di calpestare la Storia che, lì…su quel terreno, si è svolta.
Mi fa specie pensare che quello che vedo…che l’aria che respiro… siano le stesse di coloro che della Storia sono stati protagonisti e non semplici inquilini.
Da lì, la raffica di domande che comincio a porre non sempre avendone risposte esaustive, però…dal momento che la trasmissione orale degli avvenimenti non è stata praticata con curiosa voracità.
Di fronte alla mia malcelata delusione, la baronessa si schermisce attribuendo certe lacune al fatto che i nonni, proprietari ai tempi dell’armistizio, in quel periodo vivessero la grave perdita di un figlio e che la cosa ebbe tale ricaduta sulle loro vite da trasformarli in soggetti silenti ed anche un po’ apatici.
Iniziamo il giro del castello e ci imbattiamo un ambiente che pare si sia cristallizzato. Parlo degli spazi interni, in particolare.
Mi sembra che sfiorare le manopole di quella radio da cui Eisenhower ascoltava i bollettini di guerra mi catapulti in quei giorni, con quelle paure, ai tanti punti interrogativi sul futuro, pieno di incognite che, da lì a poco si sarebbe palesato…ho l’impressione che osservare la tavola della stanza da pranzo dove, anche se raramente, i generali alleati si riunivano a cena, mi faccia udire le loro voci…ascoltare i loro bisbigli, i loro segreti.
Il tavolo, quello su cui venne firmato l’armistizio e che cerco avidamente con lo sguardo, mi dice la baronessa, è nella casa di Siracusa. Me ne mostra una foto…vi si legge chiaramente la firma di Castellano, impressa e ben visibile. Si trattava – mi dice – di uno di quei tavoli su cui si poggiavano le cassette di arance…ha presente?. L’unica testimonianza, in quella casa, è affidata ad una foto che campeggia insieme ad un’onorificenza attribuita ad uno dei nonni che fu ambasciatore in alcuni paesi arabi e che reca la firma del Re d’Italia.
L’occasione ci catapulta nell’attuale situazione che vede contrapposti due mondi, a primo acchito inconciliabili e mi trovo a pensare che, forse, anche la diplomazia non sia più quella di una volta e che, oggi, non assolva al meglio alla propria funzione. La baronessa, al riguardo, mi parla di certi scritti, custoditi nella sua casa di Siracusa…Carte – mi assicura – di estrema attualità e che un giorno spero di dare alle stampe.
Baronessa…ai tempi dell’Armistizio, il castello era abitato da Suo nonni…è corretto?
Si, erano sfollati qui… provenienti da Siracusa.
Quali i ricordi che Le hanno trasmesso…
Ma guardi, io sono del ’43 e pertanto ero una bambinetta.
Non m’interessavano certe cose nè Loro, onestamente, amavano parlare di quel periodo.
Nel ’45 perdettero un figlio, a causa dell’epatite e da allora si chiusero in una sorta di mutismo. Con il tempo, ho cercato di documentarmi ma poche sono le notizie, se non quelle già note, che sono riuscita a mettere insieme. I contadini che vivevano qui, ai tempi, ormai sono tutti morti ma, comunque, ricordo che non raccontavano nulla di quel periodo. Il perchè non glielo saprei dire. Forse perchè non chiedevo di sapere? Forse!
Ma della stele che gli americani lasciarono, a testimonianza dell’avvenimento, Lei cosa ricorda?
Guardi, io la ricordo benissimo. Ero una bimbetta e spesso andavo a giocare in quella zona della nostra proprietà (oggi proprietà del Barone Magnano di San Lio) e quella stele in pietra la ricordo benissimo. C’era scritto “Armistice signed here sept.3.1943 Italy – Allies” Poi, successe che un nostro cugino, il giornalista Enrico De Bocard… per “fini patriottici”, disse… la trafugò e per questo fu anche processato.
Alcuni dissero che, lungo il tragitto, la stele cadde e si ruppe in mille pezzi e che, infine, venne gettata. Altri giurano che si trovi custodita da qualche parte…qui nel circondario. Onestamente, non ho un’idea in merito. So solo che l’ho vista, da bambina. Tutto qui.
Una tradizione orale che, in mancanza di documentazione, rischia di scomparire con il tempo…
Si, è vero. Tempo fa avevamo pensato a qualcosa che assomigliasse ad una Fondazione…ad un Centro studi. Ma fu una trentina d’anni fa, eh? Oggi, non avrebbe senso e poi la curiosità relativa a quel periodo non è la stessa di tempo fa. Quando capita di programmare qualche convegno, ad intervenire sono sempre gli stessi. Per lo più reduci di quel periodo o qualche ragazzo amante della storia. Per il resto, ripeto, l’entusiasmo per il valore storico del sito è scemato, purtroppo.
A volte, scrittori che trattano di quel periodo vengono a fare sopralluoghi come il giornalista Alfio Caruso che, sull’argomento, rimesta in continuazione o come quello scrittore inglese, di cui non ricordo il nome e che ogni estate soggiorna qui, nella Casa vacanze, per catturare suggestioni da trasferire nel libro e nel documentario che ha in cantiere, ormai, da dieci anni.
Facendo un pindarico volo temporale, dalla storia all’attuale destinazione d’uso della proprietà…
Ma in questo castello che aveTe trasformato in Casa vacanze, che tipo di turismo insiste?
Guardi, molti sono americani…inglesi…francesi…loro, sì, vengono attirati dal valore storico del sito. Gli altri, invece, chiedono di soggiornare qui per la bellezza della campagna circostante e per l’importanza del castello.
Basta un rapido colpo d’occhio per rendersi conto, aggiungo io, che questi turisti abbiano palato fine…la bellezza tourt court di quanto riesce a catturare il nostro sguardo vale bene un breve soggiorno. Qui, a Santa Teresa Longarini, si ha l’impressione che la bellezza la si possa toccare e goderne appieno.
Mentre la baronessa parla, sotto lo sguardo vigile degli antenati riprodotti nei quadri alle pareti, non posso fare a meno di passare la mano su quella tavola in cui molti, come dicevo, furono gli ufficiali che si ritrovarono a cena. Tanti alti ufficiali…ma mai Eisenhower! aggiunge la baronessa, spegnendo quel lampo di ingordigia che balena nei miei occhi.
Lui preferiva, mi raccontavano…non allontanarsi dal proprio quartier generale realizzato in una sorta di tendopoli nella campagna circostante. Luogo strategico a due passi dalla pista di atterraggio degli aerei, realizzata in contrada Cuba e a due passi dal porto, situato in zona “Fontane bianche”.
Toccare poi le manopole di quella vecchia radio, in cui campeggia l’effigie del cane con la scritta “La voce del padrone” mi catapulta in una dimensione surreale e mi mette in contatto con una delle pagine più drammatiche e discusse del secolo scorso…quella del Secondo conflitto mondiale che, in quei luoghi, ebbe fine.
Per alcuni, quell’Armistizio “corto”, che poi fu ratificato definitivamente l’8 settembre, rappresentò una pagina vergognosa per il nostro Paese e a ben leggere i passaggi del documento, resta il sapore agrodolce di qualcosa che, certamente, pose fine ad anni di guerra e di fame ma che, al contempo, fu una resa incondizionata da parte nostra…firmata obtorto collo con un ultimo punto lasciato alle decisioni degli alleati. Insomma, l’Italia fu costretta, per amore di pace, a firmare un documento in cui non si specificavano quelle che sarebbero state le ulteriori condizioni di carattere politico, economico e finanziario a cui avrebbe dovuto conformarsi in un momento successivo.
Insomma, firmò una sorta di cambiale in bianco ed è, per questo, che da alcuni quello fu definito il giorno della “vergogna”!
Baronessa…ha qualche aneddoto da regalare ai lettori di Sicilian Secrets?
Guardi, c’è l’episodio dell’aceto che fu servito per sbaglio ad una cena ma che registrò, tra i presenti, tanto gradimento da far esclamare loro “Very…very good!”
Per quello che ne sappia Lei, è vero che il generale Eisenhower, uscendo dalla tenda mensa in cui il generale Castellano e quello americano Smith avevano firmato l’armistizio, ebbe ad esclamare “Crooked affair” (“Sporco affare”)?
Si, questo si raccontava..ma forse è nato dalla fantasia di chi quell’armistizio lo visse come una resa incondizionata del nostro Paese. Un giorno da dimenticare, quello della vergogna! Non saprei, onestamente!
Mentre la baronessa parla, raggiungiamo l’esterno del castello, e guardando i colori del pomeriggio non posso non far caso che, pur considerando l’ora solare, quella è all’incirca la luce che si doveva vedere quel pomeriggio del 3 settembre…colori sfumati che dall’azzurro emigrano verso l’arancio/rosa del tramonto.
Alla nostra chiacchierata, ad un certo punto, si aggiunge l’ingegnere Mario Sinatra, fratello della baronessa ed attuale proprietario del castello. Anche Lui, purtroppo…come la sorella, all’oscuro di tutti quei ricordi ed aneddoti che, avidamente, vorrei conoscere
Guardi, la memoria dei fatti ci veniva dalla mamma Coraly, classe 1909, che però al tempo dell’armistizio viveva a Milano e che ne seppe dalla voce dei propri genitori e di chi, in questo castello, ha vissuto quei giorni. Tutte le interviste, in merito, le faceva Lei. Noi, onestamente, abbiamo avuto poco amore per la storia. L’abbiamo vissuta come un peso per la famiglia. Certo, con il senno di poi e nell’impossibilità di sapere altro dal momento che i protagonisti sono tutti morti, il rammarico resta.
Quando, con mia sorella, abbiamo cercato di convincere nostra madre a scrivere le sue memorie…era già troppo tardi e così siamo costretti ad affidarci alle notizie che anche lei ha.
Quale la sua posizione di fronte a quel 3 settembre del 43, ingegnere? Fu un crooked deals, per dirla all’Eisenhower o una pace reale ed onorevole?
Guardi. Io sono della scuola di pensiero che la vera vergogna per l’Italia non fu quel giorno ma l’essersi alleata con i Tedeschi. Certo, l’armistizio non fu onorevole per l’Italia…ma quando mai lo sono gli armistizi! Non c’è dubbio, però, che pose fine ad una guerra estenuante e sanguinosa. Fu l’ inizio di un processo di pace che ci fece uscire dall’incubo del fascismo e del nazismo… non oso pensare cosa sarebbe successo se quella guerra l’avessimo vinta noi insieme la Germania!
E’ arrivato il momento di andare…
Baronessa, un’ultima domanda. Gli alleati Vi lasciarono qualche segno di riconoscenza per la vostra ospitalità? Tanto più che, secondo quanto dice qualche storico, la scelta cadde su questa magione per via dei buoni rapporti della Vostra famiglia con la Corona inglese?
Guardi, nessun rapporto con la Corte inglese e che io sappia no… nessun segno tangibile di riconoscenza anche se una mia amica, studiosa di fatti del genere, mi dice che tra le innumerevoli carte che custodisco, qualche lettera di ringraziamento… quantomeno, dovrebbe esserci ma io onestamente non l’ho mai trovata. La scelta della nostra casa, oltre alle considerazioni fatte sopra, credo si basasse anche sul fatto che mia nonna Aline parlasse varie lingue, dal greco all’inglese… al francese, avendo vissuto al seguito del padre ambasciatore. Tutto qui, secondo noi.
Salutiamo e con Salvo saliamo in auto, ripercorrendo a ritroso la strada verso Catania…il silenzio, per tutto il tragitto, la farà da padrone.
Troppe le suggestioni e troppe le riflessioni che quella visita ha lasciato nel nostro animo…troppe e difficilmente condivisibili.
Bisogna visitarli quei posti, farsi catturare da quelle atmosfere ed è per questo che, qualora qualcuno avesse voglia di frequentare la Storia e soggiornarvi, basta visitare il link www.donnacoraly.it.
Servirà a fare un salto temporale che aiuti a capire il passato per meglio affrontare il futuro.
Un futuro senza guerre, si spera!
Alla prossima.
Silvia Ventimiglia – 15 dicembre 2015