Concorso letterario “Racconti di donne”

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E’ Maria Concetta Preta la vincitrice della prima edizione del concorso letterario “Racconti di donne”

Come preannunciato, il nostro blog – sempre attento a tutte le iniziative culturali organizzate nella nostra regione – ha deciso di pubblicare i primi tre elaborati, vincitori del suddetto concorso organizzato dall’Associazione culturale “AciGaia” con il patrocinio del Comune di Acireale.

A seguire, nelle prossime settimane…gli elaborati delle altre due scrittrici salite sul podio. A tutte le partecipanti, un grande plauso per la qualità proposta e l’augurio di future affermazioni!

 

LEGAME PERVERSO di Maria Concetta Preta

Mi sveglio, il mio orologio interiore ha suonato, o forse tu m’hai chiamato, piccolo abitatore del mio grembo. Era piacevole il sapore del sonno, ora mi piombano in testa come lame mille pensieri e la bocca si riempie di nausea.

Mi tocco la pancia, il rigonfiamento non è un sogno! Mi ricordo alcuni mesi fa, quando mi accorsi che mi vedevo diversa e che la cerniera-lampo dei jeans non si chiudeva più. Non avevo mia madre vicina per condividere quello che era il mio dolce segreto. Qua, tranne Luca, non ho nessuno.

Sono davanti allo specchio, grande e ovale. Guardo il mio corpo … quasi non mi riconosco! Non molto tempo fa era acerbo, virginale, teso come un virgulto. Ora, invece …

La scoperta di diventare madre mi lascia perplessa. L’istintivo moto di gioia è smorzato dal pensiero della mia triste situazione, mentre nasce in me la paura che un figlio aggraverà lo stato del mio matrimonio, se così si può chiamare il ménage che vivo con Luca. Voglio essere ottimista e sperare che, man mano che inizierò a lievitare e che la pancia si gonfierà, la mia mente si alleggerirà e, gettata la zavorra delle cupe idee, prenderò a galleggiare in un cielo finalmente terso. Io e il mio piccino: un cerchio magico in cui si racchiude un’entità perfetta.

Sono incinta!

Finalmente Luca non mi si avvicina più, non mi tocca più, non mi brutalizza più. Vorrei che questa gravidanza durasse per l’intera mia minuscola esistenza.

Ho solo vent’anni, ma è come se due vite si sovrapponessero in me. Penso d’aver vissuto troppo, mi è accaduto di tutto nel giro di cinque anni, c’è da impazzire.

Sono Rosaria, nasco in Calabria, in un paesello sperduto sull’Aspromonte, là dove nessuno vuole metterci piede, dove Garibaldi fu ferito, dove un tempo c’erano i briganti e le streghe, dove ora ci sono le cosche e nascondono i ragazzi rapiti al Nord. Un luogo dimenticato da tutti, pure da Dio.

Ma io ci vivevo felice, ignara e primitiva. In una casetta di mattoni crudi, fango e frasche, senza pavimento, per letto avevo un sacco di paglia, dietro il fico facevo i bisogni, mi lavavo nella fiumara, dove sciacquavo i panni, pascolavo le tre caprette quando mia madre era incinta o accudiva ai miei quattro fratelli, raccoglievo frutti di bosco e intrecciavo ginestre per farne canestrelli da vendere alla fiera del paese.

Ci scendevo ogni domenica, al paese, per la messa, con tutta la famiglia. Lungo la mulattiera, in groppa a un mulo mia madre col neonato, gli altri a piedi, scalzi. Masticavamo polvere lungo quel sentiero, si usciva puliti e si tornava sporchi. Dalle mie parti non ci si lamenta mai, tutto si fa a testa bassa, è una maledizione il destino assegnato. Nessuno può cambiarlo, tutto è segnato.

Essere donna, poi, è una iattura. In una terra bella ma pericolosa, povera e arretrata, dove si parla solo il dialetto e le famiglie hanno cinque o più figli … quale futuro per una donna? Ero una schiava, null’altro, un ostaggio di mio padre, un peso di cui liberarsi al più presto.

A quindici anni un paesano mi aveva messo gli occhi addosso, per maritarmi al figlio. Mi guardava come se fossi una giovenca o una mula, buona per faticare e partorire maschi robusti.L’avevo capito dai discorsi di mio padre con mia madre, di notte, quando credevano che dormissi.

In verità mia madre non voleva che me ne andassi così presto, in fondo le faceva comodo che la aiutassi e forse non si augurava che io facessi la sua stessa vita, ogni due anni la pancia gonfia, la schiena già curva a trenta anni, i capelli imbiancati, le mani avvizzite. Una donna che non sorrideva mai, sempre chiusa nel suo silenzio e nella rassegnazione.

Mio padre,ben contento che qualcuno mi avesse richiesto, aveva un unico cruccio: una dote insufficiente con cui accompagnare la mia sortita e pochi denari per un matrimonio decente, per non perdere la faccia in paese, visto che rimanevo la primogenita. Dalle mie parti è un guaio avere una figlia femmina e prima te la levi di casa, meglio è. Ero solo un peso inutile o un pericolo di cui disfarsi.

Ora ciabatto per casa con l’andatura anserina delle gravide, la creatura in grembo forma con me un insieme inscindibile e impenetrabile, un’entità arcana da cui Luca si tiene lontano. Il corpo della sua ossessione ha perso d’attrattiva e ai suoi occhi ora appaio come un rigido simulacro.Adesso è grande la paura di farmi male col suo amore violento e disperato, col suo corpo pesante come un macigno, col suo odore di maschio bestiale e inconsolabile. Nella sacralità della mia gestazione lui non deve entrare, non profanerà con la violenza il mistero della vita che io mi sforzerò di custodire.Stavolta no! Per la prima volta da quando mi ha portato via da casa mia, comprandomi per due soldi da mio padre nel lurido villaggio dell’Aspromonte, mi sento libera e felice.

Giunse da lontano Luca, il forestiero, dalla capitale.

Era autunno, venne a caccia di cinghiali della mia terra e s’innamorò di una pastorella scalza e infreddolita acquattata tra rovi e felci. Volle salvarmi da quel mondo, portandomi nel suo. Quindici anni avevo allora, e quell’uomo già adulto implorava il mio amore fanciullesco dicendomi quant’ero bella e fragile e che mi avrebbe ricoperto d’oro e seta, che mi avrebbe immortalato come una dea. Ero ingenua, gli prestai fiducia.

Ogni giorno, al fiume, mi ripeteva quant’ero bella, m’ingannava con le sue favole facendo breccia nella mia pura innocenza. Non avevo mai sentito un simile calore prima d’allora. Nessuno mi aveva poggiato la mano sul cuore, sussurrato melodie d’amore, colto un fiore.

Venne a parlare con mio padre, in dialetto (Luca è pure lui un figlio della mia terra), bastò poco per intendersi. In breve, fui venduta a Luca, non so neanche per quante lire. Una trattativa veloce, tra uomini. I silenzi di mia madre rotti dal pianto mi fecero capire cosa stava accadendo. Forse lei non voleva che me ne andassi così lontano. Non ci fu nessun matrimonio, regolammo l’unione al Comune, col consenso dei miei genitori. Non dissi che una parola: “Sì”.

Già durante il viaggio in treno m’innamorai di Luca, era il mio primo uomo e poi io non conoscevo l’amore.

A Roma avvenne la mia iniziazione alla vita di donna.

Non ne ebbi paura, anzi all’inizio provai gioia. Per sbaglio e innocenza, io avevo scoperto qualcuno da amare e che credevo mi amasse. Mi concessi con tutta l’anima e il corpo, Dio sa quanto mi costò. Per due anni un rito e un’arte che travolsero il mondo delle fiabe, il pudore, il candore. Mi accorsi presto che Luca era morboso, che mi circuiva in maniera ossessiva. Anche il suo sguardo cambiò, si fece perverso.

Sentire il suo respiro sul mio grembo divenne riprovevole, lo evitavo in tutti i modi, cercando mille scuse, negandomi quando potevo.Dell’idillio fatto di abbracci impetuosi che schiudevano orizzonti imprevedibili, ormai era rimasto ben poco.

In breve, il rapporto si tinse di una malinconica apatia ed io ne provavo rigetto. Non avevo conosciuto altri uomini prima di lui, ma stentavo a credere che quello fosse l’amore. Gli feci capire che non ero così fragile come credeva, che un’anima ce l’avevo e che sapevo pure ribellarmi. Le vedevo le femministe urlanti nelle piazze, seguivo i programmi in tv, conoscevo il significato della parola “emancipazione”, ora sapevo cosa dire e come dirlo.

Ma le parole non bastavano.Una sera gli chiusi la porta della camera, mi serrai dentro urlando e minacciando. Lui sparì dalla circolazione. La scena si ripeté altre volte, non so quante. Ormai il giocattolo aveva smesso di funzionare, non ero più una bambola di gomma. Non immaginavo cosa mi sarebbe accaduto. In Luca, che mai si sarebbe aspettata una simile trasformazione, subentrò il rancore, l’odio e, purtroppo, la brutalità.

Chi è in fondo Luca? Un bambino che si rifiuta di crescere, un egoista che incarna il finto ruolo di marito e che mi fa la scenataccia – e qualcos’altro – ogni volta che lo inchiodo alle sue responsabilità ricordandogli che non sono la sua serva, anche se ha pagato per avermi. Che non sarò mai la sua schiava, anche se mi ha comprato.

L’ho sopportato i primi tempi questo maschio dispotico che spadroneggiava sul mio corpo, pensavo che quello fosse l’amore. Un prepotente che se ne andava sbattendo l’uscio ogni volta che lo rifiutavo e si consolava nelle braccia di un’altra compiacente alle sue profferte.

L’ho riaccolto nel mio letto perché tornava con lacrime, promesse, lusinghe … bugie. Per un po’ ricominciava a dipingere – la pittura è tutto per lui, quando non va a caccia – mi voleva per ore e ore nuda e ferma a fargli da modella, mi trattava da musa … poi- non so come e perché – riecco la sua ossessione di perdermi, e così mi legava alla sedia, perché non fuggissi.E mi martoriava, in mille modi. Prima con le parole, poi con le botte, come se fossi stata una bambina disubbidiente.

La mia sofferenza divenne la sua gioia.Mi lasciava notti intere al buio, mentre io sognavo i prati infiniti di viole, primule e narcisi in cui correvo libera da bambina, inseguendo le lepri e catturando grilli tra i fili d’erba. Rimpiangevo la libertà, la povertà, la mia terra.Non le ho mai volute le rose rosse che mi portava dopo avermi riempita di calci, non li ho mai desiderati gli abiti che mi comprava – mi agghindava solo e soltanto lui -, come li odio quei vistosi bijoux e quei profumi che mi ha regalato dopo avermi violentato! E tutti quei ritratti sparsi per casa? Me ne ha fatto uno gigantesco, che campeggia sulla parete d’ingresso ad ammonire sul fatto che io sono per lui la regina della casa… e del suo cuore morboso.

Mi ripeteva fino alla nausea che nessuna ha mai retto il confronto con me, che gli sono indispensabile come l’aria pura e che il nome che lui mi ha dato, Priscilla, mi avvicina al coraggio della martire cristiana, mi pervade di un’aura di sacrificio e di pietà. Doveva trovarmelo un nome d’arte, nel presentarmi come la sua modella.

Priscilla sarebbe la persona più importante per Luca, l’unica e sola capace di sconvolgerlo, che profuma di mandorle e gelsomini, di sambuco e aneto, di mirto e mandarino … silvana e bella come la terra dov’è nata, ma anche fiera e irriducibile come quelle madonne che si portano in spalla nelle processioni, inavvicinabili e altere.

Ma io non sono Priscilla, sono Rosaria.

Non piaceva a Luca il mio nome, troppo paesano e meridionale. Doveva cambiarmelo, doveva plasmarmi a suo piacimento il pittore romano che ha per hobby la cacciagione autunnale e che si è invaghito di me in un bosco selvaggio, mentre mi lavavo spaurita a una fonte, spiandomi come se fossi stata una ninfa silvestre colta nella sua epifania terrena in un momento di fragile caducità.

Mi ha ordinato di far morire quella Rosaria e di divenire una bellissima cittadina, abbarbicata alla sua possanza come l’edera al muro, durante le applaudite mostre e i numerosi vernissages che l’hanno consacrato artista emergente del contemporaneo in una Roma che pullula di vitalità, d’idee, d’iniziative in un clima di post-modernità.

Luca è stato per me un Pigmalione, mi ha modellato dal fango. Devo dire che mi ha insegnato tanto, se sono capace di capire e di pensare lo devo a lui. E’ cosìche ho iniziato a non accettare la sua legge. Quando eravamo in pubblico, non dovevo mai aprire bocca. Un simulacro di bellezza, vuoto e inespressivo, cui solo lui poteva dare forma e spirito. Il pittore e la sua modella, sempre muta come un sasso, algida e inanime. Che legame perverso! Ma io mi sono stufata di lui, del suo delirio, delle sue fobie.

Non sarò mai come tu mi vuoi, Luca! Che me ne faccio di un quarantenne che fatica a crescere?Che si comporta da egocentrico dentro e fuori di casa? Che m’implora come il pane fresco e i fiori di campo, dicendomi che gli ricordo gli odori e i colori del suo Sud? Che mi giura che le altre sono solo l’avventura d’una notte? Quando lo metto con le spalle al muro, quest’uomo-bambino ammette l’ultima scappatella fatta per noia o per il desiderio di sentirsi forte e impavido.

D’altronde Luca con le altre ci riesce a sentirsi sicuro come una quercia, solido come gli ulivi saraceni della sua terra d’origine, abbandonata per sfuggire alla miseria dopo la guerra, invece … con me si sente solo un fuscello o una canna sbattuti dal vento.Davanti al mio ventre che sa di ginestra e al seno piccolo e sodo come un caciocavallo … Luca è solo un naufrago che annaspa nella procella e cerca tra i flutti la salvezza di un corpo forte cui avvolgersi per sentirsi padrone del mondo.Perché per lui io sono una roccia cui aggrapparsi in preda ad un panico profondo, irrazionale, da fanciullo. Non sono io alla sua mercé, ma viceversa. Non sono gli schiaffi – prima erano solo innocenti buffetti – a renderlo forte … gli fa paura il mio sguardo carico d’odio con cui lo misuro da una distanza inavvicinabile. Sono io a minacciare, non il contrario.

La bambina non ha mai avuto paura dell’orco cattivo.

E ora questa pancia sempre più prominente ammonisce Luca. Una pancia con cui dimostro la mia onnipotenza, che racchiude un essere astratto, che ha la colpa di allontanarmi da lui. Sarà figlio mio, non suo.La valanga d’idee e progetti che l’aveva travolto fino a sposarmi, è solo polvere. La chimera s’è infranta.

D’altronde io mi sono via via concessa con crescente riluttanza, con gesti severi … ora sono solo sazia dell’amore per il nascituro. Luca per me non esiste più. Il mio corpo ovattato e rotondo, in cui vorrebbe rifugiarsi, avido di una primitiva nostalgia, è diventato insofferente.

Era seducente per lui la mia ritrosia più della compiacenza, eccitante rivestire i panni del cacciatore e ideare assalti e trappole … Priscilla è la piccola preda che gli sfugge di mano e lo obbliga a diventare cattivo e prepotente come un tiranno insaziabile.

Quante volte mi ha spinto – senza capire perché lo facesse – sul letto, inchiodandomi col peso del suo corpo, schiaffeggiandomi, impazzando su di me finché non mi sono arresa e riversandomi nel ventre l’amarezza d’un amore disperato. Un crescendo di brutalità tra singhiozzi soffocati, urli smorzati, carni livide per pizzicotti e pugni, pelle bruciacchiata dalle sigarette, bernoccoli sul capo sbattuto contro la parete, guance arrossate da sberle, braccia punteggiate da morsi, polsi e caviglie tumefatti dai ceppi del cordame.Hai fatto la bambina cattiva? Devi essere punita!

Ma se io sono Priscilla, allora sopporto da vera martire e non m’inginocchio supplice al mio carnefice. Non mi piego al cospetto del mio padrone. Dopo lo squallore mi lavo, mi rivesto e gli sputo in silenzio l’odio che ho in corpo. Luca si eclissa tra i suoi quadri, confinandomi nel mondo delle apparenze. Un paesaggio o una natura morta trasmuteranno dal reale alla rappresentazione su tela, smarrendolo nei meandri dell’alienazione che dà vita a veri capolavori, come se la magia dell’arte possa nascere dal delirio della perversione.

Dalla sua irrazionale violenza che lo spinge sull’orlo del baratro, ora è nato dentro di me un fiore.

Sarà grazie a lui se riuscirò a guarire dal dolore che mi dilata e deforma gli altri sentimenti.

Lo amerò di un amore esagerato la mia creatura, lo alleverò lontano da Luca, tra i miei monti, torrenti e vallate.E’ lì che me ne vado perché la Terra, grande madre, mi rivuole con sé. Quando e se capirà d’essere cresciuto e lenirà la ferita al cuore, Luca tornerà da me e da suo figlio. Solo allora lo perdonerò, fingendo d’aver dimenticato tutto. Solo allora.

La valigia è pronta, la lettera è sul tavolo della cucina. E’ domenica mattina, lui non c’è, è fuori Roma, per un’esposizione. Non ho fretta di fuggire, di lasciarmi un mondo alle spalle, di tornare libera. Il taxi presto arriverà sotto casa, in un attimo sparirò dal quartiere residenziale dei Parioli, dove le belle apparenze nascondono drammi, falsità, ipocrisie. Dove tutti sanno, ma tacciono.

Eppure le mie urla di dolore si sentivano in tutto il palazzo ed anche il rumore dei piatti che volavano via, degli insulti, delle parolacce, dei ceffoni, dei pugni, delle infinite botte … ma nella tromba delle scale gli inquilini, al vedermi il volto tumefatto, si giravano dall’altra parte. Mai una parola di conforto, un segno d’umanità, non dico un aiuto, una telefonata ai carabinieri … niente, qua non si usa, qua vigono le buone maniere e chi rompe l’ordine è fatto fuori subito.

Io per la “gente perbene” non esisto. Non è ammissibile che una giovane moglie – venuta da chissà dove…-si ribelli al marito. In questo condominio l’urlo del mio dolore è stato sentito, ma non ascoltato.

Eppure si parla tanto di violenza sulle donne … !

L’attrice Franca Rame è stata stuprata tempo fa e non ebbe vergogna a denunciare il fatto, ne parlarono tutti i mezzi d’informazione.La scrittrice Dacia Maraini scrive e mette in scena testi sulla violenza alle donne … perché solo in un mondo di carta e per pochi intellettuali si è presa coscienza di un fenomeno così vasto?

Mi chiedo quando e come tutto ciò cambierà e se mio figlio – o mia figlia – respirerà un’aria nuova. Per ora, io sbaracco da qui, torno nel mio piccolo mondo, torno a essere Rosaria, per sempre.

Prima di andarmene, voglio pensare ad altro.Mi sono svuotata, ora nella mia mente c’è posto solo per te, piccino mio. Oscillo tra impotenza e onnipotenza, in me il dolore e la gioia sono parti di una stessa nota stridente. Ma oggi faccio la differenza, ritornando alle mie origini.

Allo specchio mi concedo il primo sorriso d’un nuovo giorno. Il soffio che sento nella pancia sei tu, piccola creatura che urgi dentro di me. Io attendo te, ma anche tu attendi me. T’imporrai per avermi vicina quando avrai fame, sonno, bisogno di coccole … mi aspetti al varco, sei tu il mio signore.Davanti alla finestra, mi ripasso le mie poche certezze: sono donna, sono incinta, ho vent’anni, sono sola in una grande città, ho vissuto un incubo, cambierò vita.

Le mie cellule vibrano e cantano la vita che contengono, è una mattina in cui non amo più il buio e la casa non è più la tana in cui stare nascosta.Fuori c’è lo scirocco, insopportabile e tenace. Un vento che non spazza via, ma che anima il ricordo, assillante nella sua potentissima presenza. E’ un vento del Sud, ricorda la mia gente, la mia terra, mi vuol portare con lui, ammonendomi sul fatto che non posso sfuggire all’essere chi sono, cioè Rosaria.

Annaffio la rosellina selvatica che ho piantato quando sono venuta qua, la saluto.

Lei rimarrà, io no. L’ho accudita con amore, mi ricordava una siepe vicina al mio casolare, era un tocco di colore, qualcosa di veramente mio in questa casa, dove mi sono sentita prigioniera. Ma finalmente ho qualcosa di mio, che mi appartiene totalmente.Ho combattuto tra impotenza e onnipotenza, ho scelto la mia strada. Fuggo per tornare a vivere. A Luca non interesso più, non cercava una donna con cui procreare, ma una femmina.

Lui non ha mai voluto Rosaria, ma Priscilla.

Al mio bambino Al mio uomo

Tu sei più che rugiada del primo mattino, Sono libera dal tuo giogo, o mio tiranno.

Più che scintillio di neve al sole, ero solo un corpo senza un’anima. Più che germoglio sul greto d’un fiume.

Che ne sai dei miei sogni, delle idee,Tu splendida purezza, incontaminata luce delle paure … che ne sai? Nulla.

Lucentezza e iridescenza di una gemma, Non sono stupida e fragile, non ci sto. Chiarore infinito fra le tue mani non mi spezzo, ti mollo.

Mia roccia, mia fortezza. Candida di certo non più, o mio signore.

Una piccola lucerna nel buio, Mi volevi sempre uguale, stupida, inerme. Un trastullo, un incanto Ti lascio le tue abitudini, le mie redini. Una perfetta costruzione cavalla impazzita volo sulla spiaggia, che racchiude solo amore. scivolo dal letto come acqua pura, addio.

“Per non dimenticare il cammino verso la libertà di chi ci ha precedute, per costruire la felicità in un mondo nuovo fatto dalle donne per le donne”.

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