A Tu per Tu con Giusy Agnello, Comandante Polizia Stradale di Catania

Giusy Agnello
Dott.ssa Giusy Agnello

Pugno di ferro…in guanto di velluto

Nel prepararmi a questo incontro, le notizie attinte da Internet mi rimandano all’idea di una carriera folgorante, spedita e senza alcuna battuta d’arresto. Leggo, infatti, che la nostra protagonista entra in Polizia giovanissima e, dopo il concorso ed i nove mesi di corso trascorsi a Roma, viene destinata alla Questura di Agrigento in qualità di Vice Commissario della Squadra Mobile. Nel ’90 La troviamo a svolgere la propria attività a Palma di Montechiaro e poi ancora, senza soluzione di continuità, a Roma… per sette lunghi anni… alla DIA (Direzione Investigativa Antimafia). L’impressione, man mano che divoro le informazioni, è a cavallo tra ammirazione e timore reverenziale. Quindi il ritorno a Catania, nel 2001, rispondendo al richiamo del cuore che in Lei coincide con la passione per la Polizia con l’incarico iniziale di Responsabile delle Relazioni Esterne e con la Stampa per poi assumere, un anno dopo, la dirigenza dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della stessa Questura. A seguire, 4 anni alla Polfer (Polizia Ferroviaria) di Reggio Calabria dove si distingue… manco a dirlo… per competenza e professionalità, in qualità di Vice Dirigente. Ultima tappa il Comando della Polizia Stradale di Catania dove dal primo aprile del 2009 ricopre la carica di Comandante. Non nego di non essermi sentita all’altezza di quest’incontro. Poi, però…sarà stata la grazia e leggiadria del nome…Pinuccia Albertina (detta Giusy) Agnello…sarà stato l’appiglio confidenziale del nostro approccio telefonico…non so cosa ma ne ho assaggiato l’umanità e così, con questo stato d’animo, mi sono presentata puntuale all’appuntamento.

Se è vero che la stretta di mano è già un buon biglietto da visita, Vi assicuro che quello della dottoressa Agnello parla di una persona sicura di sé ma senza spocchia, affabile e piena di umano calore. La stanza, pur con i limiti di tutti i luoghi di lavoro, denota la sensibilità squisitamente femminile della Sua inquilina. Un bel vaso di calle è in evidenza dietro le spalle della mia interlocutrice. Questo contribuisce a rilassarmi ancora di piu’.Cominciamo a parlare ma da subito la nostra piu’ che un’intervista assume i toni di una chiacchierata tanto che, dapprima, dimentico di accendere il registratore. E Ti pareva…

 

Dottoressa, quando Lei è entrata in Polizia, non vi erano donne né tra gli agenti né tanto meno tra i dirigenti. Una pioniera, quindi…

R. Quando io entrai in Polizia, nel lontano 1987, effettivamente di donne ce n’erano poche. Pochissime. La riforma era dell’aprile del 1981 e, quindi, giusto il tempo di indire i primi concorsi e nell’82/83 c’è stata l’immissione in ruolo delle…prime donne. Dopo il corso di formazione come funzionaria, fui assegnata nell’agosto dell’88 ad Agrigento. La presenza delle donne nella Polizia di Stato, sia nei ruoli “agenti” ed “assistenti” e a maggior ragione tra i “commissari”, ruolo al quale appartenevo allora…era molto carente. Fui la prima donna in assoluto.

Cos’è che la spinse? Passione per quel tipo di lavoro o la caratteristica tipicamente femminile di voler spostare in limite sempre piu’?

R. Beh! Io ho fatto il concorso molto motivata perchè pensavo che fare il funzionario di polizia mi avrebbe consentito di occuparmi del sociale che è sempre stata la mia aspirazione principale. Mi piaceva anche l’idea di fare l’organizzatrice e di cimentarmi in una professione non prettamente femminile. Questa cosa mi stimolava molto. Poi, forse, anche il fascino della divisa e l’aver avuto precedenti in famiglia. Un mio prozio era stato Guardia regia, un mio zio Carabiniere ed un altro in Finanza…insomma, la divisa l’ho sempre respirata in casa. Certo poi scoprì, giovane ventiquattrenne, che il mondo che mi ero scelta era molto, ma molto, piu’ complesso…non avrei fatto il Commissario alla Montalbano per intenderci…Il Commissario, soprattutto di periferia ed in zone a rischio, fa di tutto. Io ho lavorato a Palma di Montechiaro, tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90 e lì c’era la guerra tra mafia (tradizionale) e stidda (emergente) e lì praticamente diventi obiettivo. Quindi sì…c’era il pericolo oggettivo di diventare bersaglio dei delinquenti ma anche di essere punto di riferimento della cittadinanza perchè da Te, come istituzione, si aspettavano di essere protetti, consigliati, guidati e, in quel periodo, devo dire che abbiamo molto lavorato nel sociale perchè… laddove non c’è una presa di coscienza sociale la mafia attecchisce. Allora, ricordo, abbiamo lavorato molto nelle scuole, con le parrocchie…ci siamo mischiati tra i giovani proprio affinchè il Commissariato entrasse nelle grazie della gente.

Giusy Agnello
La dott.ssa Giusy Agnello mentre riceve un riconoscimento

Attenzione al sociale che Le viene dal Suo essere donna?

R. No, assolutamente. L’ho riscontrata anche nei colleghi uomini. Forse una predisposizione personale a prescindere dal sesso. Anche se, in tal senso, devo ammettere che noi donne abbiamo una marcia in più.

R. Dottoressa, faceva riferimento ad un periodo storico ben preciso, caratterizzato da sanguinose guerre di mafia e so che, in quel contesto, ha avuto modo di conoscere il giudice Borsellino. Ce ne regala un Suo personale ricordo?

R. Ho conosciuto il dottore Borsellino quando era Procuratore aggiunto presso la DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Palermo con la quale collaboravamo in quanto ci occupavamo di criminalità organizzata di stampo mafioso. Anche Agrigento dipendeva da Palermo. Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo e di apprezzarne subito il tratto umano. Il dottore Borsellino, dall’alto della Sua posizione istituzionale, dall’alto della Sua preparazione professionale non mancava mai di dimostrare doti umane ed intellettive fuori dal comune. Era sensibile alle sorti dei giovani funzionari, dei giovani ufficiali e spesso si intratteneva con noi chiedendoci quali fossero i problemi nei nostri posti di lavoro. Tant’è che diverse volte intervenne presso i miei superiori al fine di accertare e di verificare che ci fossero le opportune attenzioni sul nostro ufficio. Ricordo che io ero Commissario a Palma di Montechiaro, un commissariato di frontiera. Ho saputo che si era disturbato di chiamare i miei superiori per sapere se il nostro Commissariato fosse attenzionato adeguatamente. E questo non lo fa chiunque! Questo lo fa chi ha doti umane non comuni.

D’altra parte, la Sua preoccupazione era che chi è impegnato in prima linea nella lotta alla mafia non venisse lasciato solo perchè è proprio lì che si comincia a morire, che si è esposti ai pericoli maggiori…

R. Si, probabilmente partiva da lì. Quando L’ho conosciuto, avevamo riunione alla DDA, mi ero preparata all’incontro con un senso di timore reverenziale che Lui ha subito smorzato, mettendo tutti a proprio agio. Ricordo un tratto umano fortissimo, un sorriso accattivante che conquistava immediatamente.

R. Dottoressa, da allora ad oggi, cos’è cambiato nella lotta alla mafia? E’ vero che le idee di Falcone, di Borsellino e delle tante vittime di mafia continuano a camminare sulle gambe di altri oppure è solo letteratura? Insomma, c’è qualcuno che ha raccolto il loro testimone?

R. Si, si..io ne sono convinta. La Palermo che ho conosciuto moltissimi anni fa, così come la zona di Agrigento, negli anni è cambiata completamente. Come Le dicevo poco fa, la coscienza sociale passa spesso anche attraverso la morte di uomini e servitori dello Stato e ciò lascia un segno indelebile nelle coscienze umane. Allora non c’era una così netta presa di coscienza da parte della gente e nemmeno dei giovani. C’era molta paura. Ricordo che quando arrivai a Palma, a fine degli anni 80, alle cinque del pomeriggio c’era il coprifuoco in piazza. Al massimo vedevi qualche anziano con il classico berretto nero in testa. Non c’era presenza di giovani, di donne…Dopo due anni, i giovani e la gente comune, finalmente, ripresero possesso degli spazi comuni.

Commissario di frontiera in uno dei periodi più caldi della storia siciliana…qual’era e qual è il Suo rapporto con la paura?

R. E’ una domanda che mi sono posta tantissime volte. L’unica risposta che riesco a darmi è che, sicuramente, c’è una sorta di inconsapevolezza, una buona dose di incoscienza. Del pericolo te ne rendi conto dopo. Con il senno di poi. Quando lavoravo nella DIA, ho sentito da parte di molti collaboratori di giustizia dei tanti rischi che avevo corso e…Poi, sicuramente, quella che vince la paura è la passione con cui si fa questo lavoro. La vinci con quell’adrenalina che ti sale con la passione, l’impegno professionale e con il senso del dovere. Insomma, non hai tempo di pensarci. Però, ecco, senza mai però disgiungere ciò da una buona dose di prudenza. Quella, credo, sia importante per se stessi ma anche per gli uomini che ti trovi a comandare. Mai essere incoscienti, mai imprudenti.

R. Coordinare una squadra composta prevalentemente da uomini, Le ha mai creato qualche disagio? Da una recente indagine è risultato che gli uomini non sopportino molto essere comandati da donne e questo pare abbia una brutta ricaduta sul profitto lavorativo.

R. Assolutamente no. Non voglio togliere merito alle indagini ma…a me non è mai successo. Ho coordinato squadre composte prevalentemente da uomini ed ho lavorato loro fianco a fianco…non è mai successo di avvertire quanto dice Lei. Anzi, ho notato che uno stimolo in più era rappresentato dal fare bella figura con la donna capo.

giusy agnello
La dott.ssa Giusy Agnello in borghese

Dopo tanti anni ed una carriera che non ha mai conosciuto una battuta d’arresto, lei torna a Catania nel 2001. C’entra la “nostalgia canaglia”?

R. Nooooo. Le devo dire che ero già un Vice questore aggiunto abbastanza “anziano” e potevo aspirare ad un grado superiore. Ed allora, stando in DIA…una realtà diversa e più complessa rispetto alla Territoriale…mi rendevo conto che se aspiravo a diventare Primo dirigente mi mancava qualcosa. Non conoscevo più da vicino la realtà. Erano anni che non vivevo i problemi della Questura, della Territoriale. Se fossi stata promossa non mi sarei sentita preparata, all’altezza ecco! Ho sentito l’esigenza, mia… personale e professionale…di ritornare alla “madre patria”. Ho avuto la fortuna che il Questore di Catania, allora Delo Russo, era stato mio dirigente alla DIA di Roma e mi ha dato l’opportunità di ritornare nella mia città. Ed eccomi qui.

Spesso gli uomini non si pongono il problema di trovare un equilibrio tra vita privata e professione. Per le donne spesso è la norma. Lei, in questo tentativo di trovare un punto d’equilibrio…ha dovuto rinunciare a qualcosa delle Sua vita privata?

R. Guardi. Se l’ho fatto non me ne sono accorta. Forse con il senno di poi potrei dirle che ho perso troppo tempo e che ho dedicato poco tempo ai sentimenti. Ma ciò non significa che mi siano mancati, per carità. Sono stata, anche da questo punto di vista, una donna fortunata. Molto amata. Ho, anche, molto amato. Mi piace dirlo e ribadirlo perchè essere amati è una gran fortuna. Però, il matrimonio…i figli…non sono mai stata una meta da raggiungere in assoluto. Anche perchè per me il matrimonio è un istituto importantissimo, una meta da raggiungere solo se sei veramente convinta e solo con la persona giusta. Forse la penso così perchè ho l’esempio dei miei genitori che, dopo 50 anni, sono innamorati come il primo giorno. Questo rapporto, forse, mi ha condizionato. Adesso dico, probabilmente ho perso un po’ di tempo…tant’è che mi sono sposata a 45 anni. Però, guardando indietro, sono stata una single convinta. Non mi è mancato il matrimonio né i figli pur ammirando tante mie colleghe che riescono brillantemente a fare le mamme, le mogli ed anche benissimo il loro lavoro. Per quanto mi riguarda, ho un marito che mi sostiene molto. Sono ancora una volta fortunata…ho un partner che apprezza quello che faccio e mi sostiene. Diversamente non avrebbe senso.

E’ più facile che una donna goda dei successi del proprio uomo, senza spirito di competizione, piuttosto che il contrario. Come mai, secondo Lei?

R. Devo dire che mio marito, anche Lui in Polizia…lavora in Questura in un settore molto delicato… è molto orgoglioso di me ed anzi è proprio Lui che mi spinge ad andare avanti. E come vede, anche in questo caso, mi posso considerare una donna fortunata.

Lei è la maggiore di due sorelle. Quali erano i suoi giochi da piccola?

R. Le bambole, com’è naturale, me le hanno sempre regalate. Ci giocavo un po’ e poi le collocavo in bella mostra nelle mensoline della mia stanza e lì restavano. No, tra i regali più belli…sicuramente la bicicletta. La prima a 5 anni e poi, man mano che crescevo, sempre più grande ed adatta alle varie fasi della mia vita. Mi divertivo a scorrazzare per le strade di campagna. Allora si poteva fare… c’erano molti meno pericoli e poi io vivevo a Scordia. Sono di Scordia, il paese delle arance rosse. Oltre la bicicletta, La farò ridere, uno dei miei passatempi preferiti era organizzare “Canzonissima” o, comunque, spettacoli canori che presupponevano una gara. Ed indovini chi presentava ? Io, naturalmente! I miei amici ancora se lo ricordano!

Già allora, manifestava doti manageriali…

R. Si, si. Mi riconosco in quanto dice. Oggi la Polizia è molto cresciuta da questo punto di vista. Il funzionario deve essere un manager. Deve attendere alla gestione del personale, alla logistica, ai rapporti con il pubblico, con l’esterno. Deve curare le Pubbliche Relazioni. ..Ecco, un tempo non era così. Io stessa sono stata una sorta di Capo Ufficio Stampa della Questura. Oggi la comunicazione è importantissima. Non siamo degli avamposti blindati e circoscritti. Noi viviamo tra la gente ed il cittadino lo sa. Siamo un punto di riferimento.

A proposito di ciò che chiede il cittadino. Quali sono le maggiori istanze che vengono sottoposte alla vostra attenzione?

R. La gente chiede di essere indirizzata per la soluzione di svariati problemi. Ciò comporta che l’agente allo sportello, ad esempio, debba essere preparato su tutto. C’è una rete che unisce le varie istituzioni che deve funzionare. Non si può e non si deve lavorare a compartimenti stagni. Oggi occorre essere preparati su tutto.

Dottoressa, nella vita di tutti i giorni…oltre a coltivare l’amore per le poesie di Pablo Neruda…quali sono i Suoi hobbies? Come trascorre il tempo libero?

R. Si, sono amante della poesia di Neruda. Io stessa ho sempre scritto poesie… sin da ragazzina. Ho anche partecipato a svariati concorsi e qualcuno l’ho anche vinto. La poesia, da sempre, è una mia passione. Mi permette di parlarmi dentro e manifestare quello che sento attraverso i versi che non sempre sono esclusivamente d’amore ma riguardano vari aspetti della vita. Poi…che faccio ancora? Ah si, continuo ad andare in bici. Ho una bellissima mountain bike che mi permette di scorrazzare a Scordia dove sono tornata a vivere da sposata e dove ho i miei affetti più cari. Poi, nutro una grande passione per la musica…tutta…ma in particolare per quella lirica. Su tutti, adoro Puccini.

Dottoressa, siamo quasi in conclusione. Parlava di un marito che La incoraggia e sprona ma so che il Suo primo fan è stato, e continua ad essere, Suo padre.

R. Mio padre è stato il mio principale sostenitore. Mio padre non fa complimenti. E’ una persona saggia che lancia messaggi. Un giorno, in una situazione particolare, mi disse…rifacendosi ad una pagina de “Il giorno della civetta” di Sciascia… “Ricordati. C’è un tempo per dimostrare se si è degli uomini, degli ominicchi o dei quaquaraqua oppure… se non lo si è”.

Dottoressa, ho pudore a chiederglielo ma cosa risponde a chi, come me onestamente, quando incrocia una pattuglia della Stradale si… terrorizza?

R. Se la può confortare. La Polizia stradale intimorisce anche gli addetti ai lavori perchè, comunque, è un settore specialistico che ha il dovere, e lo fa, di svolgere il suo lavoro in maniera puntigliosa. Ne va della sicurezza di tutti. Questo non significa, però, che gli operatori non debbano avere doti di elasticità. E mi risulta che ce l’abbiano.

Ad intervista finita, ci soffermiamo a parlare di amici in comune, di fiori e di tanto altro ancora. Il timore reverenziale è sparito. Rimane solo tanta ammirazione per questa donna che rimanda all’idea della “dama dal pugno di ferro… in guanto di velluto”. Mi sembra essere una persona autorevole, lo avverto dal modo che hanno di rapportarsi con Lei i suoi collaboratori. Non mi da per nulla l’idea di una persona autoritaria. Vado via non dopo aver salutato la dottoressa Agnello come si fa con un’amica di vecchia data. Con la certezza, tra l’altro, che da questo momento guarderò le pattuglie della Territoriale con un occhio diverso. Giusto il tempo di fare qualche centinaio di metri e…paletta! Accantonati tutti i buoni propositi, accosto e mi consegno al mio destino e… Ti pareva!

Silvia Ventimiglia – Settembre 2010

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *