Ninfa, la mia amica amatissima!

Storia di un sentimento infantile controverso nato sulle rovine del terribile terremoto del Belice.

A volte, basta un niente…un temporale inaspettato, una giornata in cui – alla resa dei conti – è piu’ ciò che pensi di aver dato rispetto a quello che hai ricevuto e…voilà…Ti ritrovi all’inverno di 45 anni fa in una confortevole aula della Prima Elementare dell’Istituto “Maria Ausiliatrice” di Catania, culla della salesianità in rosa. Sullo sfondo quel terribile terremoto del Belice.

Nel gennaio di quell’anno…siamo nel 1968, un devastante sussulto della terra aveva raso al suolo Gibellina, Salaparuta e Montevago provocando ingenti danni anche, e bene ricordarne i nomi, a Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi, Santa Margherita del Belice…oltre i 370 morti, un migliaio i feriti e circa 70.000 i senzatetto in quell’angolo della Sicilia occidentale. Saprò molto piu’ in là patria del Gattopardo ma, allora, solo una zona dell’entroterra isolano da sempre alle prese con i mali tipici della nostra martoriata terra.

Quel terremoto aveva messo in evidenza, drammaticamente, lo stato di arretratezza in cui vivevano quelle zone della Sicilia occidentale…abitazioni in tufo crollate alla prima delle terribili scosse che raggiunsero 6 gradi .1 di magnitudo. Per ragioni giornalistiche, anche se l’area interessata fu molto piu’ vasta, quell’evento passò alla storia proprio come il “terremoto del Belice”.

Erano paesi, quelli, popolati solo da bambini, donne e vecchi…gli uomini costretti, già da tempo, a lavorare all’estero.

Sarebbe scontato dire che piovve dov’era piu’ bagnato…per le martoriate zone del Belice fu tristemente vero.

Era il novembre di quell’anno, la vita scolastica era già iniziata da un mese abbondante, come si usava a quei tempi, ed in classe arrivò una bambina dal nome antico, quasi evocativo dei fatti…si chiamava Ninfa e proveniva proprio da Santa Ninfa del Belice.

Aveva perso la famiglia e nei Suoi occhi non vi era l’espressione tipica di quell’età. Non tenerezza né stupore. Lo sguardo era duro. Le suore avevano deciso di ospitarLa in attesa che la ricostruzione avesse luogo.

Siamo già nel 2013 e quella ricostruzione continua ancora, realizzata solo in parte e lontano dai paesi teatro del sisma e per di piu’, per volontà dei privati, è bene ricordarlo. Qualcuno, dopo pochi anni dai fatti e vedendo l’inerzia e l’assenza dello Stato, scrisse “La burocrazia uccide piu’ del terremoto”, parole pronunciare da quel Danilo Dolci famoso per le Sue lotte intraprese a favore della popolazione e contro il malaffare che attecchì, come rampicante infestante, sulle rovine della Valle del Belice.

Lo appurai di persona, il giorno del compimento dei miei 40 anni quando, volutamente, volli raggiungere quei luoghi, proveniente da un precedente soggiorno a Sciacca (qua dovrei aprire un capitolo a parte sull’idea che avevo avuto per festeggiare quel giorno, per me, particolare…toccare la punta dell’Isola Ferdinandea…la cosiddetta “isola che non c’è”, simbolo della giovinezza che non si vuole abbandonare. Sindrome da Peter Pan? Forse. Un tempo da lupi, mi aveva impedito di lasciare il porto di Sciacca, direzione Africa, su un’imbarcazione noleggiata per l’occasione e condotta da un tale dall’aspetto alquanto minaccioso…oggi dico, per fortuna. Dopo qualche giorno, l’Isola in questione – a seguito di un piccolo terremoto marino – scivolò ancora piu’ giu’ dei Suoi 8 metri di profondità per i quali mi ero allenata con tanto di bombole…fine della storia)

In quell’occasione, dicevo, vidi, a fianco di macerie mai rimosse, tracce di container ancora abitati dove probabilmente Ninfa aveva condotto la Sua vita di bambina, poi di ragazza e chissà…

Di Lei nessuna traccia, tutte a Santa Ninfa e zone limitrofe si chiamano Ninfa e tutte, in quel lontano 1968, furono ospitate ora in questo ora in quell’istituto religioso. Dovevo dotarmi almeno del cognome, mi si disse, ma – nonostante potessi come potrei ancora oggi – fare una semplice ricerca presso gli archivi della scuola, non l’ho mai fatto sperando che se l’incontro ci sarà mai dovrà seguire altre strade…

Torniamo a quel novembre del 1968 che io, ahimè, non ricordo come “bellissimo” per dirla alla Ercole Patti ma che, certamente, lasciò tracce indelebili nella mia anima e nel mio cuore.

La maestra si era preoccupata di avvertirci che avremmo dovuto assicurarLe affetto e calore. La vita già aveva presentato un conto salato a quella bambina dagli occhi chiarissimi, l’incarnato scurissimo come se fosse abbronzata o, forse, lo era….chissà, nonostante fosse inverno pieno.

I capelli biondissimi e cortissimi, come allora non si usava.

Nel tempo, mi è capitato di “riconoscerLa” nella fisiognomica di una di quelle zingarelle che Ti si avvicinano, davanti al Supermercato, chiedendoTi qualcosa… siano soldi o qualche pezzo di cioccolata.

Non lesino mai nulla…c’entrerà Ninfa?

Arrivò. Il ricordo della Sua apparizione mi è rimasta impresso come fosse successo ieri ed invece, come dicevo, sono passati oltre 40 anni.

Fummo presentate ad una ad una. Arrivato il mio turno, la maestra Le disse che poteva fare riferimento a me…ero “buona, studiosa, gentile”. E, forse, furono quelle parole che accesero nella mente di quella bambina un non so che di diabolico. Quella luce strana che Le vidi negli occhi verde acqua mi intimorì, istintivamente, ma rimasi ferma nella mia convinzione di darLe tutto il mio appoggio.

Questa era la mia natura. Allora come oggi. Una iattura, talvolta.

Le fu trovato posto proprio dietro il mio banco che, chiaramente era il primo della fila centrale, quello destinato alla secchiona della classe oppure alla piu’ bassa di statura. Io ero l’una e l’altra…discorso chiuso.

Ce l’ho ancora a casa, il MIO amato banco, ritrovato dopo anni in maniera fortuita e destinica. Così come dovrebbe avvenire l’incontro, tanto desiderato, con la MIA Ninfa.

A volte, mi ci siedo…certo sto scomoda ma diventa un’ottima macchina del tempo. Riesco a sentire persino la voce della maestra, di impostazione austroungarica, il “ppsss” delle mie compagne per avere la risposta esatta ai primi conticini…”Quanto fa 1+1…3? ”Nooooooooooooooo, 2…”.

Ninfa, sin dal primo momento, dimostrò di non riuscire ad integrarsi nel nostro gruppo…forse le mancava la mamma, la Sua famiglia, la Sua casa. Questo pensavo io che, vedevo nella mia famiglia tutto ciò che possedevo…pensavo con terrore all’eventualità di potermi trovare nella Sua stessa condizione. Non ho mai saputo chi esattamente avesse perso, in quei terribili momenti, se fosse rimasta sepolta per giorni sotto le macerie…era argomento tabù. Noi non chiedevamo…Lei non raccontava.

Stava sempre zitta ed osservava. Un giorno, cominciò a tirarmi i capelli…spostandomi, tra l’altro, la fascetta che mia madre mi metteva nella convinzione che la fronte scoperta lasciasse fluire meglio i pensieri…era un must per Lei. Lo è diventato anche con me.

Il Suo fare era urticante e noioso…”Basta, Ninfa. La maestra sta spiegando…” “Basta, Ninfa” ed il mio tono cominciava a mostrare segni di insofferenza…Fu proprio, al limite dell’esasperazione che mi voltai urlandoLe a denti stretti “Basta, Ninfa. Mi fai male…mi dai noia! Uffa…”.

Fu proprio nel momento che la maestra, lasciando la Sua posizione davanti alla lavagna, intercettò il mio urlo…alla Munch e, non sapendo, cosa stesse succedendo attribuì – probabilmente per dovere di ospitalità – la colpa a me…tanto piu’ che interrogata io dissi “Niente, Maestra…mi scusi!” mentre Ninfa, da grande e scafata attrice qual’era, recitò la parte della povera terremotata che veniva insultata e blabla”.

Non seppi difendermi come spesso accade quando si è innocenti.

Fui spedita dietro la lavagna…ricordo perfettamente il disegno del quadrettato che serviva a fare i conti. Seguì con le mie piccole dita ogni linea, ogni quadratino, mentre dentro di me scoppiava una selva di emozioni.

Pensavo alla vergogna di essere stata messa dietro la lavagna, sorte destinata alle somare della classe. Mai a me.

Tremavo al pensiero di mia madre che avrebbe dato ragione, comunque, alla maestra. Ai miei tempi, si usava così…

Mi bruciava l’ingiustizia subita.

Sapevo cos’era accaduto ed intuivo che non avevo colpa.

Tutto, però, fu ben presto superato dal tempo passato a ripetermi quel termine che la maestra mi aveva urlato contro “Cattiva e….e…e….RAZZISTA!”. Forse, oggi dico, non voleva usare quel termine ma così fu e continuò a farlo fintanto che fu la mia maestra.

Me lo ripetei tante volte, non volevo dimenticarlo. Ne avevo bisogno per poi chiedere spiegazioni ai miei fratelli. Doveva essere una cosa terribile se, a causa di ciò, avevo avuto la peggior punizione potesse capitarmi. Dopo un po’ che me la ripetevo…una sola certezza. Se essere razzista faceva finire dietro la lavagna MAI e poi MAI sarei stata razzista in vita mia. Qualsiasi cosa potesse significare. Lo giurai alla Madonna del Carmine, mia Amica del cuore, scusandomi con Maria Ausiliatrice nella cui casa mi trovavo…Diciamo che mancai di delicatezza? Diciamo così…

Alla campanella, la maestra si dimenticò di me ed anche le compagne, in verità.

Andarono via tutte e passai un po’ di tempo a ragionare sul da farsi. Dovevo considerarmi ancora in punizione e, pertanto, rimanere lì a marcire per il resto della mia vita o avrei potuto guadagnare l’uscita per raggiungere mio fratello Giovanni che, uscendo dal Cutelli, sarebbe passato a prendermi?

Sempre puntuale e sempre con la fidanzatina di turno. Diversa ogni giorno.

Passai un tempo che mi sembrò eterno, poi i morsi della fame si fecero sentire ed al ricordo del buon sapore di pasta con la carne e le patate, piatto principe della cucina di mia mamma, il cui inebriante profumo avevo catturato prima di andare a scuola…misi fuori il naso.

L’aula era deserta. Solo il secondo banco, quello dietro di me, mi rilanciava l’immagine beffarda di Ninfa. Era rimasta a godersi lo spettacolo…il suo non fu un saluto, no.

Mi uscì la lingua ponendosi i pollici dentro le orecchie e fece precedere tutto ciò da un urlo sguaiato e diabolico.

Poi, scappò non prima di avermi urlato “Ci vediamo domani, scema!”.

Quella minaccia non soffocò la sensazione di fame che mi stava aggredendo. E, poi, mia madre non faceva altro che dire “A stomaco pieno, si ragiona meglio”…decisi che avrei seguito il consiglio materno.

Raggiunsi la portineria. Mio fratello era comodamente seduto in compagnia di una ragazza…”Ciao, Anna” dissi. La risposta, fulminante di mio fratello, fu “Non è Anna…è Renata!”

Va da sé che quel giorno, anche, mio fratello mi tenne il muso…pareva una congiura!

Le ore successive le ricordo benissimo…dopo mangiato, la presi alla larga chiedendo a mia madre cosa significasse RAZZISTA. La risposta fu che non erano cose che una bambina dovesse sapere. Partita chiusa.

Questo non fece altro che accrescere la mia curiosità tanto piu’ che, l’indomani, non avrei potuto evitare che mia mamma e la maestra si incontrassero. E lì sarebbe successo il finimondo.

Chiesi ai miei fratelli…la risposta piu’ pertinente fu “Ancora ha i denti da latte, la mocciosa, e già si riempie la bocca di sti paroloni”.

Morale, per quel giorno…non riuscì a venire a capo di quel termine tanto piu’ che il vocabolario sarebbe entrato a far parte del mio corredo scolastico solo due anni dopo. Troppo tempo. Non potevo aspettare.

Pensai che potessi aver sbagliato ad interpretare il suono della parola urlata dalla maestra fino a che, l’indomani, non la ripetè davanti a mia madre. “Prego?” fu la risposta…interrogativa. “In che senso?” E lì una filippica sul fatto che, essendo una bambina snob e blabla…avevo trattato male Ninfa in quanto in una posizione svantaggiata. Ricordo mia madre “Tu entra in classe e a casa facciamo i conti”…e Ti pareva.

Il tono della conversazione si mantenne alto, risoluto ed inflessibile ma non riuscivo a decifrare le parole.

Seppi, molti anni dopo, che mia madre aveva preso le mie difese….peccato originale da tener nascosto. Così si usava allora e…onestamente…rispetto a ciò che succede oggi, non mi sento di dire che fosse un male.

Il proseguo della mia permanenza in quella classe fu contraddistinto, purtroppo, da incomprensioni tra me e la maestra alimentate ad arte da Ninfa che, forse – ma questo lo dico oggi – così sfogava le Sue paure ed il Suo immenso dolore.

E lo fece quell’anno e l’anno dopo.

E’ stata una partita, quella, che abbiamo perso tutti con un’adulta non in grado di gestire una situazione che non abbisognava di parti in competizione. Insomma, la maestra aumentò la distanza tra me e Ninfa anziché cercare di trovare un punto d’incontro. Tra bambine l’avremmo risolta…a modo nostro.

In Terza Elementare, non La ritrovai piu’ in classe.

Era tornata al Suo paese. Anche la maestra non era piu’ la stessa. E fu in quell’anno che cominciò la mia vera carriera scolastica, entusiasta e brillante, “amata e punto di riferimento per le sue compagne per le sue doti di mente e di cuore”…come recitava il pagellino trasmesso a mia madre alla fine del primo trimestre. Lo conservo ancora con una bella sfilza di 10 e lode.

Alla faccia di un mio acclarato razzismo…

Eppure, Ninfa mi mancava…mi mancava non avere piu’ la possibilità di recuperare un qualsiasi rapporto con Lei.

Forse, per questo, nel proseguo della mia vita ho avuto piu’ facilità ad instaurare rapporti con persone considerate universalmente difficili. L’ho trovato sempre piu’ stimolante. E’ facile voler bene a qualcuno che si lascia amare…piu’ gratificante riuscire a farlo con chi Ti respinge.

Ninfa, per me è sempre stata uno scheletro nell’armadio…il mio piu’ grande insuccesso. Non c’è stato giorno, in questi oltre 40 anni, che non abbia pensato a quella bambina…sperando che la Sua vita avesse preso una piega diversa dopo quella battuta d’arresto che fu per Lei il terremoto del Belice. Me lo auguro ancora.

Mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe, incontrarLa almeno una volta.

Chissà se avrà memoria di quella bambina che usò, tantissimi anni fa, come valvola di sfogo alle Sue paure? Le racconterei di aver parlato di Lei alle mie nipoti, come fosse la protagonista di una favola noir e Le racconterei, sorridendo, a quante volte ho chiesto Loro di scrivere a “C’è posta per Te” della De Filippi… “ScriveTe, scriveTe, trovateLa…poi Le dico io “Apri sta busta…” ed altro che abbracci….”

Ma, a parte gli scherzi, mi piacerebbe sapere che Lei ce l’ha fatta e per dirLe una volta per tutte “Ninfa, mi fai male…uffaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!” e, dopo averLe dato un salutare schiaffo, stringerLa a me per non farLe sentire piu’ paura.

Perchè così doveva andare, quel famoso inverno del 68.

Silvia Ventimiglia – agosto 2013

P.S. Siamo nel settembre del 2014…ho inviato questo pezzo a “C’è posta per Te” nella speranza di riuscire ad abbracciare la mia nemica amatissima, la mia Ninfa. Vi terrò aggiornati!

 

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *