Di madre in figlia: Giulia e Giovanna Trigona, femministe ante litteram.

Appartenenti alla famiglia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la prima venne assassinata dal giovane amante. Giovanna, la figlia, divenne icona nel cammino di emancipazione della donna siciliana.

Se non fosse stata protagonista e vittima dell’efferato delitto partorito nella scintillante Palermo dei Florio, quella della Bella Epoque per intenderci, Giulia Trigona – nata Mastrogiovanni Tasca di Cutò – probabilmente sarebbe caduta nel dimenticatoio. Metafora la Sua storia, indipendentemente dalla Sua volontà, di una Sicilia che assiste al tramonto del ceto aristocratico ed alla conseguente ascesa di altre classi sociali. Tema caro a Giuseppe Tomasi di Lampedusa che di Lei fu nipote, essendo il figlio della sorella Beatrice e che ne fece il tema centrale del Suo celebratissimo “Il gattopardo”. .

Diverso il discorso per la figlia Giovanna, sposata Albanese, che fu elemento di spicco della vita politica palermitana ma.. di questo… parleremo piu’ appresso.

Torniamo a Giulia che, nata nel 1877, trovò la morte nella stanza 8 di un anonimo albergo romano, l’Hotel Rebecchino, a due passi dalla Stazione Termini, nel 1911, trafitta da numerose coltellate inferteLe dal Suo giovane amante, il Tenente di cavalleria Vincenzo Paternò del Cugno.

Alla relazione con il giovane nobiluomo siciliano, dedito alla bella vita ed ai piaceri del lusso senza averne i necessari mezzi economici, pare L’avesse spinta il marito il quale, dopo 10 anni di amore e due figlie, aveva cominciato a trascurarLa intrecciando, tra l’altro, una non nascosta relazione extraconiugale con una ballerina della Compagnia di Scarpetta. Relazione, come si diceva, vissuta dall’uomo senza alcuna cautela né riservatezza tanto da creare grande dolore alla moglie e a spingerLa a chiedere una separazione ufficiale.

La passione di Giulia per il giovane tenente andò, però, esaurendosi e Giulia manifestò la volontà di troncare la relazione decisa, sempre piu’, a prendere le distanze da un individuo violento, ossessionato dalla gelosia e a cui – a piu’ riprese – aveva elargito somme di denaro. L’incontro risolutore fu fissato proprio in quell’albergo in cui il Paternò si presentò armato di coltello da caccia e di pistola. Con il primo sgozzò, a tradimento, Giulia mentre con la pistola cercò, senza riuscirci, di porre fine ai propri giorni.

Il delitto fu accompagnato da grande clamore sia per la notorietà dei protagonisti sia per i risvolti politici che rischiavano di travolgere Casa Savoia. In quella camera d’albergo, infatti, furono trovate centinaia di lettere scritte da Giulia, durante la Loro appassionata relazione, al proprio amante e da cui si evincevano segreti ed intrighi della Casa reale: Giulia, oltre ad esserne Dama di Compagnia, era infatti molto amica e confidente della Regina Elena tanto che quest’ultima L’aveva voluta come madrina di battesimo del Principe Umberto.

Il barone Paternò, sopravvissuto, venne processato e, nel 1912, condannato all’ergastolo. Uscito dal carcere 30 anni dopo, per intercessione dello stesso Mussolini, tornò a Palermo dove morì nel 1949 dopo aver sposato la propria cameriera.

Questi i fatti ma, al di là della cronaca spicciola, negli anni si è avuta una sorta di revisione storica della vicenda della povera baronessa Trigona simbolo della donna oppressa dall’ipocrisia e dalle convenzioni della classe cui apparteneva, espressione della incapacità di vivere un amore in maniera libera, cosa impensabile per quei tempi. Certo fu espressione inconsapevole di ciò ma è anche vero che, dopo la Sua morte, si accese il dibattito sul matrimonio, come istituto intoccabile, che trovò sbocco e riconoscimento a distanza di 60 anni.

Diversa, dicevo, la vicenda della secondogenita di Giulia…quella Giovanna che, insieme a Sua sorella Clementina, gestì uno dei primi Comitati femminili che confluirono nel Comitato nazionale per la Sicilia subito dopo l’Armistizio dell’ 8 settembre del 1943, e che si distinsero nell’assistenza dei degenti negli ospedali, negli ospizi e nelle case di cura con quello spirito di servizio sostenuto da idee che crearono il definitivo strappo dei Trigona con i Savoia tanto che, nel 1949 accanto ad Almirante, al Primo Congresso regionale del Movimento sociale italiano, Giovanna sedette a fianco dei relatori.

Ferma sostenitrice della centralità del ruolo della donna, non solo madre e moglie ma parte attiva della vita sociale e politica del Paese, Giovanna continuò quel cammino di emancipazione che, iniziato inconsapevolmente dalla madre Giulia, in Lei trovò una conferma politica ed un riconoscimento sociale.

Morì nel 1989.

Questa un’altra pagina di storia siciliana, tutta al femminile, che vale la pensa di ricordare. Pagina di quel patrimonio di memoria collettiva che va conservato, tutelato e tramandato.

Silvia Ventimiglia – Maggio 2013

 

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