Francesco Greco e la poesia della materia: dal cantiere all’arte di “Concrete”
 Francesco Greco non nasce, in senso stretto, come artista. Si forma nell’ambito delle costruzioni da cui trae ispirazione da subito. Il padre, lavorava nelle finiture di interni: un gessista di talento che aveva un particolare pregio di artigianale maestria nel rigore dell’esecuzione e nella politezza delle forme. Oltre al fascino delle malte, del gesso e degli intonaci vissuti nel laboratorio del padre, affina il proprio rapporto con la materia applicandosi alle resine e ai metalli dell’odontotecnica, suo settore di formazione, preziosamente cesellati. Il polimero che si fa smalto e corona, che da polvere diventa sorriso. Vi è poi una scintilla d’arte che ha incendiato l’animo di Francesco Greco, svelandogli la potenza del linguaggio non verbale, è il lascito di un catastrofico terremoto: il Cretto di Burri che svela un altro aspetto della materia: la capacità di essere memoria. Sicilian Secrets l’ha intervistato.
Francesco Greco non nasce, in senso stretto, come artista. Si forma nell’ambito delle costruzioni da cui trae ispirazione da subito. Il padre, lavorava nelle finiture di interni: un gessista di talento che aveva un particolare pregio di artigianale maestria nel rigore dell’esecuzione e nella politezza delle forme. Oltre al fascino delle malte, del gesso e degli intonaci vissuti nel laboratorio del padre, affina il proprio rapporto con la materia applicandosi alle resine e ai metalli dell’odontotecnica, suo settore di formazione, preziosamente cesellati. Il polimero che si fa smalto e corona, che da polvere diventa sorriso. Vi è poi una scintilla d’arte che ha incendiato l’animo di Francesco Greco, svelandogli la potenza del linguaggio non verbale, è il lascito di un catastrofico terremoto: il Cretto di Burri che svela un altro aspetto della materia: la capacità di essere memoria. Sicilian Secrets l’ha intervistato.
D: Francesco, la tua formazione non nasce nel mondo dell’arte ma in quello delle costruzioni e dell’odontotecnica. In che modo questo percorso “artigianale” ha influenzato la tua visione artistica e il tuo rapporto con la materia?
R: Fin dalla tenera tenera età sono sempre stato un creativo: preferivo disegnare, colorare, pasticciare con le mani che giocare con macchinine o qualsiasi altro giocattolo. Crescendo, questa creatività cresceva insieme a me, acquisendo la consapevolezza che creare con le mani mi attraeva sempre di più. Impastare, mescolare, miscelare e sperimentare. Sì sperimentare con tutto quello che avevo sottomano. Dai cantieri dove papà agli inizi dell’estate mi portava (finivo a giocare con la malta e la stendevo sui compensati di legno o su qualsiasi base trovassi) per continuare poi a settembre a giocare con le resine, gessi, che utilizzavo durante le ore di laboratorio odontotecnico. Ed è proprio nei cantieri che scatta la scintilla di voler mutare e dare nuova anima, una nuova vita, e trasformare la materia in emozioni. Proprio come un musicista prende il rumore e lo trasforma in suono. Materia rude che diventa viva. Terminati gli studi, inizio a lavorare nel settore immobiliare e la cantieristica delle costruzioni mi riporta nel passato che diventa presente, con il pensiero al futuro. Un futuro all’insegna della sperimentazione e della conoscenza dei materiali. Trovare un equilibrio tra loro, cercare il mutamento e dare emozioni, che non per forza sono belle, o brutte. Sono emozioni, e basta.
D: “Concrete” è il titolo della tua mostra, ma anche una dichiarazione d’intenti. Cosa significa per Francesco Greco rendere “concreta” l’arte?
R: Nel mio caso la concretezza può avere diversi significati: la concretezza di una reale trasformazione, che si tramuta in “impatto visivo ed emotivo”. Opere che non puoi non notare, che piacciano o non piacciono sono opere che non passano inosservate e che in qualsiasi modo si fanno commentare.

D: Nel tuo lavoro la materia è protagonista: resine, stucchi, pigmenti industriali. Cosa ti affascina di più nel lavorare con materiali così “vivi” e imperfetti?
R: Mi affascina il poter creare al 90% tutto con le mani e con le dita, sprofondare e sentirne al tatto la consistenza, l’elasticità. Chiudere gli occhi e tutto ciò che si percepisce sulla pelle in un certo modo, arriva al cervello e all’animo in un’altro. Ne sento la libertà. Sento che ciò che andrò a creare è frutto di un viaggio cerebrale che fluttuando arriva a prendere forma, diventa sostanza e materia, materia che diventa linguaggio e poi espressione.
D: Nella biografia di Francesco Greco c’è un legame fortissimo con la Sicilia, da Gela ad Alcamo e quella “scintilla artistica” accesa dal Cretto di Burri. Quanto la tua terra continua a nutrire la tua ispirazione, anche ora che vivi tra Lugano e Milano?
R: Nonostante io sia cresciuto prevalentemente a Milano, sono sempre stato legato a questa fantastica terra, a volte da me snobbata, odiata, insultata, difesa, e di cui oggi più che mai sono follemente innamorato. Non bastano queste righe per descrivere il rapporto che ho avuto e che ho con la mia isola.
Ma posso dire che è di forte ispirazione. Dal blu del Mar Mediterraneo alle battaglie greche della Sicilia orientale (in questo caso Gela tra le più importanti di quel periodo) per poi essere invaso da una sensazione di brivido quando mi sono ritrovato davanti al Cretto di Burri. Sensazione unica. Immaginare quanto era accaduto, e ritrovare un opera che ferma il tempo. Un silenzio immane quando ci sono stato, ma quel silenzio è diventato subito rumore, brivido, sussulto. E tanta ispirazione.

D: Il critico Massimiliano Reggiani ti definisce “uno scultore cromatico, un esteta della materia”. Ti ritrovi in questa definizione? Come descriveresti tu, invece, la tua identità artistica?
R: Mi rivedo molto in “Esteta della materia”. O meglio nel viandante solitario, esteta della materia. Mi piace esplorare, soprattuto sperimentare, quando creo divento un viandante solitario alla ricerca del “bello” e non solo. Potrei dire che non “creo” muri, barriere, ma creo emozioni che si toccano.
D: Nella mostra, tra le opere più simboliche c’è “Punto esclamativo”, accompagnata da parole molto intense: “Libero l’anima dalla materia. La superficie tace, il gesto parla”. Cosa rappresenta per te questo lavoro e come è nato?
R: È nato dall’esigenza di voler estrapolare la materia che veniva fuori dalle mie opere. Dargli effettivamente una “colonna vertebrale”, dargli un’anima. E l’ho fatto. Ma non mi bastava, c’era qualcosa dentro di me che chiedeva delle risposte. Ed è proprio in quel momento che ho creato il punto esclamativo. Posso confidarvi che l’opera reale per intero è “…!”, ci sono anche i tre puntini di sospensione e successivamente il punto esclamativo. I puntini di sospensione parlano dell’irrisolto ed il punto esclamativo simboleggia tutto il resto! E per questo che nasce il linguaggio e la frase è espressione.

D: In “Concrete” attraversi universi che vanno dal Mediterraneo ai boschi, dalla città alla riflessione sull’identità. C’è un filo invisibile che unisce tutte queste dimensioni?
R: Certamente. Il percorso del viandante solitario, dell’esteta della materia che porta con sé e regala allo spettatore quel filo invisibile tra il mare della Sicilia – mia terra natia, e di grande conflitto emotivo, la città che lo ha formato e cresciuto – Milano, e il Paese della riflessione del cambiamento, delle lunghe passeggiate nei boschi – la Svizzera.
D: Guardando al futuro, dopo “Concrete”, quali direzioni artistiche senti di voler esplorare? Hai già un’idea per la tua prossima ricerca o mostra?
R: Si, posso svelare che sto pensando molto e fremendo per questo nuovo progetto. Mi affascina. Mi istiga e mi mette alla prova. uno sviluppo ulteriore…continuo a sperimentare!
 
					