Carnevale siciliano, le maschere che capovolgono le gerarchie
Tempo di carnevale, nonostante tutto. Le maschere, le macchiette, i carri per vincere ansie e psicosi. Un esorcismo alla guerra, alla pandemia. Il carnevale per una umanità che resiste e la Sicilia risponde presente con le sue tradizioni.
Dopo due anni di festeggiamenti sottotono, ritorna la magia del carnevale, una festa che ha sempre avuto il gioco di una doppia faccia: il sorriso amaro da un lato, la tristezza nostalgica che invece sorride. Tutto in equilibrio. Una festa che toglie il superfluo, che infonde speranza e sogno, le cui origini sono da ricercare già al tempo degli antichi egizi, quando in maschera si onorava la dea Iside fino alla tradizione cristiana dell’ultimo banchetto prima della Quaresima: il banchetto del martedì grasso.
UNA FESTA CONTRI I SISTEMI
Un giorno così fuori dalle consuetudini che rovesciava l’ordine precostituito con estrema dissolutezza. Il termine carnevale fu introdotto solo alla fine del XIII secolo dal giullare Matazone da Calignano, ma già lo si festeggiava attraverso le saturnali, ciclo di festività che ribaltavano le gerarchie sociali: la rottura degli schemi attraverso il camuffamento, dietro a una maschera.
IL CARNEVALE SICILIANO
In Sicilia, la festività risalirebbe al XVI secolo. E tra i paesi legati alla tradizione troviamo: Acireale, Sciacca, Termini Imerese, Misterbianco, Saponara, Regalbuto, Palazzolo Acreide, Bronte, Taormina, Paternò, Mezzojuso, Cinisi e altri ancora. Anticamente in Sicilia si poteva assistere a delle danze particolari, come quella “degli schiavi” o quella dei “Balla-Virticchi”. I primi travestiti da schiavi, i secondi da pigmei sfilavano per le strade pubbliche ballando per intrattenere il popolo.
DALL’ABBATAZZU DI ACIREALE
Tra i carnevali più noti di Sicilia, quello di Acireale conserva le sue radici al XVI secolo quando ancora non era vietato lanciare uova marce e arance per strada (fu vietato nel 1700). Nel 1800 fecero l’esordio le sfilate dei carri nobiliari (la cassariata) e comparve l’Abbatazzu, chiamato anche Pueta Minutizzu, che mimava nobili o ecclesiastici. Portava con sé un grosso libro dal quale fingeva di leggere mentre sentenziava battute gravi e satiriche.
A PEPPE ‘NAPPA DI SCIACCA
Il carnevale di Sciacca sembra aver conservato il suo legame diretto coi Saturnali, tra vino, salsiccia, maccheroni al sugo e cannoli di ricotta, oggi come ieri, d’obbligo la maschera per volere antico del viceré Ossuna. Già dal giovedì si comincia con la conquista della chiave della città di un’altra figura importantissima: il re del carnevale, Peppe ‘Nappa, il cui carro viene dato al rogo per la fine della festa.
DOLCE E SALATO
Maschere, balli, ma soprattutto cibi tipici: dai maccheroni al ragù fino al minestrone del giovedì grasso con verdure, patate, fave secche sgusciate, cipolla, prezzemolo e lardo di maiale; dalla salsiccia (in alcuni carnevali distribuita ai passanti) fino ai dolci come le teste di turco (grossi bignè farciti con crema pasticcera o ricotta) o come la pignoccata (dolce a forma di pigna, preparato con farina, zucchero, tuorli d’uovo e un pizzico di sale). Ma ancora chiacchiere, castagnole, zeppole fritte, cannoli, cassatelle e sfinci.
TUTTE CHIACCHIERE
Sulle chiacchiere andrebbe fatto un paragrafo a parte, sono il dolce del carnevale siciliano per antonomasia. Secondo gli storici l’origine risale all’epoca romana, proprio dai dolcetti a base di uova e farina chiamati “frictilia” fritti nel grasso del maiale e preparati dalle donne romane per i festeggiamenti. Eccolo il nostro collegamento diretto tra passato e presente, tra tradizione e storia, di generazione in generazione. Una maschera, uno scherzo, un dolce per esorcizzare dalla notte dei tempi le nostre paure e le nostre ansie.