Se una storia non si racconta non esiste!
Forte dell’affermazione di Leonardo Sciascia, eccovi il resoconto di un viaggio della Memoria: una “due giorni”, quella di metà giugno scorso, che resterà per sempre in memoria. Ne sono certa.
Dopo l’incontro in mattinata, a Balestrate, con Michela Buscemi…la prima donna costituitasi Parte civile al maxiprocesso contro la mafia del 1986…di cui ho reso ampio resoconto nel mio precedente articolo pubblicato su questo blog, nel pomeriggio mi capita di incontrare all’hotel Saracen di Isola delle Femmine, Antonio Vassallo. Il nome, onestamente, non mi diceva granchè ma sono state le parole di Salvo Zappalà, patron di Sicilian Secrets, usate nel presentarmelo che hanno catturato la mia attenzione. Ora lo so chi è e, con viva soddisfazione, posso dire di conoscerlo ed avere avuto il privilegio di sentire dalla sua viva voce ciò che ha vissuto 28 anni fa. Seguitemi.
Antonio, allora venticinquenne, fu una delle primissime persone ad accorrere sui luoghi della strage di Capaci, lui che allora viveva ad un tiro di schioppo ed ha nello splendido territorio di Capaci ed Isola delle Femmine il suo quartier generale, diciamo. Neppure il tempo di perfezionare le presentazioni e…
Mi spieghi esattamente cosa accadde alle 17.58 esatte di quel 23 maggio del 1992?
“Guarda, dapprima pensammo…pensai, quantomeno… fossero le esplosioni provenienti dalla vicina cava dell’Italcementi che allora era ancora attiva ma, quella volta il botto…i botti anzi perchè furono due in sequenza ravvicinata…erano stati troppo più forti del solito. Fu per questo che, con la mia fedele macchina fotografica al collo, presi la Vespa e mi recai laddove si presupponeva, per il via dell’altissimo nuvolone di fumo misto a detriti, che qualcosa di grave fosse successo”.
A questo punto, è come diventare gli occhi di Antonio e vedere, in presa diretta, le immagini rimaste in memoria nella testa del giovane fotografo siciliano. La voce s’incrina leggermente a riprova che, nonostante gli anni passati, il ricordo è vivido e crea ancora sgomento.
“Arrivai che ancora non credo ci fosse qualcuno di estraneo alla vicenda…lo spettacolo che mi si presentò era un vero e proprio scenario di guerra. Vidi una grandissima voragine sul ciglio della quale insisteva in bilico una macchina, capii dopo… una Croma blindata. Mi avvicinai. Alla guida un tizio che non riconobbi sul momento. Il pensiero non andò a Falcone, no…sapevamo che era a Roma e poi, ripeto, non lo riconobbi e, comunque, per me…chi era alla guida, doveva essere l’autista non certo una personalità tutelata. Accanto a lui una figura femminile immobile e leggermente piegata sulla sua destra. Dietro individuai una figura. Non ricordo se si muovesse o meno”.
Antonio saprà, dopo, di essersi trovato al cospetto del giudice Giovanni Falcone, della moglie Dott.ssa Francesca Morvillo e seppe che l’uomo seduto sul sedile posteriore era l’autista del giudice, Antonio Costanza…unico sopravvissuto tra gli occupanti quella macchina.
“Ricordo che chi stava al volante, una maschera di polvere e sangue, guardò nella mia direzione. Non so se mi vedesse o fosse sotto il forte choc provocato da quello che poi verrà definito l’”attentatuni” per la violenza della deflagrazione. In quel momento i nostri occhi si incrociarono, questo è certo e, se è vero che il dottor Falcone era ancora lucido, spero non abbia intravisto in me il possibile killer che veniva ad ultimare il suo compito di morte. Quello che lessi, in quegli istanti irripetibili, fu quello…onestamente. Questa cosa continua a togliermi il sonno…a distanza di 28 anni. Furono attimi e, ripeto, a parte coloro che a vario titolo erano stati coinvolti in quella mattanza, altri non avevano avuto il tempo di intervenire sui luoghi. Ricordo che l’autoradio di qualche macchina gracchiò qualcosa che aveva a che vedere con un “Quarto Savona 15” saprò, poi, trattarsi della macchina degli agenti di scorta che fu trovata ad un centinaio di metri di distanza, essa sì colpita in pieno dall’esplosione. Tutto intorno era caos. I feriti si lamentavano su ambo i lati di quello che fino ad una manciata di minuti prima era stato un tratto di autostrada. Mentre cercavo di fare mente locale, dalla macchina che si trovava dietro la Croma uscì un giovane con il mitra in pugno e mi urlò qualcosa contro. Il suo atteggiamento non era conciliante, anzi…seppi poi trattarsi di uno degli “angeli custodi” del giudice Falcone. Di quelli che chiudevano il corteo di tutela. Mi urlò contro non so cosa ed io, giovane e spaventato, scappai correndo il rischio di farmi sparare ma così fu”.
Al riguardo, va registrata la testimonianza di quell’agente che la storia ci dice essere stato Angelo Corbo e che viene riportata nel libro “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le cose non dette e quelle non fatte” di Carlo Sarzana di Sant’Ippolito: “In quei momenti, il cervello non era in grado di dare ordine alla mia mano ed alla mia gamba. L’unica cosa che ricordo appunto è di aver puntato il mio M12 contro un ragazzo che si avvicinava. Era un fotografo, ma io allora non lo conoscevo e gli stavo per sparare; poi, non so come né perchè, non ho fatto fuoco e sono felice per questo perchè, in quel momento, il fato mi ha fermato, altrimenti avrei avuto anche questo rimorso”. Per la cronaca, va detto che Corbo e Vassallo si sono incontrati nuovamente ben 17 anni dopo, in occasione di un convegno e che un lungo abbraccio ha suggellato un momento di grande commozione reciproca.
![Angelo Corbo ed Antonio Vassallo (Archivio Vassallo) Angelo Corbo ed Antonio Vassallo (Archivio Vassallo)](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/vassallo-e-corbo-700x527.jpg)
Antonio Vassallo continua la narrazione ed è come essere lì con lui, quel pomeriggio di 28 anni fa…
“Dopo essermi allontanato e vedendo che si cominciava a movimentare la scena, tornai sui miei passi per testimoniare ciò che vedevo anche se non sapevo di cosa si trattasse. Tornai indietro, dicevo e cominciai a fotografare tutto ciò che vedevo anche perchè ero in possesso di una regolare licenza rilasciatami dalla questura di Palermo. Ricordo che scattai tante foto…di cosa, di chi, non saprei dirvi fino a quando, ad un certo punto, fui avvicinato da due persone in abiti civili che, dopo avermi fatto vedere precipitosamente un tesserino, mi chiesero di consegnare il rullino. Abbozzai un tentativo di protesta ma mi strattonarono e presero il contenuto della mia macchina, fine della storia. Intanto, le notizie si rincorrevano, si cominciò a fare il nome del giudice Falcone…si cominciò a parlare di una macchina di scorta che era stata sbalzata ad un centinaio di metri dall’esplosione. Andai a vedere…la macchina degli agenti di scorta era, ad un primo esame visivo, integra ma capovolta e come se fosse collassata su se stessa. Questo il ricordo che ne ho io, contrariamente ad altre testimonianze che parlano di una macchina accartocciata e quasi disintegrata….saranno gli scherzi della memoria ma io la ricordo così e, comunque, poco importa. Insomma, tornando a quei momenti ed alla visione dell’auto di scorta, alla testa del corteo di protezione…era uno spiraglio quello che si vedeva tra il tettuccio e l’asfalto e, l’esistenza di esseri umani all’interno dell’abitacolo era segnalato da quel rivolo di sangue che si vedeva scendere da una tempia. Quella macchina fu la tomba degli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonio Montinari: l’esplosione li aveva presi in pieno, trovandosi probabilmente loro nel punto esatto in cui doveva trovarsi invece la macchina del giudice che rallentò, proprio all’ultimo momento, per un fatto che vi dirò appresso. Tornato verso la Croma che si trovava in bilico sul cratere…vidi che tiravano fuori la donna. La parte inferiore del corpo era in condizioni pietose, essendo rimasta incastrata nella parte anteriore della macchina accartocciatasi in conseguenza dell’impatto con il muro creato dal bordo del cratere. Poi, ricordo solo confusione, elicotteri, sirene, lamenti…immagini e suoni che non mi lasceranno mai. Pensa, in fondo, l’attentato al giudice…studiato nei minimi particolari…aveva rischiato di fallire per un’imprudenza, diciamo, dello stesso giudice: Falcone con quella sua azione incosciente di sfilare la chiave dal cruscotto per passarla all’autista che, ripeto, stava dietro…non stava per farli ammazzare come gli disse allarmato l’autista ma, al contrario, stava fornendo a loro stessi forse l’unica àncora di salvezza: la macchina, a causa del rallentamento causato dall’azione dello stesso giudice, non venne a trovarsi esattamente al centro della deflagrazione che, invece, prese in pieno l’auto della scorta che precedeva. La Croma blindata impattò con la muraglia creata dal cratere prodottosi con l’esplosione: insomma, Falcone e la moglie morirono per l’impatto come si fosse trattato di un normale incidente di macchina. Troppa la velocità, troppo il peso della blindata per non risultare fatale l’impatto. Impatto che, ripeto, risparmiò dalla morte l’autista che stava nel sedile posteriore. Questo il ricordo di quel pomeriggio”.
Si ha l’impressione che Antonio si rassereni, archiviando le immagini di quel pomeriggio e continua…
“Poi, quando mesi dopo ebbi la possibilità di incontrare Ilda Bocassini, la magistrata che si occupava delle indagini a Caltanissetta, le feci presente che tutto ciò che avevo visto era nelle foto che sicuramente erano allegate agli atti. La giudice, ricordo, trasecolò…mai viste quelle foto!”
Di quelle foto e del perchè non fossero state allegate ancora agli atti d’indagine sulla strage di Capaci, Antonio Vassallo ebbe notizia nei giorni che seguirono da Arnaldo La Barbera…capo della Squadra mobile di Palermo. Invitandolo a non alzare polveroni e, non negando pertanto l’esistenza di queste foto, il poliziotto…poi coinvolto nel depistaggio seguente alla strage di Via D’Amelio e morto nel 2002…disse che erano state rinvenute casualmente nella tasca di una divisa (“Ma di quale divisa – si chiede ancora Antonio – se i due che si appropriarono del rullino, erano in borghese?”) e promise che avrebbe provveduto ad allegarle agli atti dell’inchiesta. Cosa che mai fu fatta e, a tutt’oggi, delle foto scattate da Antonio Vassallo non vi è traccia da nessuna parte.
“Chi erano i finti agenti? Com’è che si trovarono sul posto nell’immediatezza dell’avvenimento come se sapessero preventivamente che sarebbe successo quello che poi era realmente successo qualche minuto prima? Chi avevo fotografato? Cosa? Lo sapremo mai? Non lo credo, onestamente!”.
Certo è che quel pomeriggio ha cambiato la vita di Antonio che, da allora, gira in lungo e largo l’Italia per raccontare la sua storia e tenere vivo il ricordo di quegli anni terribili, facendoli conoscere a chi ancora non era nato. Antonio parla, parla…la sua è una continua testimonianza ma chi dovrebbe dargli ascolto ed attivare tutte le procedure per tirare fuori quelle famose foto…tace e già sono stati 28 anni quest’anno. E’ bene ricordare che è di Antonio Vassallo, inoltre, la paternità di quella scritta NO MAFIA che campeggia sulla cabina dell’ENEL che sovrasta quel tratto di autostrada e da cui Brusca avrebbe azionato, da una postazione privilegiata, il telecomando della strage. Il condizionale è d’obbligo, direbbe qualcuno. ( La foto di copertina è appunto la “Casetta Enel” in cui erano appostati i mafiosi che azionarono l’esplosivo della strage di Capaci. Oggi, “luogo della Memoria” (Archivio Vassallo) ndr )
E’ questa la verità? Tutta la verità? Non sta a noi dirlo ma le incongruenze che testimoniano, tra l’altro, la presenza di altri soggetti nelle vicinanze, soggetti non propriamente identificabili con i mafiosi i cui nomi sono contenuti nelle carte del processo, qualche dubbio che la strage di Capaci sia un altro di quei misteri tipicamente italiani lo pone. Quella scritta, voluta da Antonio, campeggia dicevo su quel tratto di autostrada…non si può non vederla ed è lì a monito affinchè si prendano le distanze da quella “montagna di merda” che è la mafia e, al contempo, è lì a testimoniare il sacrificio di 5 vittime innocenti.
Mentre Antonio parla, non posso non pensare a ciò che rispose il giudice Borsellino ad un sacerdote che gli chiedeva cosa potesse fare, concretamente, per lottare la mafia: “Io metto in carcere i padri, lei educhi i figli alla legalità”…ecco, questo fa Antonio Vassallo con i tanti giovani che incontra! Questo fa lui, questo fa Michela Buscemi…questo fa Giovanni Impastato.
Quel pomeriggio, frastornata dal racconto di Antonio Vassallo, decido di chiudere la giornata con una visita a Porticello, frazione di Santa Flavia, piccolo comune marinaro ad una ventina scarsa di chilometri da Palermo: è lì che il 28 luglio del 1985, a soli 34 anni, fu assassinato Beppe Montana…il Capo della sezione catturandi della Squadra mobile di Palermo, colui che aveva assicurato alle patrie galere nientemeno che Tommaso Spadaro, boss indiscusso del traffico di droga. Il suo assassinio diede il via ad una delle estati più sanguinose che la Sicilia ricordi con vittime eccellenti tra i rappresentanti dello Stato: basti pensare che, a distanza di soli 9 giorni, fu la volta del dott. Ninni Cassarà capo dello stesso Montana. La rassegna stampa ci dice che sul luogo dell’uccisione del commissario la piazzetta è stata intitolata al valoroso poliziotto ma, a margine, devo dire che mi viene il dubbio si sia trattata di un’ intitolazione fittizia, magari svoltasi in occasione di qualche ricorrenza e chiedo, preventivamente, scusa al Comune di Santa Flavia se dovesse risultare un’impressione errata ma certo è che il navigatore satellitare nulla sa di questa Piazza Montana e che, non appena arrivati, ci accorgiamo…io e Salvo Zappalà, patron di Sicilian Secrets…che la precedente intestazione non è stata rimossa ma semplicemente coperta da un’altra targa…la qual cosa risulta anche visivamente sgradevole.
![Il dott. Beppe Montana Fonte wikipedia Il dott. Beppe Montana Fonte wikipedia](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/foto-giusta-Montana.jpg)
Il monumento, poi, che dovrebbe ricordare il sacrificio del giovane poliziotto nel punto esatto dove fu raggiunto da una scarica di Magnum 357 e Calibro 38, è in balia di chi non ha rispetto e non conosce la storia: cicche, cartacce e ragazzi vocianti seduti spalle all’iscrizione. Messo in sordina il chiacchiericcio dei tanti avventori del bar dirimpetto, nonostante il lockdown, provo a guardarmi in giro: “Chissà quale l’ultima immagine che ha visto? Sono questi i colori di quella sera?”. Ripercorro le poche decine di metri percorse dallo stesso, in compagnia della fidanzata, dopo aver assicurato agli ormeggi il motoscafo nell’attiguo porticello e sembra di sentirlo il fresco di quella sera, dopo la calura di una giornata estiva…sembra di sentirlo il killer che lo chiama per assicurarsi sia proprio lui…sembra di sentirlo a pelle il suo sgomento e l’orrore della fidanzata, risparmiata dal piombo dei killer, ma certamente marchiata a vita da quell’esperienza di morte.
In lontananza, vedo la sagoma dell’Hotel Zagarella che richiama alla memoria il famoso bacio tra l’On. Andreotti e Totò Riina, a suggello di un ipotetico legame tra Stato e Mafia…sempre che non appartenga ad una narrazione romanzata dei fatti. Il bacio, dico. La splendida borgata marinara, con i suoi profumi e la sua atmosfera, si illumina dei colori della sera e, dopo, un momento di preghiera e di raccoglimento davanti alla stele che ricorda il sacrificio del giovane servitore dello Stato…ritorniamo all’hotel Saracen ad Isola delle Femmine. In programma, l’indomani una visita a Cinisi e, tornando a Catania, una fermata a Portella delle ginestre in territorio di Piana degli Albanesi.
La visita, dapprima preventivata con il solito Salvo Zappalà, bloccato all’ultimo momento da impegni improvvisi ed improcrastinabili, si arricchisce della compagnia di Antonio Vassallo con il quale percorro i pochi chilometri che separano Isola delle Femmine da Cinisi. Direzione, Casa della Memoria e casolare dove venne brutalmente assassinato Peppino Impastato. So che non serve più ma due parole su chi fu, e cosa ha rappresentato nella lotta alla mafia, Impastato voglio dirle perchè ricordare…fare Memoria…non è mai abbastanza.
Peppino Impastato è stato un attivista ed un giornalista noto per le sue denunce antimafia, colui che pur essendo nato e cresciuto in una famiglia di mafiosi, a soli 15 anni…e dopo la morte dello zio, noto boss mafioso di Cinisi…decise che era venuto il momento di prendere le distanze da quello che fino ad allora era stato il suo mondo e di battersi per la legalità in un momento storico, è bene ricordare, in cui l’oppressione della mafia ammorbava la Sicilia. Egli, grazie all’arma dell’ironia e quindi prendendo in giro i mafiosi del suo paese, in primis quel Tano Badalamenti (Tano Seduto) che fu, a distanza di anni riconosciuto mandante del suo omicidio, cominciò un’opera di sensibilizzazione e di educazione alla legalità, alla bellezza tout court…contro il cancro della mafia che fu cifra delle sue denunce.
Aveva solo 30 anni quando il 9 maggio del 1978, proprio il giorno in cui venne rinvenuto il cadavere dell’On.Aldo Moro, fu prelevato all’uscita della radio, cassa di risonanza delle sue battaglie, e condotto in un casolare nei pressi dell’aeroporto di Punta Raisi, oggi intitolato ai giudici Falcone e Borsellino. Lì brutalmente massacrato ed il corpo, trascinato sui vicinissimi binari, fatto brillare a simulare un tentativo di attentato terroristico andato a male. Questa la tesi portata avanti, in 20 anni di depistaggi, e che ha visto la madre Felicia in prima linea nella difesa della memoria del figlio. Anch’io, e ne porto ancora il peso del rimorso, sentendo la notizia al telegiornale ricordo di aver pensato che, essendo quel terrorista di cui parlavano, in fondo “se l’era cercata” diventando, io stessa, inconsapevole pedina di una mistificazione della verità dei fatti che è durata decenni.
E’ Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, che ci accoglie nella prima stanza di questa casa della Memoria punto di riferimento e meta di tantissimi visitatori soprattutto dopo il successo de “I cento passi” il pluripremiato film di Marco Tullio Giordana incentrato proprio sulla figura e l’attività di Peppino: dopo la morte della madre, avvenuta nel 2002, è Giovanni ad avere raccolto il testimone in un passaggio simbolico di consegne ed è sempre Giovanni colui che ha avuto affidata anche la gestione della casa di Badalamenti che si trova proprio a cento passi da casa Impastato, entrambe allocate nella principale via del paese. Ricordo che siamo a Cinisi. Giovanni è un fiume in piena e nonostante i limiti dovuti al Covid 19, comincia a parlare, parlare e sembra non voler smettere mai come se avesse urgenza di raccontare, soppesando le parole e dando loro la giusta enfasi. Non avevo preventivato un’intervista ma non mi sono sottratta di fronte a tanta disponibilità.
![Giovanni Impastato, fratello di Peppino Foto Antonio Vassallo Giovanni Impastato, fratello di Peppino Foto Antonio Vassallo](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/fratello-di-peppino-impastato.jpg)
Giovanni…come hai vissuto la tua vita…il tuo impegno… stretto tra il grande esempio di tuo fratello Peppino e quello altrettanto ingombrante di tua madre Felicia, due campioni nella lotta alla legalità? Il pericolo di rimanere stritolato tra due personalità così forti c’era, no?
“Un’eredità pesantissima. Io ho accettato in pieno il mio ruolo di fratello di…di figlio di… Il mio interesse è sempre stato quello di raccontare la storia. Diceva Sciascia “Se una storia non si racconta, non esiste”. Ecco, tutta la mia vita l’ho dedicata alla ricerca della verità, rimettendoci anche…eh? In tutti i sensi. Non posso fermarmi, soprattutto oggi che mia madre non c’è più. Il testimone è stato già passato ma non è solo nelle mie mani..è in quelle di tanta altra gente, dei tanti compagni di Peppino ma anche dei tanti giovani che non l’hanno neppure conosciuto, di te che sei venuta a trovarmi…”
Oggi, chi è il nuovo Peppino Impastato? Identifichi una figura che ci si avvicini?
“Oggi che il clima è cambiato, ci sono tanti Impastato…parlo dei giornalisti che rischiano la propria vita, parlo dei tanti imprenditori che denunziano le pressioni mafiose, parlo dei giovani che fanno parte delle associazioni pro legalità. In un certo senso, questa gente ha fatto resuscitare Peppino…ancora più presente e pressante di quando era vivo”.
E sull’onda dei ricordi, Giovanni mi racconta di quella sera del 9 maggio del 1978 quando il fratello fu prelevato all’uscita di Radio Aut, cassa di risonanza delle sue tante proteste.
“Volevano farlo passare per terrorista ed è per questo che non fu vittima di un normale agguato di mafia ed è sempre per questo che fu fatto saltare in aria nel tentativo di far passare la sua morte per un tentativo di atto terroristico andato a male…era quello il periodo di atti di tale genere. Il depistaggio, poi, è durato più di 20 anni”.
Giovanni, quale l’ultima immagine che hai di tuo fratello?
“Guarda, io lo vidi mi pare tre giorni prima…era sereno stranamente nonostante la stanchezza della campagna elettorale che lo vedeva impegnato in prima linea nelle Comunali a Cinisi. Stanco ma sereno…così lo ricordo. Elezioni che certamente lo avrebbero visto vittorioso”.
E cosa ricordi di quella sera?
“Quella sera…io avevo 25 anni…ricordo che mi portarono in caserma dove mi comunicarono che mio fratello era morto mentre preparava un attentato. Alle mie proteste, ho rischiato di essere arrestato figurati. Sin dal primo momento, si sono rifiutati di spostare le indagini su altri piani…per loro si trattava di terrorismo e basta.”
Giovanni, a Te toccò il compito di riconoscere i resti di Peppino?
“No, il riconoscimento non lo feci io ma una nostra parente…una cugina che a Peppino faceva le punture. Lo riconobbe dall’unico resto che fu trovato…una gamba.”
A chiosa del nostro incontro, noto che davanti alla porta di Casa Memoria, così come davanti tutte le case che insistono sul corso principale di Cinisi, campeggia un albero di arance amare e mi ritrovo a pensare come spesso la Memoria venga associata ad un albero…è successo con l’albero che si trova in Via Notarbartolo, davanti a casa Falcone e con quell’ulivo fatto piantare dalla mamma del giudice Borsellino in Via D’Amelio….la Memoria, così come un albero, affonda radici profonde e cresce forte e rigogliosa.
“La cosa strana è che questo alberello, abbellito tra l’altro dai fazzoletti dei tanti scout che sono venuti qui e continuano a venire, è più folto e rigoglioso degli altri alberi simili che si trovano lungo il corso. Significherà qualcosa? A me piace pensare sia un messaggio!”
Salutiamo Giovanni e con Antonio ci dirigiamo al casolare al quale si accede, da una stradina che costeggia una pista dell’aeroporto palermitano. Una strada sconnessa che, svoltando a destra, ad un certo punto ci conduce al luogo ove siamo diretti. Dalle informazioni ricavate da google dovrebbe chiamarsi Via Orchidea…lì tutte le strade portano il nome di fiori e mi ritrovo a pensare che tutto strida a primo acchito con il fatto che la zona fu teatro di un delitto orrendo. Oggi, scoprirò, la strada risulta intitolata al quel famoso giorno: “9 maggio 1978”.
Qualche centinaio di metri di strada non asfaltata, soffocata a destra e a sinistra da villette di recente costruzione. Nel ripercorrere questa stradina, non posso non immaginare il terrore di un giovane uomo di 30 anni che sa perfettamente dove lo porteranno quegli uomini che lo tengono prigioniero dentro quella macchina.
E’ notte. Impastato sta per andare all’appuntamento con la morte. Non posso che commuovermi. Arriviamo. Quello che vediamo è un casolare mal messo, diroccato, con due varchi d’ingresso, entrambi sprovvisti di porta. “Un giorno – mi aveva raccontato Giovanni – diventerà un altro luogo della Memoria. Bisogna completare l’iter di esproprio e di assegnazione”. Oggi, no…oggi è un edificio abbandonato che lascia immaginare, dalla mole di calcinacci…polvere e pietre al suo interno, sia nelle stesse condizioni di quel lontano 1978.
Peppino, trattenuto a forza, viene massacrato a botte ed il suo corpo, ormai esanime, trascinato sui vicinissimi binari ed è lì che viene fatto saltare in aria, come a simulare…come dicevo…un atto terroristico. Fu solo per la caparbietà degli amici, del fratello e della madre, soprattutto…che il tutto non venne archiviato come nelle intenzioni di chi per 20 anni ha simulato, insabbiato: furono loro che rintracciarono tracce di sangue all’interno del casolare, prova che prima di saltare in aria, egli fosse stato brutalmente massacrato e furono sempre loro che rintracciarono, nello spazio antistante la ferrovia, reperti del corpo di Peppino.
Entrare in quel casolare, ha prodotto in me sensazioni deflagranti…l’emozione ha preso la via degli occhi sotto forma di lacrime non trattenute e, il quel momento, mi accorgo che anche Antonio è commosso: “Sai che non c’ero stato mai? Strano ma è così! Abbiamo fatto bene a venire”. Mentre Antonio parla e la sua voce mi arriva filtrata, mi sembra di sentirlo Peppino che urla, che prova a difendersi, che ha paura. Mi pare di vederlo appoggiare le sue mani insanguinate nel muro scrostato di quel casolare nel tentativo di resistere a tanta violenza belluina. Peppino quella notte morì e, contrariamente, a quello che pensavano di fare i mafiosi, cioè tacitare una voce libera ed irriverente, con il suo assassinio gli diedero molta più sonorità di quanto, probabilmente, Impastato avrebbe avuto se fosse rimasto in vita.
![Casolare in cui venne assassinato Peppino Impastato Foto Antonio Vassallo Casolare in cui venne assassinato Peppino Impastato Foto Antonio Vassallo](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/casolare-impastato-700x473.jpg)
Provo a raccogliere una delle pietre che disordinatamente coprono il pavimento… ho un sussulto, è come fossi riuscita a stabilire un contatto ancora più profondo con Peppino, con il suo terrore e l’umana paura…mi ritraggo e lascio la pietra laddove deve stare, a testimonianza di ciò che avvenne quella notte. L’emozione è palpabilissima e mi fa specie vedere in difficoltà emotiva, visibilmente turbato, Antonio Vassallo che è anni che fa testimonianza e che pensavo fosse abituato a misurarsi con un certo tipo di emozioni. No, evidentemente non è così…ed è giusto sia così: non ci si abitua mai.
Risaliamo in macchina e proprio lungo strada che costeggia l’aeroporto, Antonio riceve una telefonata. Sin dalle prima battute capisco trattasi di Massimo Giletti, il conduttore di “Non è l’arena”…invita Antonio alla trasmissione della domenica successiva: vorrebbe che portasse la sua testimonianza su Capaci. Antonio accetta a patto che possa parlare anche del riscatto di un territorio:“Caro Giletti, vorrei che si capisse che Capaci non è solo un tratto di autostrada. Vorrei spendere qualche parola su quanto si faccia per diffondere la cultura della legalità. Raccontare un mero fatto di cronaca, non m’interessa”. Alle rassicurazioni del giornalista, poi disattese in diretta per via dei maledetti tempi televisivi, Vassallo accetta e così ciò che a me aveva raccontato il pomeriggio prima, diviene il momento più alto ed emozionante di una puntata in cui ospite principale è il p.m. Nino Di Matteo. Si tratterà dell’ennesima volta in cui Antonio Vassallo racconterà la sua storia e ciò che vide, quel pomeriggio di ben 28 anni fa a Capaci e, forse, anche l’ennesima volta che nessuno di chi dovrebbe e potrebbe appurare la verità dei fatti continuerà a non tener conto delle parole del giovane fotografo siciliano? La speranza è che questa volta sia diverso…vedremo.
![Antonio Vassallo ospite di "Non è l'arena" con Massimo Giletti (Archivio Vassallo) Antonio Vassallo ospite di "Non è l'arena" con Massimo Giletti (Archivio Vassallo)](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/giletti-1-700x525.jpg)
Quel giorno, di per sé già estremamente emozionante, si conclude con la visita al Memoriale di Portella delle Ginestre la cui verità storica a distanza di ben 73 anni non è ancora nota e della quale si occupò persino il giudice Rocco Chinnici, a distanza di decenni, per fare il punto sul fenomeno mafioso. Quello che è stato creato dall’architetto De Conciilis in quello spazio, in territorio di Piana degli Albanesi, credetemi sulla parola, è qualcosa che supera ogni immaginazione. Laddove il Primo maggio del 1947, gli uomini del bandito Salvatore Giuliano lasciarono a terra ben 11 morti e svariati feriti, l’architetto in questione ha posto dei grandi massi ognuno a simboleggiare un morto…sassi stilizzati, senza forme ben precise ma che riescono ad esprimere dolore, sofferenza, alcuni in una pietra dalle sfumature rossicce tipiche di quella zona.
![Stele con i nomi delle vittime di Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà Stele con i nomi delle vittime di Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/particolare-portella-700x525.jpg)
Portella è esattamente come la immagini…lo scenario è quello che hai visto mille volte nei film che ne raccontano le fasi. Ti pare di vederli questi contadini accorsi per celebrare la Festa del Lavoro, anche solo…si saprà dopo…nella speranza di poter mangiare qualcosa in tempi di assoluta povertà. Ti pare di vederlo, Giuliano che, non appena prende la parola il primo relatore, dà l’ordine di sparare sulla folla…essendo ben posizionato sull’altura rocciosa che circonda l’avvallamento. Ai primi spari la gente…racconteranno i superstiti…non capì che si trattasse di un agguato, pensando di contro a botti pirotecnici sparati per la circostanza. Solo dopo qualche minuto, vedendo cadere persone accanto a sé…il panico ed il fuggi fuggi ma quando ormai… era troppo tardi: erano circa 2000 i contadini accorsi, a piedi ed in mulo, dalla vicina Piana, da San Giuseppe Jato, da San Cipirello. Furono 15′ di raffiche di mitra che lasciarono sul capo, come dicevo, 11 morti…8 adulti e 3 bambini. Molti dei feriti, morirono poi in ospedale e non vennero conteggiati come morti di quel giorno. Il Memoriale, da un punto di vista architettonico, è un originale sistemazione naturale-monumentale del luogo, opera di land art (arte della terra) ed è stata progettata e realizzata, negli anni ’79/80, in segno perenne della Memoria sul pianoro sassoso. Chapeau agli ideatori e agli esecutori!
![Particolare Memoriale Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà Particolare Memoriale Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/2-particolare-portella-700x527.jpg)
Anche lì, tra il suono del vento che spira nella vastità del pianoro, pare di sentirle le urla, le invocazioni di aiuto dei poveri contadini che scontavano l’odio della mafia per il comunismo e che di politica certamente non capivano nulla. Anche lì mi viene spontaneo toccare le pietre perchè le pietre parlano, accidenti, fungono da tramite tra chi non c’è più e chi ha voglia di ascoltare ancora una volta le voci. La tentazione, anche in quel caso, è di prendere e portare con me una di quelle pietre e non certo come souvenir ma per riuscire a stabilire un contatto con la storia anche quando sarò lontana, nella mia amata Viagrande ma…desisto. E’ quello il loro posto…lo è stato per tutti questi lunghi anni e continuerà ad esserlo.
![Memoriale di Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà Memoriale di Portella delle Ginestre Foto Salvo Zappalà](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/2memoriale-portella.jpg)
Prima di salire in macchina, visibilmente emozionati stavolta io e Salvo Zappalà, raccolgo una ginestra…fiore giallo che presente copiosamente in quella zona, dà proprio il nome alla località. Lo prendo ed istintivamente lo metto all’interno del libro che in mattinata ho acquistato a Casa Memoria “Oltre i cento passi” di Giovanni Impastato ed è lì che, a distanza di giorni e dovendo scrivere di quella mia esperienza, lo ritrovo a ricordarmi quel filo che esiste tra i due avvenimenti, datati in epoche diverse ma entrambi espressioni di quella lotta tra Bene e Male che, da sempre, caratterizza la storia siciliana e non solo. Un filo che racconta di due battaglie vinte dal Male ma che, certamente, hanno aperto la strada a quella vittoria finale del Bene che tutti ci auspichiamo.
E’ ora di fare strada verso Catania. Andando verso Piana degli Albanesi il paesaggio che ci si presenta è di rara bellezza con un lago la cui visione ci stordisce…è naturale? E’ artificiale? Cosa importa? E’ di rara bellezza come tutta la zona. Lungo la strada…è passata da un po’ l’ora di pranzo…ci fermiamo all’Agriturismo Argomesi, in contrada Dingoli, dove l’assaggio di prodotti tipici della zona e di costolette di maiale “vero”, come lo definisce il simpatico proprietario ( intendendo con ciò, maiali allevati in zona…nelle masserie locali), conclude un viaggio virtuale nella Memoria che difficilmente dimenticherò…dimenticheremo, ne sono certa. Una sorta di Via Crucis laica nei luoghi…nei racconti…che parlano del sacrificio di tanti innocenti la cui memoria và custodita, tramandata affinchè l’esempio di questi nostri eroi ordinari funga da pungolo per tutti noi.
![Lago di Piana degli Albanesi Fonte Tripadvisor.it Lago di Piana degli Albanesi Fonte Tripadvisor.it](https://blog.siciliansecrets.it/wp-content/uploads/2020/07/lago-piana.jpg)
Riusciremo, un giorno, a parlare di mafia come di un fenomeno del passato? Il dubbio che la strada da fare, in tal senso, sia ancora tanta mi resta onestamente… basti pensare che,
per la prima volta in vita e per ben due volte, in questa “due giorni” mi ha raggiunto il termine “pampina” usato per descrivere un certo nuovo tipo di associazione mafiosa…qualcosa di diverso e, forse, gerarchicamente più bassa della “stidda”…non saprei. “Oggi la mafia opera e continua a vivere sotto traccia”, mi racconta qualcuno. “Ha cambiato pelle… terminologia…copre la realtà come fa la foglia di pampina che nasconde i grappoli d’uva. Fa ombra…opera nella clandestinità”. Chissà se qualche pentito un giorno darà conto di cosa sia oggi la mafia, di quale sia il nuovo assetto, così come fece Buscetta quando al giudice Falcone svelò l’organigramma di quella che era la struttura piramidale dei tempi…quanto, e in cosa, è cambiata da allora?
In conclusione…qualcuno ancora si chiede cosa c’entrino questi miei racconti con un blog prettamente turistico ed ancora una volta…tanto più che le pagine che mi ospitano vanno in giro all’estero…voglio chiarire che il mio è un piccolissimo tentativo di dare un contributo per sradicare certi stereotipi duri a morire. Una terra come la nostra va conosciuta ed amata non solo per le bellezze paesaggistiche, naturalistiche ed architettoniche…riconosciute ormai a livello mondiale.
La Sicilia va conosciuta ed amata per le tante luci e le ancora resistenti ombre perchè se è vero, com’è vero purtroppo, che ha dato i natali a gente come Brusca e Riina, è stata ed è anche l’amata patria delle Buscemi, degli Impastato, dei Vassallo…gente mai sazia di coltivare la Memoria e sempre attiva affinchè quella cappa di asfissiante illegalità che ha ammorbato lungamente la nostra meravigliosa terra lasci il posto alla brezza rinfrancante della legalità.
E’ questa la Sicilia ed i siciliani che voglio raccontare!
Alla prossima! Silvia Ventimiglia
Pubblicazione a cura di Saverio Garufi.