In piedi, Signori, davanti ad una Donna
A Tu per Tu con Michela Buscemi, prima donna a costituirsi Parte civile al maxiprocesso contro la mafia nel 1986.
Prima di parlarvi di Michela Buscemi, protagonista di questo nuovo “ritratto”, permettetemi di fare un passo indietro e di contestualizzare la persona per meglio capire il valore di questa piccola, grande donna e comprendere quale sia stato il suo reale contributo alla lotta alla mafia e alla formazione di un nuovo modo di pensare, tipico…nonostante tutto… delle nuove generazioni.
Siamo negli anni ’80, seguitemi. Furono quelli anni che videro Palermo diventare scenario della seconda grande guerra di mafia che vide contrapporsi, per l’affermazione del dominio sul territorio, i Corleonesi di Totò Riina e la fazione guidata da Stefano Bontade: lo scontro, in definitiva, si consumò tra mafia della provincia e quella cittadina. Furono anni sanguinosi, ripeto…soprattutto quelli a cavallo tra l’81 e l’83…ed in cui si registrarono oltre 600 omicidi ed alla fine dei quali risultò vincente la fazione guidata da Riina “u curtu” che, poi, sarebbe stato riconosciuto come “Capo dei capi”.
E furono, anche, anni in cui lo Stato alzò il tiro nel tentativo di arginare la violenza dilagante e lo fece con gli strumenti che aveva a disposizione: emanando leggi…intensificando le azioni di polizia ed attivando tutta una serie di indagini a tappeto e che, a causa di ciò, lo portò a pagare un tributo altissimo in termini di vite umane. Furono tantissimi gli omicidi eccellenti in cui moriranno alti rappresentanti dello Stato tra cui, e non volendo fare torto a nessuno ma nell’impossibilità di citarli tutti, il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Vice Questore Boris Giuliano, il Segretario provinciale della Democrazia Cristiana, Michele Reina ed il Presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica italiana. Ripeto, solo per citarne alcuni…tristemente lungo l’elenco dei martiri di mafia per poterlo dispiegare tutto!
E fu, proprio a fronte di tutto ciò e per cercare di arginare una situazione ormai fuori controllo che, l’allora Consigliere Istruttore…Rocco Chinnici…gettò le basi per quello che più tardi sarebbe diventato il famoso Pool Antimafia: gruppo di giudici istruttori che, lavorando in equipe ed esclusivamente su reati di stampo mafioso, avrebbero potuto avere una visione più chiara ed omogenea del fenomeno criminale così da trovare il metodo migliore per contrastarlo. Quando, nel 1983, lo stesso Chinnici venne assassinato, il suo successore Antonino Caponnetto, venuto apposta da Firenze, pensò di dare al suddetto pool un’organizzazione simile a quella adottata dai giudici che, al Nord, avevano combattuto e sconfitto il terrorismo.
La mafia doveva essere stanata, portata dietro le sbarre e giudicata…questa la mission che si era imposto il pool! Il gruppo che venne formato e che è entrato, a pieno titolo, nella Storia del nostro Paese, potè contare sull’esperienza, la professionalità ed il carisma dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in primis e completato dai colleghi Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Ai sostituti procuratori, Giuseppe Ayala e Domenico Signorino, il compito di portare a processo le risultanze delle vaste indagini condotte dal pool di colleghi e di ottenere le tanto auspicate condanne in sede di giudizio.
Un lavoro di squadra in cui lo Stato mostrò i muscoli e dove ognuno ebbe un proprio peso specifico e che, in definitiva, portò a celebrare quello che alla Storia è passato e rimarrà come il “Maxiprocesso” per eccellenza: il più grande processo penale di tutti i tempi a livello mondiale. Per tutta la sua durata, il processo in questione…denominato così per la mole di atti da esitare, per la quantità di imputati (475 in primo grado) e per il numero di avvocati difensori (oltre 200)…tenne accesa l’attenzione dei media di tutto il mondo su Palermo e sulla sua voglia di riscatto, ormai non più differibile. Processo che, alla sua conclusione, portò a condanne pesantissime. Questo, semplificando e riassumendone il contesto.
Del maxiprocesso, alla vigilia delle grandi stragi di mafia, parlo di Capaci e di Via D’Amelio, si torna a parlare ogni anno: è in esso la chiave di lettura di quelle che vengono considerate delle vere e proprie azioni di guerra messe in atto dalla mafia contro lo Stato. In definitiva, quelle stragi furono il tributo che lo Stato pagò per la conferma delle condanne in Cassazione, sentenza pronunciata proprio qualche mese prima dell’attentato al giudice Falcone, avvenuto nel maggio del ’92.
Ed è qui che entra in scena Michela Buscemi, almeno nel mio immaginario. Stavo guardando, e parlo di quest’anno, il telegiornale regionale alla vigilia della strage di Capaci e, in un servizio dell’ottima Giovanna Cucè che ringrazio anche per essere stata il mio “gancio” per arrivare a Michela, come ormai mi permette affettuosamente di chiamarla, vedo delle immagini di repertorio che catalizzano la mia attenzione. Una signora giovane, bella e che immagino alta (saprò più tardi trattarsi, esclusivamente, di una elevata statura…morale!), entra altera…apparentemente sicura nell’Aula bunker ed impermeabile agli insulti che si indovinano a lei diretti, provenienti dai mafiosi rinchiusi nelle gabbie.
Raggiunta la sua postazione davanti al Giudice che, in primo grado, fu il paziente e bravissimo Alfonso Giordano e, dopo aver declinato le proprie generalità ed aver prestato giuramento, senza alcun apparente tentennamento, Michela fa la sua deposizione. Circostanziata…senza fare sconti ad alcuno! Nel corso del servizio giornalistico le immagini di repertorio vengono alternate al ricordo che la stessa Buscemi, allora quarantasettenne oggi ottantenne, fa di quel periodo, spiegando i motivi della sua presenza in quell’Aula di giustizia.
Lei, protagonista del servizio giornalistico e della Storia, in definitiva in quanto prima donna a costituirsi Parte civile nel primo grande processo contro la mafia. Il motivo? Avere giustizia per due fratelli morti ammazzati e di cui parlerò a breve. Quel giorno…che dirvi? E’ stato amore a prima vista e così mi fiondo su google e mi accorgo che la figura di Michela rappresenta, per me, il cosiddetto “cassettino della memoria” pronto a riaprirsi alla minima sollecitazione.
Leggo della sua vicenda e comincio a ricordare e, con il ricordo, comincia la smania di volerla incontrare, di sentire da lei, in presa diretta e senza filtri, quanto ha da raccontarmi e così mi attivo per stabilire un contatto, nella speranza che voglia parlarmi o semplicemente incontrarmi così che io abbia, quantomeno, la possibilità anche solo di stringerle la mano e di ringraziarla. Da donna. Da siciliana.
Con un filo di ansia…digito il numero del telefonino e voilà: dall’altro capo ritrovo una deliziosa cadenza palermitana (bella lotta, penso tra me e me…tra il mio incedere prettamente catanese e la sua parlata!), una timbrica vivace che denuncia accenti di empatia umana e di calda affettuosità. Michela si schermisce quasi alla valanga di complimenti che le faccio…sorride e ride…anni luce distante dal tipo di donna che, erroneamente, avevo immaginato. Non la forte ed algida donna che ha sfidato la mafia senza mai chinare la testa…neppure quando fu costretta a ritirarsi in Appello per via delle pesanti minacce indirizzate ai suoi figli…no ma una donna solare, accogliente, simpatica che… senza tirarsela… accetta di incontrarmi. Così, semplicemente.
Sono io di contro che, sorpresa dalla facilità dell’approccio, prendo tempo per leggere il libro che sulla sua vicenda e sul suo difficile percorso umano, questa donna ha voluto scrivere anni fa….ci vedremo da lì ad un paio di settimane, ipotizzo. “D’accordo. L’aspetto! Sa come arrivare a Balestrate?”. “Ma certo…lo troverò, fosse il posto più sperduto della Terra…tranquilla!”.
I giorni a seguire mi servono per leggere NONOSTANTE LA PAURA ( ndr. Michela Buscemi, Nonostante la paura, La Meridiana, Molfetta (BA), 1995 ). Quella che riesco a procurarmi, saprò dopo, è la prima edizione, quella più “cruda” quella, che negli anni, per poterla presentare ai ragazzi delle scuole, Michela ha dovuto elaborare in una versione più soft. Se volete conoscere la storia di una Donna…e volutamente lo scrivo con la D maiuscola… è la storia di Michela Buscemi che dovete leggere, credetemi.
“Un libro che, mentre lo scrivevo, piangevo…piangevo e scrivevo…scrivevo e piangevo” mi dirà.
Ricordare da dove viene e quale il suo percorso di vita, ha avuto su di lei un grande valore terapeutico…quasi che, scrivendo, fosse uscita da sé e si fosse messa su un piano frontale ma distante per meglio analizzare ed elaborare con lucidità tutto quanto le fosse successo, dall’infanzia fino alla testimonianza contro la mafia e, capendolo, riuscire a trovare le risposte ad ogni domanda. Magari, per andare avanti…con “strumenti logori” per dirla alla Kipling… ma, comunque sia, per andare avanti nonostante tutto e, soprattutto, a schiena dritta e a testa alta. Sempre e comunque!
Ma conosciamola, seguitemi. Classe 1939, Michela nasce a Palermo in una famiglia poverissima, prima di dieci figli. Tutta la sua infanzia è caratterizzata dalla povertà, siamo tra l’altro in piena guerra e periodo post bellico, e la vita le presenta da subito il conto di giornate contrassegnate dalla fatica, dalla precarietà di vivere in abitazioni di fortuna, dalla violenza cui non si rassegna mai ma che, di contro, cerca di contrastare con la caparbietà ed il senso di sana ribellione che la porta a cercare la propria strada e a liberarsi, al momento opportuno, di una vita che le va stretta senza mai abbandonare, però, quelli che sono i suoi principi e le sue convinzioni.
Leggendo la sua vita non si può non amarla questa donna o, ancora, meravigliarsi più di tanto della scelta che la portò, nel lontano ’86, in quell’aula di tribunale: una Donna come Michela non arretra, non si fa spaventare, procede spedita… come un treno che non prevede fermate…dopo aver messo la paura in tasca. Una donna con un rigore comportamentale di difficile attuazione e che lei è riuscita a trasformare in cifra della sua vita seppure in un contesto dove le necessità di sopravvivenza avrebbero suggerito di spostare l’attenzione su altro… sul “qui ed ora”, in definitiva. E’ stato un po’ come giocare nel fango e riuscire a non farsi macchiare da alcuno schizzo, rimanendo linda e pulita…questa è Michela Buscemi! Dentro e fuori.
E scopro la straordinarietà di questa donna nell’ordinarietà del suo vissuto…un coraggio, una dignità non ostentati in maniera plateale ma che l’hanno accompagnata in questi ottant’anni di vita, come fossero un vestito tagliato su misura o una seconda pelle. E’ con questi sentimenti di grande ammirazione che, in compagnia del patron di Sicilian Secrets, Salvo Zappalà…anch’egli contagiato dalla mia ammirazione e dal mio sano entusiasmo per questa donna, percorro il tragitto che separa Viagrande da Balestrate. Quasi tre ore di viaggio in cui noto come, spostandosi dalla provincia di Catania a quella di Palermo, cambi il paesaggio…cambino i colori…cambi proprio l’atmosfera e sembra che non ci si sposti entro i confini di un’unica regione, no…sembra di passare da un continente ad un altro.
E’ proprio vero che non esiste una Sicilia unica…un siciliano tipo: tutto è il trionfo della diversità, della varietà e, forse, è proprio questo il segreto del posto che occupiamo nella Storia, nel Bene e nel Male…chissà! Avvicinandoci, poi, laddove siamo diretti e leggendo, in autostrada, i nomi di località tristemente famose…oltrepassare il tratto di autostrada a Capaci dove, in quel lontano 1992, pareva fosse morta la speranza di una Sicilia migliore…beh, tutto ciò mi ha fatto sentire ancora più vicina ai fratelli palermitani che, in termini di costi di vite umane e qualità di vita, hanno certamente pagato un tributo ben più alto di quello del resto della nostra bellissima isola.
Arriviamo a Balestrate…un rapido giro per il circondario, dove mai sono stata, e scopro un territorio fantastico, caratterizzato da un mare colore smeraldo e da una splendida spiaggia dorata. Balestrate, in dialetto locale “Sicciara”, si trova a metà strada tra Palermo e Trapani essendo equidistante, da entrambi i capoluoghi, di soli 50 km e, data la bellezza che si offre ai miei occhi, mi riprometto di tornare da turista, prima o poi, per godere delle tante testimonianze storiche di questa località che conta più di 6400 anime e che, in passato, ha conosciuto sia la dominazione bizantina che quella araba, conservando di quest’ultima un sistema di irrigazione (siqayan che i locali hanno trasformato in “secchiara”…da qui…sicciara) che permette di annaffiare orti e canna da zucchero.
Arrivata a casa di Michela, l’approccio cordiale conferma l’impressione avuta al telefono e cominciamo a chiacchierare come amiche di vecchia data e, dopo aver chiesto il permesso di azionare il registratore, per non perdermi una virgola di quell’incontro, Michela comincia a raccontarmi dei fratelli tanto amati, morti in giovane età entrambi vittime di mafia così come l’amata cognata…anch’ella vittima, anche se indiretta, delle vicende narrate.
“Il primo, Salvatore, fu ucciso a colpi di calibro 38 e di lupara a soli 28 anni. Si era attardato in una bettola insieme ad un altro dei miei fratelli, Giuseppe, che scappò all’agguato o fu graziato dai killer…non lo sapremo mai. Salvatore e Giuseppe erano entrambi sposati e padre il primo di ben 4 figli, il secondo di un bambino piccolo. Lavoro non ce n’era e decisero di darsi al contrabbando di sigarette…mi creda per sfamare la famiglia. Il loro grande errore fu quello attivarsi senza le “dovute” autorizzazioni che la mafia pretende ma decidendo, in piena autonomia. Dopo svariati avvertimenti, quella sera…era l’aprile del ’76…Salvatore venne trucidato e Giuseppe ferito.
Dopo Salvatore, fu la volta di Rodolfo di appena 24 anni…il più piccolo dei miei fratelli, quello che avevo cresciuto come fosse un figlio essendoci tra noi una differenza di ben 18 anni. Rodolfo, al momento della morte del fratello, viveva a casa mia lavorando di giorno come muratore, insieme a mio marito, e studiando la sera per prendersi il diploma di geometra ma, frastornato dall’accaduto, decise di tornare a casa dei miei genitori e cominciò, da solo, a fare ricerche per cercare di capire chi avesse realmente ucciso nostro fratello.
Dalla morte di Salvatore tutto era cambiato nella nostra famiglia d’origine che, nonostante i sempre presenti e pressanti problemi di sopravvivenza, era sempre stata una famiglia allegra ed unita. Rodolfo, in particolare, era cambiato e non si dava pace per la fine fatta dal fratello maggiore. Comunque sia, gli anni passarono e Rodolfo sposò la dolce Rosetta che ricordo sempre con grande rimpianto, anche lei vittima indiretta di mafia. Era un pomeriggio dell’ ’82 e Rodolfo, che di lì a poco sarebbe diventato padre, venne prelevato sotto casa, nel quartiere di Sant’Erasmo, insieme al cognato Matteo Rizzuto di soli 18 anni.
Di loro, fino alle rivelazioni del pentito Sinagra in sede di maxiprocesso, non si seppe più nulla.
L’unica cosa che venne ritrovata fu la 127 verde di mio fratello con dentro tutti i suoi effetti personali…brutto segno, anche se abbiamo sempre coltivato la speranza di poterlo ritrovare vivo. Lui insieme al giovane cognato, ovviamente ma.. niente! Li cercammo ovunque…persino nei cassonetti dell’immondizia”.
Quali i sentimenti che si provano nel ripercorrere quelle tappe di vita?
Insomma, non riesco neppure ad immaginare quanto devastante possa essere andare in giro a cercare i resti di un fratello persino tra l’immondizia…
“Guardi, lo facemmo perchè, ai tempi, certi corpi erano stati ritrovati o nei cassonetti, dentro sacchi dell’immondizia, oppure bruciati campagne campagne. Noi non trovammo niente ma le assicuro che è una sensazione bruttissima. Solo chi la vive, può capire”.
Come un fiume in piena, quasi senza riprendere fiato, continua…
“Questa scomparsa fu anche l’inizio della fine per mia cognata che, dopo qualche tempo, partorì un bel bambino senza, però, mai riprendersi dal grande dolore per la scomparsa dell’amato marito e per quella del fratello. Deperiva a vista d’occhio, ricordo, ma nessuno poteva pensare che non sarebbe mai più uscita dal tunnel nel quale era entrata. Oggi, se ci ripenso, ho il rimorso di non aver saputo capire, aiutare quella povera ragazza che morì, pensi, a soli 21 anni. Ripeto, anche mia cognata Rosetta fu vittima di mafia…non c’è dubbio”.
Signora Buscemi fu nel corso del maxiprocesso, allora…a distanza di 10 anni…che venne a sapere della fine atroce cui era andato incontro Rodolfo?
“Si, fu quando cominciò a parlare il pentito Sinagra e, oltre a raccontare anche i più piccoli dettagli dei tanti crimini di cui si era reso autore, disse anche di come quella sera, Rodolfo e Matteo fossero stati prelevati sotto casa, condotti nella “camera della morte”, che si trova vicinissima a mare, sempre nel quartiere di Sant’Erasmo, e di come… dopo essere stati torturati e strangolati…i loro corpi fossero stati immersi nell’acido e, poi…non essendo riusciti a scioglierli del tutto…i loro resti residuali fossero stati gettati nel vicino mare. Ascoltare che fine fecero fare a quei due poveri ragazzi ancora oggi mi fa stare male e non c’è sera che, prima di addormentarmi, io non preghi per la loro anima. E mi tornano sempre in mente certi dettagli raccontati dal Sinagra in riferimento ai vari crimini commessi ed il raccapriccio che provai in Aula quando lo sentii raccontare di come frugasse tra i resti semi disciolti nell’acido, alla ricerca di oggetti d’oro appartenuti alle sue vittime: che so…un bracciale…una fede…cose così! Non sono uomini questi…sono animali e come tali vanno trattati”.
Signora, quando e come prese la decisione di costituirsi Parte civile?
“Guardi, dapprima doveva farlo mia madre ma si lamentava di non avere i soldi per pagare un avvocato. Poi, quando venimmo a sapere, che c’era una squadra di avvocati che si mettevano a disposizione gratuitamente per sostenere le Parti civili, dapprima pensai di affiancare mia madre…saremmo state in due, ci saremmo fatte coraggio a vicenda e ci saremmo sostenute.
Così non andò, però, perchè mia madre…mal consigliata e certamente anche per paura…fece un passo indietro e chiese anche a me di farlo ma io…no, non ci pensai un attimo e decisi di costituirmi da sola, qualunque prezzo…in termini di pericolo… ci dovesse da pagare. Lo dovevo ai miei fratelli, lo dovevo a Rosetta, lo dovevo a me stessa”.
Signora Buscemi, come biasimare Sua madre! Se una persona il coraggio non ce l’ha…
“Certo, questo lo capisco ma fu la presa di posizione pubblica che non digerii e glielo dissi anche “Tu cosi’ mi isoli e metti in pericolo la mia…di famiglia!”. Non volle sentire ragioni, provò solo a farmi desistere e davanti al mio rifiuto categorico…ci allontanammo per sempre. E non solo con lei ma con tutta la mia famiglia d’origine, eh? Vede, non ce l’ho tanto con mia madre…sa a Palermo come si dice? Che ci sono le “matri”, che sono quelle che danno la vita per i propri figli, poi ci sono le “matruzze” che sono povere di spirito e di coraggio nella difesa e nella protezione dei propri figli e, infine ci sono le “matrazze” che mettono al mondo i figli e poi si disinteressano di che sorte abbiano…mia madre era una matruzza, incapace di difendere i propri figli ed anche di onorarne la memoria”.
E così l’Aula bunker, chiamata in tal modo perchè costruita in modo tale da resistere persino ad attacchi di tipo missilistico, divenne quasi una seconda casa per Michela che, un giorno sì ed uno no, assistette ad ogni udienza per tutta la durata del processo di Primo grado.
Mai avuto umana paura, Signora?
“No, per me no. La paura era per mio marito ed i miei figli e fu questo il motivo per cui mi ritirai in Appello…per le pesantissime minacce ricevute e a loro indirizzate. Per quanto mi riguarda, ogni qualvolta uscivo dall’Aula e mi dirigevo al vicino parcheggio, al momento di inserire la chiave nello sportello o per avviare il motore…beh, la possibilità che la mia macchina saltasse in aria, la mettevo in conto onestamente. O a lei ci pare che queste cose succedevano, a quei tempi, solo nei film? Eppure sentivo di non potermi comportare diversamente. Quando minacciarono i miei figli, e si era già in Appello, beh…quella volta no. Informai mio marito e consigliatami con l’avvocato, non essendoci più le condizioni di una pur minima sicurezza, decidemmo che mi sarei ritirata.
D’altra parte, gli assassini dei miei fratelli, erano stati già condannati nel processo di Primo grado…potevo, in definitiva, fare un passo indietro. Lo feci, anche se a malincuore, ma volli e pretesi che si sapesse cosa stava alla base della mia decisione e chiesi, ed ottenni, di poterlo dire in Aula pubblicamente. La cosa, ricordo, fece molto scalpore e furono in tantissimi i giornalisti che chiesero di intervistarmi e cominciai a parlare, parlare, parlare…da allora non ho smesso più!”.
E qui Michela si apre ad un sorriso pieno e complice…
“Tutto ha avuto inizio lì. Da allora, io che ho appena la Terza media conseguita alle Scuole serali, non ho mai spesso di parlare, di testimoniare, di girare il mondo (pensi che sono stata persino in Palestina, a Bruxelles… al Parlamento europeo, in Germania…dappertutto mi abbiano chiamato a raccontare la mia storia). Da allora, giro per le scuole e parlo ai ragazzi. Dapprima, lo feci con l’Associazione “Donne contro la Mafia”, poi e a tutt’oggi lo faccio come attivista di “Libera”.
Ricordo a me stessa che l’Associazione “Libera” è la rete di oltre 1600 associazioni diverse che, creata da Don Luigi Ciotti, ha l’unico scopo di opporsi alle mafie perchè, come da proprio manifesto, “è compito politico, sociale, culturale ed etico della società civile quello di contrapporsi al malaffare”.
Signora Michela, tornasse indietro…rifarebbe tutto?
“ Guardi, tornassi indietro rifarei tutto e le dico di più…considerando che il clima oggi è fortunatamente cambiato…non mi ritirerei in Appello, accidenti! Andrei avanti per la mia strada senza farmi condizionare da nessuno”.
Signora, in tutti questi anni…parlare, far conoscere la sua storia…è servito certamente a chi l’ha ascoltata, ma a lei quanto e come è servito?
“Certo che mi è servito…eccome! Ho guadagnato tantissimo e non parlo in termini economici…quel poco che ho realizzato in questi anni, tra mille sacrifici, è frutto dei miei umili e faticosi lavori e del duro lavoro di mio marito. Non sono ricca ma certamente non vivo nella miseria, come quando ero bambina. Ad arricchirsi, facendo antimafia, ci hanno pensato e ci pensano altri, io no…e ci tengo che si sappia. C’ho guadagnato nel sentirmi a posto con la mia coscienza, certa di fare il mio dovere…c’ho guadagnato perchè ho conosciuto tantissima gente con la quale ho legato e con cui ho avuto, ed ho, rapporti di affettuosa cordialità e di amicizia…c’ho guadagnato perchè ho sposato tante battaglie per la legalità e l’ho fatto con passione e sentimento.
Bisogna parlare, altrochè…bisogna testimoniare, fare memoria…è fondamentale per far si che un giorno questa maledetta mafia sia estirpata del tutto. A tal proposito, dando corpo ad un mio sogno, ho scritto una poesia “A morti ra mafia” che parla proprio di questo…facciamo in modo che la sconfitta della mafia non sia solo un sogno, come nei miei versi, ma una realtà che potrà essere di coloro che verranno dopo di noi. Falcone diceva che la mafia, essendo un’opera dell’uomo, ha avuto un inizio, uno svolgimento ed avrà una conclusione a patto, però, che ognuno faccia…anche nel suo piccolo…la propria parte. Beh, senza presunzione, io credo di averla fatta e di continuare a farla questa benedetta mia piccola parte”.
Sull’onda dei ricordi, Michela mi parla dei tanti personaggi che ha avuto occasione di conoscere da quel 1986 e delle tante iniziative e situazioni che l’hanno vista in prima linea. E’ spedita come un treno direttissimo che non contempla fermate e, in ordine sparso anche se non cronologico, mi racconta di aver portato a spalla, insieme ad altre donne, la bara…in quel di Partanna… della giovanissima Rita Atria, testimone di giustizia suicidatasi dopo la morte del giudice Paolo Borsellino; mi racconta della sua partecipazione ai funerali di Falcone e degli agenti di scorta del giudice Borsellino..delle parole di Rosaria Costa Schifani e di quel “Io li perdono ma devono inginocchiarsi” che è diventato un manifesto della lotta antimafia e che lei, Michela, ha ascoltato dalla viva voce della giovane vedova da pochi metri di distanza.
Mi racconta, con dovizia di particolari, della sua amicizia con il giornalista Michele Santoro che, più di una volta, l’ha ospitata nelle sue trasmissioni sin dai tempi di “Samarcanda” e mi racconta di quella puntata, a reti unificate Rai Mediaset, condotta dallo stesso Santoro e da Maurizio Costanzo, all’indomani dell’assassinio di Libero Grassi, quando…essendoci come ospite anche il giudice Falcone…sul palco del Parioli venne bruciata una maglietta con la scritta “Mafia made in Italy” e che fu preludio, poi, dell’attentato a Costanzo di Via Fauro, sempre a Roma, dell’anno successivo. E, con lo sguardo velato di commozione, mi parla dell’ultima volta che vide il giudice Borsellino a Casa Professa: era stato appena ucciso l’amico e collega Falcone e Borsellino appariva stanco…sfiduciato…spaventato eppure fermo nella decisione di voler andare avanti, con schiena dritta. Il fatto che la Signora Buscemi accenni ai giudici Falcone e Borsellino, mi spinge a chiederle di quelle stragi in cui la mafia andrò dritta al cuore delle Istituzioni.
Signora, ognuno di noi ricorda esattamente cosa stesse facendo e dov’era al momento delle devastanti notizie delle due stragi. Quali i suoi ricordi…quali le sensazioni in quei tristemente famosi 23 maggio e 19 luglio del 1992?
“Guardi, quando successe l’attentato a Falcone io ero proprio qui a Balestrate. A quei tempi ci venivo solo nei fine settimana, dal 1994 vivo stabilmente qui. Era sabato e ricordo le urla dei vicini che rilanciavano la notizia appena sentita alla televisione. Non volevo, non potevo crederci…mi sentii persa, smarrita e chiesi a mio marito di ritornare a Palermo. Ricordo il viaggio silenzioso di ritorno attraverso le montagne…dal momento che l’autostrada non poteva essere percorsa. Ricordo lo scoramento…come se qualcosa fosse finita e subito l’esigenza di sentire le altre donne dell’associazione e di partecipare ad una riunione per vedere quali iniziative portare avanti. Questo per quanto riguarda la morte del giudice Falcone.
Per quanto riguarda la strage di Via D’Amelio, in cui perse la vita il giudice Borsellino, anche lì ci riunimmo per cercare di realizzare qualche iniziativa e far sentire la nostra voce. Una di queste fu il digiuno che praticammo a fine luglio, inizi di agosto non ricordo con esattezza. Un gruppo di donne, al di là di appartenenze ad associazioni o partiti, ci mettemmo insieme e ci riunimmo a Piazza Castelbuono e, di fronte al silenzio della stampa che non diede eco alla nostra protesta, imbavagliammo le statue della piazza e denunciammo, attraverso striscioni, quella che definimmo informazione “di regime”. Facemmo, a turno…per tre giorni… lo sciopero della fame…supportate dai cittadini di Palermo. Il nostro slogan recitava “Ho fame di giustizia, digiuno contro la mafia!”.
Ricordo che, in quell’occasione, scrivemmo ed inviammo una lettera infuocata all’allora Presidente della Repubblica, Scalfaro, in cui chiedevamo che venisse verificata l’etica della responsabilità di chi ricopriva ruoli istituzionali e chiedemmo la rimozione del Procuratore capo della Repubblica, Giammanco, del Prefetto di Palermo Jovine, del Capo della Polizia Parisi, dell’Alto commissario per la lotta alla mafia, Finocchiaro…la nostra protesta, nata a Palermo, contagiò varie altre città italiane da Nord a Sud ma non ebbe, ripeto, la grande risonanza mediatica che ebbe il “Comitato dei lenzuoli” che, con le stesse modalità, era spontaneo all’indomani della strage di Capaci”.
Il movimento delle “donne del digiuno”, aggiungo io, rappresentò un fatto simbolicamente molto forte…ognuna di queste donne era sostituibile all’altra ma tutte insieme parte di un’unica grande ribellione. Compatte e solidali urlarono la loro ribellione contro il silenzio e ribadirono la grande voglia di libertà e di legalità che ormai risultava indifferibile.
A chiosa di quell’esperienza, Michela ricorda di quando…per svegliare la città…presero a calci le saracinesche dei negozi così che nessuno potesse far finta di non sentire, di non vedere.
“In questi lunghi anni, ho conosciuto tantissime persone. Ricordo Biagi che a Michele Placido, in collegamento dalla Svizzera, chiese a chi potessi essere paragonata “Al commissario Cattani” disse di getto Placido e… giù a ridere. Conosco ed apprezzo Claudio Fava, il sindaco Orlando, il fratello del Commissario Montana…con me attivista di “Libera”…ripenso con grande rimpianto a Rita Borsellino, a Don Pino Puglisi, a Saveria Antiochia…ma sono tante altre le persone meravigliose che la vita mi ha permesso di conoscere. Di altri parenti di vittime, più o meno illustri, preferisco tacere. L’Antimafia non si fa a parole ma… con i fatti e non mi faccia aggiungere altro!”.
Signora Michela, dai nomi che ha fatto…presumo che da un punto di vista politico Lei sia orientata a Sinistra così come pare lo sia la maggior parte di coloro che si identificano con i movimenti antimafia…mi corregga se sbaglio.
“Certo, Io mangio con la mano sinistra! Si, sempre con la sinistra. Fin da piccola, eh? Mi è rimasta impressa in mente Anna Grasso, una esponente di spicco del Partito comunista Italiano a Palermo: ci portava da mangiare e, se lei ha letto il libro, saprà che era la fame quella che soffrivamo. Eccome se lo ricordo…noi avevamo fame e lei ci aiutava concretamente. Mentre, sa cosa facevano quelli della Dc? Venivano solo a tempo di elezioni e ci chiedevano i voti…poi, sparivano!
Comunque sia, l’aspetto più bello di questa mia esperienza, è andare per le scuole e parlare con i ragazzi. Portare la mia testimonianza è importante…a volte, penso che magari ad ascoltarmi, tra i tanti, ci sia il figlio di qualche mafioso. A Loro dico sempre di ragionare con la propria testa…che non è detto che i genitori abbiano sempre ragione e ripenso a mio padre, capace di tenere il comportamento che tenne con me svariate volte (ne parlo nel libro) e che, cionondimeno, mi faceva la morale “RicordaTi, Michela…siamo poveri ma abbiamo una cosa importante…l’onore!”. Ci voleva coraggio a dirlo! Insomma, quello che vorrei è che i ragazzi pensassero in autonomia e che comprendessero la linea marcata che esiste tra bene e male e che si comportassero di conseguenza…io l’ho fatto. Non è stato semplice ma è l’unico modo per vivere una vita piena…con dignità e respirando aria di libertà”.
Michela, vedremo mai una fiction…un film…sulla sua storia?
“Guardi, in passato avrebbe voluto fare un film su di me…Luca Barbareschi ma, onesta?, non piace…iddu! (e sorride) ed ho detto di no. Poi, è successo che…non leggendo bene alcune clausole…ho firmato un contratto per un film che non è stato mai fatto ma, essendo quelle delle clausole di “esclusività”, mi sono giocata la possibilità di dare il mio assenso ad una produzione Rai. Chissà…spero che la situazione possa risolversi, in qual modo, prima o poi”.
In conclusione, e che sia di buon auspicio, me la vuole recitare la poesia “A morti ra mafia” che tanto piaceva a Don Pino Puglisi?
“Ma certo, con piacere”. E, con una postura ed un’intonazione da attrice navigata, Michela recita a memoria i suoi versi…
A MORTI RA MAFIA LA MORTE DELLA MAFIA
L’avutru jornu L’altro giorno
m’arruspigghiavu, mi sono svegliata,
sintennu vucciria. sentendo grande confusione.
Subito pinsai: “Beddamatri, Subito pensai: “Mamma mia,
annavutru ammazzaru. un altro hanno ammazzato.
Annavutru figghiu ri matri Un altro figlio di mamma
Ammazzaru”. hanno ammazzato”.
M’affacciu tutta scantata Mi affacciai spaventata
e viru un mare ri genti e vidi un mare di gente
chi cantava filici e cuntenti. che cantava felice e contenta.
Dumannu: “Chi ci fu?” Domandai: “Che è successo?“
“Ma comu, unnu sai? “Come? Non lo sai?
A mafia muriu. La mafia è morta!
U rissi puri u tiligiurnali, L’ha detto pure il telegiornale,
Veni, scinni puri tu Vieni, scendi anche tu
Ca ci facimmu u funerali. che facciamo il funerale.
Però stavota unnavemu a Però questa volta non dobbiamo
Chianciri, piangere,
ma ririri e cantari. ma ridere e cantare.
Veni, scinni, lamu a Vieni, scendi, la dobbiamo
Vruricari”. seppellire”.
A sti paroli un ci puteva A queste parole non potevo
cririri credere
ma virennu tutta dda genti ma vedendo tutta quella gente
puru nno me cori anche nel mio cuore
trasiu l’alligria, entrò l’allegria,
e non sapeva chi cosa aveva e non sapevo che cosa dovevo
a fari, fare,
si aveva a chianciri, ririri, se piangere o ridere,
cantari o ballari. cantare o ballare.
E pi la cuntintizza E per la gioia
mi misi a satari mi sono messa a saltare
e a cantari casa casa e a cantare per casa
ricennu: “Che bellu! dicendo: “Che bello!
Finalmente putemu camminari Finalmente possiamo camminare
pi li strati per le strade
senza cchiù viriri senza più vedere
morti ammazzati! morti ammazzati!
Senza cchiù luttu Senza più lutti
‘nta li nostri casi. nelle nostre case.
Campari tranquilli Vivere tranquilli
senza scantu cà senza paura che
t’ammazzunu ti ammazzino
u maritu, i figghi o i il marito, i figli
o i fratuzzi. o i fratelli.
Ora tutti si vonnu beni!” Ora tutti si vorranno bene!”
Cantava accussì forti Cantavo così forte,
cà me figghia s’arruspigghiò che mia figlia si svegliò
e mi taliò rirennu: e mi guardò ridendo:
“Mamà, chi sta facennu? “Mamma, che cosa fai?
Niscisti pazza? Picchì fai Sei impazzita? Perchè fai
accussì?” così?”
“No, figghia mia, nun sugnu “No figlia mia, non sono
pazza, pazza,
ma sugnu cuntenta: ma sono contenta:
a mafia murì, veni, affacciati, la mafia è morta, vieni, affacciati
viri quanta genti ca c’è ccà guarda quanta gente
sutta: c’è in strada:
e si talii bonu, viri pura e se guardi bene, vedrai anche
chiddi quelli
ca finu a ieri, quannu che sino a ieri, quando
ni virevanu arrivari, mi vedevano arrivare,
sinni trasivanu rintra, entravano in casa,
si iauvunu a mucciari, si andavano a nascondere,
mancu salutavanu neppure salutavano
picchì si scantavano perché temevano
ca, appressu a mia, ci fussi che dietro me ci fosse
la lupara o a calibru trentotto la lupara o la calibro 38
e macari pì sbagghiu e che per sbaglio
i putevanu ammazzari. li potevano ammazzare.
Ora sunnu cuntenti Ora sono contenti
e vannu a fistiggiari”. e vanno a festeggiare”.
Me figghia mi talia Mia figlia mi guarda
cu l’occhi chini ri felicità con gli occhi pieni di felicità
e si metti a cantari ‘semi a e si mette a cantare insieme a
mmia. me.
M’arruspigghiu, cu l’ecu ru Mi risveglio con l’eco del
me cantu: mio canto:
era tuttu un sonnu. era tutto un sogno.
Mi taliu ‘ntornu: Mi guardo attorno:
nenti canciò, a mafia niente era cambiato, la mafia è
sempri ccà. sempre qui.
Annavutru iurici Un altro giudice
ammazzaru. hanno ammazzato.
Però, si nuatri lu vulemu, Però, se noi lo vogliamo,
‘sta morti si po’ fari questa morte si può fare
e macari fra cent’anni, e chissà magari fra cent’anni,
ma l’avemu a vruricari. ma la dobbiamo seppellire.
Saluto la Signora Buscemi, per me ormai semplicemente Michela e guardandola dal finestrino della macchina, per catturarne l’ultima immagine, certa di aver incontrato una protagonista della Storia…sarà che l’incontro è stato chiuso con una poesia ma, rivolta a Salvo che fa manovra, comincio io stessa, stavolta, a declamare una poesia. Non mia ma del grande William Shakespeare della quale vi riporto solo qualche stralcio, liberamente tratto, invitandovi a recuperarla su internet e a leggerla tutta…lì c’è Michela Buscemi:
“In piedi, Signori, davanti ad una Donna. Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subito. E se ciò non bastasse, non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla…non ha bisogno della vostra compassione. Ha bisogno che voi vi sediate in terra, vicino a lei, ed aspetterà che la paura scompaia. Sarà lei la prima ad alzarsi e sarà sempre lei che vi tenderà la mano per farvi rialzare!”
Alla prossima! Silvia Ventimiglia
Pubblicazione a cura di Saverio Garufi.