Le Storie della Grande Casa
Una pagina di memoria e sentimenti tratta da Le Storie della Grande Casa regalataci da Valeria Curcio: incontriamola!
Abbiamo deciso di dare voce ad alcune pagine che ci parlino del cuore vero della Sicilia: pensieri o parte di racconti che ci conducano per mano nella vita di come era ed è la nostra isola. Un modo per rendere omaggio a questa terra e farvela conoscere meglio. Brani non solo tratti però dai libri di grandi autori come Verga, De Roberto, Pirandello, Sciascia, Brancati, Camilleri e tanti altri e altre ancora ma anche scritti da chi, pur non essendo un romanziere accreditato, abbia voglia e capacità di narrare e narrarsi.
Incontriamo oggi Valeria Curcio, che vedete nella foto in copertina piccolissima in braccio ai cuginetti nel giardino della villa dove ha vissuto per molti anni. Le Storie della Grande Casa inaugura a pieno titolo questa nuova sezione del nostro blog: occasione perfetta per farvi leggere una sua pagina, anche se è stata dura convincerla a cedercela, di Sicilia e per abbracciare un’amica speciale e una grande donna.
Dicci qualcosa di te Valeria e del tuo racconto.
“ Sono cresciuta in una famiglia patriarcale e piena di amore. Le Storie della Grande Casa, da cui ho tratto la pagina che segue intitolandola “Le cassatelle con i fichi secchi”, sono lampi di memoria delle mie giornate vissute in un luogo e con affetti che non ci sono più ma che vivono in me. Una grande famiglia che abitava in una grande casa dove si intrecciavano i respiri ed i sospiri, le lacrime e le risate di bimbi, genitori, nonne, domestiche, parenti ed amici.”
Quindi hai raccolto i ricordi in un racconto come foto in un album?
“ Hai ragione… non ci avevo mai pensato ma è proprio così! In questa pagina parlo di un ricordo legato al periodo natalizio e alle mie nonne. Durante la guerra la mia nonna paterna accolse in casa la consuocera perché abitava a Catania in una zona pericolosa soggetta ai bombardamenti. Comunque le nonne non si separarono più perché andavano d’accordissimo pur essendo molto diverse per carattere ma non come educazione.”
Cosa ti ha spinto a raccontare questo tuo mondo?
“ Ho scritto Le Storie della Grande Casa solo per lasciare ai miei figli e mio nipote il ricordo di una vita molto diversa rispetto ai tempi di oggi. Le giornate avevano ritmi quieti, pensa che si viveva senza elettrodomestici, spesso tutti insieme in cucina e a tavola… il vero cuore della casa. Ancora oggi con forza e costanza mantengo vitali le tradizioni culinarie della famiglia e le racconto… un modo, il mio, per cercare che resti qualcosa di un tempo che non c’è più.”
Da Le Storie della Grande Casa una pagina di memorie siciliane:
“I cassateddi cu i ficu sicchi”.
– Ho staccato oggi dal rampicante del vicino due ciuffetti bianchi, lo chiamano gelsomino siciliano. Sono boccioli molto piccoli e profumatissimi con le foglie un poco carnose. Ho ricordato altri anni, altri fiori e l’Ospizio dei Ciechi vicino a casa mia. La sera il profumo intenso dei gelsomini si mescolava alla musica che arrivava dalle finestre aperte. Erano tempi in cui i ciechi uscivano poco, come altri disabili non li facevano andare in giro.
Ero piccola ma vagamente lo avvertivo che mettevano nella musica dolcezza e dolore. Era diverso il loro modo di suonare rispetto alle arie che suonava nonna, come se la musica fosse per loro occhi e ali, fantasia e amore. Mio zio Gege si sposò nella Chiesa annessa all’Istituto e l’Ave Maria suonata col violino mi è rimasta nel cuore. Il profumo del gelsomino mi fa tornare indietro nel tempo come se anche il suoi fiori dedicassero alla luna una canzone d’amore, dolce e struggente. Non ascolto la loro musica da anni anche perché la Grande Casa, come la chiamo da sempre io, non esiste più. Casa… mia… ci penso talvolta quando ricordo le feste e la famiglia…
Una settimana prima di Natale, nonna Gisella iniziava le grandi manovre. Nell’aria un profumo misto di cannella, vaniglia, forno caldo, pasta frolla cotta insieme a quello pungente dell’ammoniaca. Tranne gli aromi e il lievito tutti gli ingredienti venivano dalla campagna. I fichi erano sfuggiti alle nostre scorrerie perchè li rubavamo durante l’estate mentre si asciugavano al sole e le nonne li difendevano a vista, “a vuci” e accuse alla mamma.
I fichi cotti venivano passati al tritacarne poi nonna ci metteva l’uva passa, le mandorle tritate e scaglie di cioccolata, scheggiate da una tavoletta da un chilo. Noi bimbi giravamo intorno al tavolo di cucina come piccoli avvoltoi, ben sapendo che la nonna era buona e qualcosa ce l’avrebbe allungata. Gli ingredienti non erano mai pesati ma calibrati mediante piccoli assaggi, punteggiati da “Ci vulissi mettiri chistu o chiddu (Ci vorrei aggiungere questo o quello)”.
Infine, piccoli dischi di frolla venivano riempiti di impasto e chiusi con un altro disco mentre il grembiule scuro di nonna si imbiancava progressivamente di farina. Alla fine, i cassateddi cu i ficu sicchi venivano coperte dalla liffia, una glassa di zucchero e limone, quindi accuratamente nascoste. Dovevano durare fino a Natale ed erano offerte agli ospiti che venivano a trovarci per fare gli auguri.
Vivevamo tutti insieme a quel tempo nella Grande Casa che ospitava ben due nonne, entrambe bravissime in cucina. Pur essendo molto diverse si volevano bene e non litigavano mai. Nonna Maria pesava tutti gli ingredienti con la precisione di un farmacista, nonna Gisella era “genio e sregolatezza” e faceva per la maggior parte ad occhio oppure inventava.
I biscotti di nonna Maria erano sempre uguali per dimensioni e lievitazione, quelli di nonna Gisella non si sapeva mai come sarebbero venuti. Talvolta erano gonfi come savoiardi altre volte erano piatti e duri come ciottoli. Mio padre la prendeva in giro “Mamma cchi su’ sti ciappeddi? (Mamma che sono questi ciottoli?)”. Quando chiedevamo spiegazioni, nonna rispondeva “M’aju pirsuadutu di mintirici un pocu di farina chiussai (Mi sono convinta di mettere un po’ di farina in più)”, oppure zucchero, lievito, burro, secondo l’estro.
Ho pensato a lei stasera, la dolce nonna Gisella allegra maestra dei miei giorni bambini e i biscotti mi sono venuti diversi, gonfissimi… eppure come l’altra amata nonna Maria avevo pesato tutto! Le cassatelle continuo a farle tutti gli anni forse è il mio unico omaggio al Natale, ma un gran tributo alla memoria dei sapori o ai sapori della memoria, non saprei.
Le mangio, anche se mi fanno ingrassare, le regalo in ricordo di nonna e del suo operoso mattarello, risento la frase di tutte le volte “Carusi comu a sta vota nun hanu vinutu mai! (Ragazzi come questa volta non sono riusciti mai!)”. Chissà perché nonna parlava un italiano perfetto, ma in cucina mai. –
Grazie Valeria, grazie per averci fatto entrare nel tuo mondo fatto di sensibilità e di garbo. Voglio dirti che le storie che hai raccontato per la tua famiglia, come hai detto, in realtà hanno un respiro più ampio e piacciono molto anche a noi: le sentiamo addosso come una carezza e le terremo care per sempre. Davvero!
Volete leggere un’altra pagina di memoria isolana? Ecco su questo blog E’ uno di quei giorni… della nostra Silvia Ventimiglia. La Sicilia è letteratura, arte, cultura ma anche molto altro: venite a scoprirla con i diversi e completi tour di Sicilian Secrets.
A presto!
Saverio Garufi