Manuela Ventura “Volli, volli…fortissimamente volli!”
A colloquio con l’attrice catanese, la cui carriera è esempio di grande impegno e serietà.
Dopo svariate incursioni in territorio palermitano, cui appartengono le ultime interviste, l’appuntamento questa volta è a Catania e la protagonista, rigorosamente ed orgogliosamente marca liotru, è quella Manuela Ventura che per svariate sere è stata la nostra guida attraverso i mitici anni ’70, protagonista della fiction “Questo nostro amore ’70”.Talmente brava da aver cambiato, quasi, le sorti di una fiction che vedeva nell’altra protagonista, una bellissima ma un po’ algida Anna Valle, la star di primo piano ma che, strada facendo…puntata dopo puntata…serie dopo serie…ha visto la Ventura imporsi come rivelazione delle due stagioni televisive appena trascorse.
Talmente brava, Manuela, che il Suo personaggio, la “terrona” Teresa Strano, è assurta a simbolo della vera emancipazione femminile…conquiste ottenute nella quotidianità, a poco a poco, senza fare grandi rivoluzioni…personaggio a cui la talentuosa attrice catanese regala una mimica ed una verve degne della migliore cinematografia alla Wertmuller, per intenderci.
Mi riceve nella Sua bella casa a due passi dal Viale Vittorio Veneto, una casa vissuta e molto colorata che parla di una famiglia giovane e dinamica, quella vera…composta, saprò dopo, da due gemelli e da un marito supporter che, di professione, fa l’avvocato.
Il non vedere per casa i componenti la famiglia televisiva, a primo acchito, mi lascia sconsolata ma è solo un attimo…riprendo possesso della realtà e, voilà, dopo cordialissimi saluti ed un ottimo caffè, premo rec…
D. Ed allora, Manuela…premettendo che mi interessa parlare di te piuttosto che del tuo personaggio, quella Teresa Strano che ti ha imposto come rivelazione televisiva dell’anno appena trascorso, un’analogia non posso non notarla, però. Tu sei madre di due gemelli, esattamente come il Tuo alter ego televisivo, ma nella realtà – non già di due maschi ma di una femmina ed un maschio…ecco, ricollegandomi con la fiction dove interpreti una donna chepercorre l’iter di una meridionale sulla via dell’emancipazione femminile, quali i valori di genere che vuoi e che stai trasmettendo ai Tuoi figli?
R. Guarda, questa è una costante per me da quando li ho partoriti. I figli sono una sorta di laboratorio di costruzione del futuro, in casa…creazione di una vita. Quello che cerco di fare nei confronti di Tommaso e di Olivia è di far vedere quello che la mamma fa, dare un esempio rispetto al fatto che la mamma lavora, che ha – al pari del papà – capacità decisionali, li cura e dà loro affetto ma, nel contempo, è lì per rimproverarli o per dare regole.
Con Tommaso…è piccolo, ha sei anni…non affronto discorso specifici sul rispetto o sul valore della donna in maniera teorica ma, nella pratica, quello sì. Quando da piu’ piccolo, tacitava sua sorella dicendo che magari non poteva giocare con la sua macchinina o il suo aeroplanino, che i maschi erano i forti ecc…lì mi si apriva tutto un mondo e lo riprendevo energicamente:“Ehi…non è esattamente così! Con mio fratello, quando eravamo piccoli ci contendevamo la pista delle macchinine telecomandate e, sia nel gioco che nelle scelte, maschi e femmine possono condividere tutto; in quanto a chi è più forte…facciamo braccio di ferro e vediamo un po’!”.
Lui la sperimenta, adesso, la differenza con sua sorella che, di contro, oscilla tra l’amore per il vestitino da fata o da principessa e la maschera di Batman. Olivia ha un bel caratterino, molto determinata. Sono contenta che loro trovino un terreno sul quale confrontarsi. Tommaso stesso partecipa ai giochi di sua sorella. Che so, si mettono tranquilli insieme, ad organizzare feste di compleanno per i bambolotti e così via. Più che attraverso me, loro stessi da soli stanno vivendo le dinamiche del maschile e del femminile integrate e capiscono come esse possano, e debbano, convivere nella massima libertà.
La differenza rispetto alla fiction è sulla netta e rigida distinzione di ruoli. Tra Teresa e Salvatore Strano, i personaggi della fiction, le dinamiche nei ruoli si presentavano molto rigide , e poi man mano vengono smussate , addolcite, quasi ribaltate. Ai tempi, descritti in “Questo nostro amore ’70”, c’erano dei “luoghi” d’azione ben definitivi. Era l’uomo che doveva portare i pantaloni, la donna non aveva grande libertà di movimento. In quegli anni, però, i cambiamenti sono stati tanti .
Per quanto mi riguarda , nella mia vita fuori dal set, non mi rispecchio nelle situazione di Teresa e Salvatore: ho un marito che è un compagno meraviglioso ed inoltre… nella mia famiglia…dalle mie nonne alle zie fino a mia madre , ho avuto esempi di donne che hanno cercato e voluto la propria indipendenza e lavorato per la propria realizzazione , essendo parimenti madri e mogli presenti . Ad esempio, mia madre da giovanissima ha rivendicato, senza particolari lotte, la sua indipendenza… la sua autonomia..la scelta di studiare…di andare fuori… di lavorare, viaggiava col suo pancione( e dentro c’ero io!) prendendo treni in lungo e largo per l’Italia per potersi laureare. E questa trasmissione è arrivata anche alla mia famiglia.
Un viaggio, quello dell’emancipazione che parte da lontano, da molto lontano. Pensa, in questi giorni, ho ripreso in mano l’Orestea di Eschilo…personaggi mitici come Elettra, Clitennestra, Agamennone…la contrapposizione tra il maschile ed il femminile…e vedi come già agli albori c’era insita ‘sta distinzione: potere ed armi in mano all’uomo, la donna o era sposa oppure madre. Quando la donna si ribella, nelle tragedie per l’appunto, è costretta a fare l’uomo. Di Clitennestra, ad esempio, quando uccide Agamennone, si dice che “ha il cuore di un maschio”!
Mi ricordo le parole dello storico palermitano Gaetano Basile, intervistato di recente, il quale afferma essere da sempre il potere in mano alle donne che lo amministrano sommessamente, facendo finta di non esercitarlo e trasferisco questa riflessione a Manuela…
R. Credo che bisognerebbe intendersi sul concetto di potere. C’è un tipo di potere“virile”, gerarchico, fatto di schemi , di autoritarismi, ma c’è anche un altro ambito:considerando, ad esempio , alle origini… le società di tipo matriarcale , si aveva a che fare con dinamiche che si fondavano sulla collaborazione , sulla condizione egualitaria senza distinzioni gerarchiche. E, se gli uomini si dedicavano alla caccia,alla difesa del territorio, le donne raccoglievano frutti, radici, piante commestibili per sfamare la comunità, acquisendo con l’esperienza una serie di conoscenze. Generalizzando , in linea di massima , Ti dirò che la donna è orientata verso il bisogno invece che verso il potere, il suo è un concetto di potere più naturale, declinato nei termini del prendersi cura, della mediazione,della partecipazione, non dunque un’ autorità forzata. Certo è innegabile che ancora oggi la presenza nei luoghi decisionali, i ruoli di “prestigio”, i salari più alti, le occasioni lavorative, vedano una maggiore prevalenza maschile. Non possiamo negarlo. Ed è vero anche che , ancora oggi, la posizione della donna tanto nella sfera pubblica che , ahimè, in quella privata, sia considerata di sudditanza in alcuni casi. Il potere “virile” cerca ancora di tenere a freno la potenza femminile…questa è la verità! Il cruccio è dover essere ancora in corsa verso la conquista di cose che invece sarebbero naturalmente dei diritti…il cruccio è dover aspettare di avere e poi spartirsi l’assegnazione delle quote colorate. E chi me la dà la quota? Un Parlamento prevalentemente maschile e pertanto…
Manuela, per chiudere il discorso anni ’70…tante le conquiste è indubbio ma… tanto ciò che abbiamo perso in questo processo di emancipazione…è questo quello che pensi, in definitiva, giusto?
R. Si, le conquiste ci sono state ed è innegabile ma ciò è avvenuto sempre a costo di grandi sacrifici. Conquiste che permangono ma che hanno un loro prezzo…la donna non è ancora “comoda”, libera nelle scelte. Io credo che molto si possa, e si debba fare a partire anche dall’ambito ristretto della famiglia. Credo che sia proprio lì che si possa fare un buon lavoro per la costruzione di una nuova coscienza che coniughi ed ottimizzi le conquiste fatte. Penso sia una questione culturale e non di percentuali e ripartizioni numeriche.
E rispetto ai sensi di colpa che accompagnano fisiologicamente la vita delle mamme che lavorano come ti poni… dal momento che, per ragioni lavorative, spesso Ti trovi fuori casa?
R. Ma guarda, non parlerei di sensi di colpa per il tempo che non dedico loro, no. Ma è proprio il dispiacere intimo che provo quando sono lontana da loro,…perchè mi mancano i miei figli, questo sì, sinceramente. Mi manca il contatto fisico, mi spiace perdermi qualcosa della loro vita. Mi manca e mi spiace per me stessa. I miei figli mi dicono del loro dispiacere, di contro…sanno che il lavoro della mamma è particolare, ci sono abituati da piccoli…mi vedono fare la valigia e partire ma mi vedono, al contempo, soddisfatta di ciò che faccio. Una mamma serena. Questo basta, loro. E quando ritorno a casa è una gioia, io non trattengo le lacrime se il periodo è stato lungo. Insomma, non vedo sofferenza o colpa. Certo, da una parte c’è la soddisfazione per il lavoro che svolgo, d’altra la sofferenza per i sacrifici richiesti alle dinamiche familiari ma…va bene così.
Essendo piccoli, mai provata gelosia per esempio rispetto ai Tuoi figli televisivi?
R. All’inizio, quando andò la prima serie…non avendo bene a fuoco nemmeno in cosa consistesse il mio lavoro, mi chiedevano sospettosi “Ma chi sono questi figli ? E quel papà ?” . Insomma li vedevo un po’ perplessi… Io ho provato a spiegare loro anche attraverso filmati internet e poi li ho portati sul set, per far conoscere loro questi “altri” fratelli…e lì hanno capito che era un gioco.Quella era la famiglia finta!!
Ti chiedevo perchè a me, ad esempio, ha fatto riflettere leggere l’intervento – sulla tua bacheca Fb – della madre vera di Bernardo, Tuo figlio nella fiction (l’attore Daio Aita), e mi sono sorpresa a pensare come particolare possa essere questa trasposizione virtuale sul reale e viceversa…nessuna confusione?
R. Molto particolare, hai ragione. Ed io sono felice di aver vissuto questa esperienza della famiglia Strano che, nata per esigenze artistiche, ha travalicato i confini della fiction e si è confermata nella vita reale con amicizie molto belle, credimi. Tu parlavi della madre di Dario…ecco, con Lui ad esempio, ho notato come nella fiction…anche in scene brevi di poche parole..si creasse quasi realmente questo rapporto madre-figlio….e io ho fatto esercizio con il “figlio grande “ …insomma mi sono portata avanti con il lavoro!!. Sta cosa mi emozionava…
Una seduta di psicanalisi vera e propria, allora…
… Eh si, diciamo che, in senso lato…durante il lavoro, inizia un dialogo a volte quasi inconsapevole con se stessi , e questo è un aspetto bello del mio lavoro. Anche attraverso personaggi distanti da te stesso, anche tramite un linguaggio diverso dal tuo… testi , frasi, battute imparate a memoria…anche, attraverso ciò…dicevo, si ha la possibilità di scoprirsi , di osservarsi, di mettersi in discussione.
Manuela, ti interrompo…ti avevo premesso che mi interessava parlare di te e non del tuo personaggio ed invece…finora non ho fatto altro che parlare di Teresa Strano. Ma veniamo a te…So che, piccolissima, proprio a scuola… hai capito che ti piaceva stare sopra un palcoscenico e che, appena quattordicenne, ti sei iscritta alla scuola di recitazione di Rita Cinquegrani ed Edo Gari…era solo qualcosa che ti piaceva e ti divertiva o, già allora, avevi capito che avresti fatto l’attrice da grande?
R .Ma guarda, sin dalle elementari, ho capito che c’era qualcosa in questo “territorio” che avrei voluto cercare…ricordo che le recite scolastiche furono una rivelazione per me tanto più che a casa ero percepita come una bambina “timida”. Insomma, non era la voglia di esibirmi…di dire la poesia…ma di “passare” su un altro piano…usare un altro “linguaggio”…di vedere come recitavano i miei compagni.
La mia maestra, intuendo…ricordo, mi affidava infatti la regia degli spettacolini…ero felicissima. Ho il ricordo di questo scatolone pieno di fogli e foglietti che portavo a casa per leggere le varie parti e pensare a quali compagnetti attribuirle e poi tornare a scuola, mettere ‘sti foglietti sul muro e dare il via al lavoro organizzativo delle recite. Insomma, per me era festa non l’esibizione ma l’organizzazione del tutto.
Fino alle Medie fu così. Poi incontrai sul mio cammino “La bottega di Padre Ubu” e quello fu, per me, un momento particolare. A primo acchito di grande disagio, eh? E sai perchè? Ero la più piccola in un contesto dove tutti avevano all’incirca 20 anni (io più o meno 14), ancora un po’ impacciata, ma superai l’impasse con la mia voglia di osservare. Per me era appagante starci anche se qualcosa non la capivo, anche se ero silenziosa. Lì, però, mi è stato chiaro qual era il “territorio” in cui trovare quello che cercavo e che non trovavo altrove. Quello che mi rendeva felice, in definitiva. In quel caso ed in quel contesto, lo capì…magari ero confusa, intimorita ma felice,sicuramente.
Insomma, sei stata fortunata a individuare quale potesse essere il canale per poterti esprimere e per quanto Tu sia stata già fortunata… non hai lasciato, però, nulla al caso. Insomma, d’impegno ne hai messo e tanto…e questo è un bel messaggio per chi vuol fare seriamente il Tuo lavoro. Tu, ad un certo punto, dopo la Maturità Ti sei ritrovata a dover scegliere tra l’Arte e lo Studio ed hai scelto entrambi. Hai seguito contemporaneamente l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, fucina di grandi talenti, e la Facoltà di Lettere Moderne dell’Università di Catania, riuscendo a concludere entrambi i percorsi con il massimo dei voti…
R. E certo! Io ormai avevo capito quale importanza avesse per me l’Arte, come la chiami tu. Dopo l’esperienza che ti ho detto…fondamentale è stata quella con una compagnia teatrale catanese, quella che faceva riferimento a Nuccio Caudullo e Guisy Campione. Io, allora avevo 17 anni…
Scusa, se Ti interrompo…la Compagnia “Maria Campagna”?
(Ricordo a me stessa che un tributo alla memoria della grande drammaturga, attrice e regista ramacchese, è stato oggetto di un mio precedente articolo pubblicato, proprio, su questo stesso blog)
…Bravissima, si! Fu quella… la volta che aprì la mia prima posizione Enpals. Fu con loro che scrissi “attrice” sul mio libretto all’Ufficio di collocamento, anno di registrazione 1990. Facevamo gli “scavalcamontagne”…andavamo in giro per i paesi con la macchina stracolma di scenografie…che so, a Petralia Soprana come a Petralia Sottana…portando in giro Verga, Pirandello, Shakespeare, Garcia Lorca e via discorrendo.
Fu quella per me la conferma che ciò che stavo facendo era quello che avrei voluto fare come lavoro! Con la consapevolezza, però, che tutto dovesse passare attraverso lo studio…nessuna scorciatoia, insomma. Avere una base…che non tutto fosse frutto di istinto, di talento, di intuizione, di improvvisazione, insomma. Certo, il talento occorre ma ritengo che la base dello studio sia altrettanto necessaria, ti dà più libertà. Se si decide di farlo come lavoro, allora bisogna avere quel supporto che gli dia la giusta onestà.
Per me il concetto della formazione è fondamentale…per me il talento, quella miccia che ti si accende, è importante ma… non basta. E, comunque, al di là se deciderai di farlo come lavoro o meno, la pratica teatrale la consiglio a tutti…è un momento per capire chi sei, dove vuoi andare…e scoprire qualcosa di te. Ma, se poi vuoi continuare…allora la preparazione è importantissima. Studiare e confrontarsi è fondamentale. Io, poi, ho messo in parallelo lo studio universitario con quello in Accademia perchè, frequentando Lettere, molte cose del mio percorso universitario completavano ciò che imparavo lì.
Certo, Manuela, per come lo racconti Tu sembra un percorso quasi semplice…mentre invece, se considero la serietà dei due percorsi, mi viene da pensare che non tutto sia stato rose e fiori.Insomma, grande impegno e grandissima serietà…
R. No, infatti. Pensa che la “Silvio D’Amico” va frequentata dalla mattina alla sera. Io, al primo anno, sono riuscita a conciliare le due cose abbastanza bene, poi ho dovuto rallentare un po’ con l’Università, pur comunque rimanendo iscritta.
Ultimata l’Accademia, ho fatto una ricostruzione di carriera universitaria e, in un anno e mezzo…due, mi sono laureata. Questo, mi preme dirlo…grazie alla complicità dei miei genitori che, pur non essendo particolarmente entusiasti di questa mia vena artistica, mi hanno supportato in tutto e per tutto. E’ stato un bel momento interno di crescita nella nostra famiglia. Non facile, certo ma… molto entusiasmante.
Poi, all’Università, ho “incontrato” Pasolini…ed altri autori che, in Accademia magari, avevo studiato superficialmente. Insomma, alla fine, gli studi universitari che ho condotto senza l’assillo del futuro, perchè già sapevo che quello che volevo fare non era esattamente la carriera universitaria, mi ha aiutato a confermare quanto studiato in Accademia. Anche il mio avvicinarmi alla Storia dell’Arte aveva, in qualche modo, un nesso con quella che era “rappresentazione”. Insomma, ho cercato di ottimizzare e avvicinare gli esami alle mie corde anche perchè non sono mai stata una secchiona, anzi…tutto il contrario!
Diciamo che hai trovato il modo di studiare in modo intelligente. Il modo di mettere, ciò che studiavi all’Università, al servizio della tua grande passione…l’Arte!
R. Si, infatti…diciamo così!
Manuela, leggo che hai sondato varie forme di espressione artistica…tu sei ciò che, negli Stati Uniti, si definisce una performer…ma c’è qualche forma d’arte che prediligi, in cui Ti trovi a tuo maggiore agio?
R. Si, credo che il teatro continui ad essere per me la base…
Parli di teatro classico o d’avanguardia?
…Ma guarda…non faccio differenza. Ora ad esempio mi trovo a lavorare con una regista messinese, Monica Cavatori, su un testo che non è esattamente teatrale. E’ un monologo contemporaneo che metteremo in scena a Palermo…quando ti parlo di teatro ne parlo rispetto a quelle dinamiche che sono teatrali: partendo dal tempo che occorre per provare e far maturare un personaggio…dinamiche completamente diverse da quelle del cinema o della fiction televisiva, per dire. E poi, trovo impagabile quell’unicità del teatro, del “qui ed ora”…nel momento in cui stabilisci dal vivo il rapporto con il pubblico e con lo spazio.
Dopo l’esperienza televisiva, ancora di più, ho rivalutato il teatro nonostante le difficoltà in cui si dibatte…è una scarica di adrenalina senza paragoni, una botta di vita ineguagliabile, credimi! Quindi, il teatro è dove mi trovo meglio…il “luogo” dove posso mettermi in gioco e dove verifico la tenuta del mio essere attrice. E, poi, in teatro, puoi sperimentare di più e fino al momento della rappresentazione non puoi sapere cosa accadrà…ti metti in gioco. Sempre. Ed è bellissimo!
Non posso non fermarmi a ragionare sul fatto che Manuela, pur essendo una giovane attrice, e molto richiesta in questo momento della sua vita professionale, non rinunci a sperimentarsi fuori dalle opere di maggiore spendibilità…non cercando conforto in pieces più collaudate ma decidendo di scegliere quello che lei ritenga più giusto, anche se non politicamente corretto, per onorare questo mestiere che ha scelto per la vita. Brava, direi… un’attrice da dieci e lode! E forte di quanto dice la comune amica Maria Teresa Lauretta, attrice teatrale comisana ed addetta ai lavori, faccio notare a Manuela come dietro il successo della coppia televisiva Strano, ci siano proprio, e non a caso, due attori di teatro…Lei e Nicola Rignanese, uno strepitoso Salvatore!
R. Si, grazie…questa cosa mi è stata già detta. Spesso, tra i commenti, leggo quanto gradimento abbiano avuto il suono della voce…la mimica facciale…con l’augurio di potermi rivedere in teatro. Fa piacere, mi si riconosce un approccio verso il personaggio che viene dal teatro e che viene fuori nella sua autenticità.
Domanda un po’ “sfruculiante”, Manuela…non me ne vorrai. Ma questo gradimento per la vostra coppia non ha creato tensioni con quella che doveva essere la coppia regina della fiction e che invece è rimasta un po’ in ombra? Parlo chiaramente della coppia composta da Anna Valle e da Neri Marcorè, attori di grande spessore ed anche più noti al grande pubblico…è innegabile!
R. No, assolutamente. Credo che entrambe le coppie , come le storie degli altri personaggi principali, si siano ben distinte e abbiano lasciato il segno. Siamo tutti felici del risultato e tutti consapevoli di aver messo del nostro per il raggiungimento del risultato finale, che è andato ben al di là delle più rosee aspettative. In modo, come dire, corale. Grande stima tra noi.
Anna Valle, poi, oltre ad essere bellissima…è bravissima. Una donna che è riuscita a fare della sua bellezza uno strumento per “approfondire”. E’ bella e determinata e, poi… sul set… è una grande professionista così come Neri. Pur essendo loro i nomi di richiamo in cartellone non hanno mai abusato di questa posizione. Sono stati molto generosi…la loro disponibilità ed il piacere di contribuire alla buona riuscita dell’insieme, sono stati alla base del successo della fiction. Ma è cosa che appartiene a tutti, eh? I bambini della fiction sono stati deliziosi…per non parlare della bravissima Marzia Ubaldi che fa il ruolo della madre di Anna. Con tutti si è creato un clima di grande complicità. Tutti al servizio di tutti. Bella cosa, credimi!
Ma, poi, bello il modo di raccontare…in maniera lieve… un tema importante come quello dell’emarginazione… tale, in definitiva, è ciò che accomuna la coppia “terrona” con quella degli “scostumati” non sposati e, pertanto, “fuorilegge” nei tempi raccontati…
R. Si, poi bella l’idea di come quella “diversità” sia stata il motore del cambiamento di tutti. Dell’intero condominio, eh? Se un messaggio c’è… è proprio quello…come dalla diversità si possa “costruire” e quanto importante sia il ruolo della donna nel cambiamento. Una donna,Teresa, che riesce a far comprendere al marito che sì, ha piacere di stirargli la camicia, di accudire casa e figli, ma che ha anche voglia di una propria autonomia… che ha imparato a leggere e a scrivere…che desidera coltivare le proprie amicizie e la propria indipendenza. La sua è solo una richiesta di collaborazione,di riconoscimento del proprio spazio, in fondo. E riesce, alla fine, a farglielo capire.
Nonostante, la promessa di non parlare più della fiction…mi ritrovo a riprenderne le fila anche se noto che sia, spesso, Manuela a tornare sull’argomento denotando in ciò quell’umiltà che, a volte, manca agli attori che, ingrati rispetto ai personaggi cui devono la notorietà, ne prendono le distanze. Mi ritrovo, dicevo, complice una telefonata – che interrompe il fluire della conversazione – a chiedere a Manuela quale fosse la “formazione FAMILIARE” al momento di vedere la fiction in televisione. La domanda nasce dalla visione di un enorme televisore posto di fronte alla poltrona in cui mi ritrovo comodamente seduta e davanti a cui sono posizionati due comodi divani di un acceso colore arancione che dà luce all’ambiente.
Mi racconta, rapita, di aver seguito le puntate comodamente sdraiata scambiando opinioni con marito e figli fino all’abiocco di quest’ultimi e poi di averne continuato la visione, in intimo e partecipe silenzio, con questo suo compagno di vita che, durante tutta la conversazione, mi descrive come il suo migliore alleato…complice come pochi.
…Guarda per me quest’anno, rivedermi, è stata una grande emozione.
Ti sei piaciuta? Molti attori dicono di non amare rivedersi…troppi gli errori che ritroverebbe e pertanto…
R. Ma guarda, rivedendosi si ha la possibilità di capire tante cose. E così è capitato e capita anche a me…molte le cose che vanno perfezionate. E, rivedendo la fiction, ho capito l’importanza delle osservazioni fatte da Luca, il regista (Ribuoli), l’importanza di chi Ti guida con occhio critico…questo è materiale che serve per migliorarsi. Ma quello che mi è piaciuto, quest’anno…è stata tutta l’operazione. Una fiction, nata sotto i migliori auspici con un’ottima sceneggiatura con autori di primissimo ordine… poi il grande lavoro del regista che è riuscito a riunire un cast artistico e tecnico di grande spessore. Lui, che viene da un percorso da aiuto regista e di casting, segue gli attori in maniera mirabile ed ha saputo fare delle scelte mirate, volute…anche per i piccolissimi ruoli così come avviene in America, ma da noi un po’ meno. Anche il piccolo ruolo, o la scena corale fanno la differenza. Insomma, c’è stata grande attenzione nella scelta degli attori e dei ruoli da affidare loro. Davvero un ottimo lavoro! Una troupe tecnica di primissimo ordine, dal direttore di fotografia al montaggio. Si è creata una grande armonia soprattutto nella seconda serie che, come tutti i sequel, presentava tante incognite: avevamo lasciato il pubblico con picchi di audience altissimi e siamo riusciti a mantenere l’onestà del progetto. Alla base c’è stato un approccio netto all’operazione, nessuno ha superato quello che era il suo limite e si è messo al servizio di tutti.
Manuela, continuando a sondare il tuo curriculum artistico, non posso non ricordare la tua vena comica nella trasmissione radiofonica “Cattive frequenze”( ricordo a me stessa quella trasmissione che mi riporta indietro nel tempo alla mia felice esperienza, in veste di Responsabile commerciale di Radio Sis, radio…a respiro regionale… allora ammiraglia del gruppo “La Sicilia” oggi scomparsa) condotta dal cabarettista Gino Astorina, comune amico….ecco la tua vena comica ed ironica sembra essere, nonostante la duttilità e la versatilità del tuo approccio artistico, la tua cifra predominante…
R. Guarda, l’esperienza con il “Gatto blu” è stata per me un’esperienza importantissima. Non solo gli spettacoli che mettevamo in scena ma anche i laboratori di Zelig Off che, poi, ho potuto confermare andando a Milano. Vedi, non ho preferenze…amo i ruoli drammatici, o quantomeno seri, ma anche quelli comici. Non riuscirei a scegliere…Teresa, ad esempio, coniuga momenti comici a momenti di introspezione…altamente emotivi. Lì non ho dovuto scegliere…ed è stato il massimo!
Tu la ami tanto ‘sta Teresa, vero?
R. Chi ioooooooo? A Teresa una statua devo fare!!!!!Per me è stato un personaggio che ho amato dalla primissima lettura di sceneggiatura…dai primissimi provini!
Dato che hai ripreso tu il discorso di Teresa e della fortunata fiction che ti ha visto protagonista, ci vuoi raccontare come è nato tutto? Insomma, come funziona la “cosa”?
R. Guarda, mi chiama la mia agenzia…mi manda una breve descrizione del personaggio ed un paio di scene da imparare a memoria. Parto per Roma e mi presento dimessa così come mi ero immaginata Teresa e com’è nella prima serie. Capelli raccolti, vestita di scuro, scarpe basse…Un provino come avviene, qualche volta. Non è così scontato fare un provino, eh? E’ un primo passo che non sempre ti si presenta. Un punto di partenza, diciamo!
Certo, che il lavoro dell’attore è quello precario per eccellenza, eh?
…Come no! Noi, oggi, in un periodo come quello che viviamo ci troviamo comodi…ci siamo abituati…(la risata è quella di Teresa…). Noi nasciamo e moriremo…precari! Tornando al provino…c’erano altre candidate più note di me, brave, molto belle, più alte…certamente! Io avevo fatto, in televisione, ancora poco…giusto “Il capo dei capi”, “Il segreto dell’acqua”, “Squadra antimafia”…ma un ruolo del genere mai!
Insomma, per farla breve, arrivo e…quando tocca a me dopo un’attesa estenuante…mi metto a recitare la famosa scena del ginecologo, della prima serie, quella in cui Teresa deve chiedere la pillola anticoncezionale. Scena esilarante! A fine prova, nel silenzio, comincio a sentire delle piccole risate soffocate e, poi, una più fragorosa. Basta, passo alla seconda scena…il momento dell’arrivo della famiglia Strano, nella casa di Torino, appena emigrata dal Sud.
Insomma, ultimate le due scene, mentre vado via, il regista…che non sapevo fosse in presente…mi sorride con un “Arrivederci. Hai una bella testa, Tu!” Vado via contenta…perchè, comunque fosse andata a finire, era stata già una bella esperienza per me. Poi, sono stata richiamata per fare altre foto in cui dovevo apparire meno dimessa…perchè, nel proseguo della fiction, il personaggio subisce un’evoluzione, no? Insomma, volevano essere rassicurati sul lungo termine…
E sorride di gusto, Manuela…
…Andai un po’ più sistemata, con i capelli freschi di parrucchiere, con il trucco più definito…Poi, un terzo provino e forse un quarto…insomma, un travaglio vero e proprio. Infine, un giorno…io ero qui e mi mostra il punto esatto del corridoio...come fosse rimasta lì incredula e felice… mi chiamano e rimango muta. Mi aspettava una prova assolutamente nuova e bella…poi con un personaggio del genere, così ricco di possibilità, per una serie di casa Rai…
A chi hai comunicato, per primo, la tua felicità?
R. A mio marito e poi ai miei genitori. E, poi, via…scatta l’organizzazione…c’erano già i bambini…toccava in poco tempo organizzare la partenza e la permanenza a Torino…baby sitter, viaggi, casa…e quant’altro. Iniziava l’avventura!
Una domanda molto personale, non me ne vorrai. Di fronte ad una cosa del genere che rappresenta certamente un momento di svolta, dopo tanto aver tanto sognato…tanto ipotizzato…quando non si è noti, quali sono i discorsi che si fanno, ad esempio, tra moglie e marito?
R. Mio marito segue il mio lavoro, ed in particolare questa esperienza della fiction, con una grande partecipazione , uno sguardo oggettivo, Lui, per certe cose, è più orgoglioso di me “Brava…hai fatto un lavoro bellissimo!”. Quando hanno mandato le repliche, quest’estate…io ero fuori Catania su un set, lui le rivedeva da casa e poi mi mandava messaggi , commenti, giudizi . Grande affiatamento il nostro…Lui fa l’avvocato ma è anche musicista ed ha, quindi, una sensibilità artistica.Le sue restituzioni, così come le sue critiche, per me sono molto importanti.
Tanti i premi ricevuti…ma quelli siciliani che sapore hanno avuto?
R. Una grande emozione soprattutto perchè mi sono stati dati per aver interpretato personaggi che questa terra la raccontano…e siccome io per questa terra, nonostante le tante criticità, nutro un forte attaccamento e le riconosco una vitalità ed una forza straordinarie…non potevo che emozionarmi! Sono felice quando mi scrivono o mi dicono “E’ questa la Sicilia che ci piace vedere!”. E anche quando utilizzo il dialetto, o quantomeno, la cadenza sicula ed uno di Trento mi dice “Ma che bella sonorità!” io vado in brodo di guggiole. Ma non solo per me.
La Sicilia ha davvero tanto che affascina il mondo intero…tanto ed è su questo che dobbiamo lavorare. E’ questo il motivo per cui, nella scuola in cui insegno, “Viagrande Studios”, dove mi occupo di coordinare le attività dei corsi per attori, ho previsto nel mio progetto lo studio della lingua siciliana. Non come mero esercizio, ma come conoscenza, proprio. Vorrei ricordare che la nostra è una delle lingue che ha avuto maggiore dignità letteraria e poetica a livello internazionale. Ricevere il Ciak Sicilia ed il premio Tao Award è stato per me…di grande impatto!
Leggo qui il risvolto sociale del tuo lavoro. Ora, non me ne voglia nessuno ma, spesso, hanno successo fiction come “Squadra antimafia” che raccontano la Sicilia per stereotipi e sempre per i peggiori. Mi rifiuto assolutamente di vederli anche se penso che siano una delle rare occasioni in cui attori locali possono avere una ribalta nazionale ma…pessimo il messaggio che lanciano. Mai che Catania o la Sicilia diventino set per raccontare, che so, una storia d’amore…qual è il tuo pensiero in tal senso?
R. Certamente Teresa e Salvatore rappresentano un certo tipo di siciliani e ci sta anche ma…perchè non si veicola mai l’immagine di un siciliano che so… imprenditore di successo (e non mafioso…aggiungerei io) …astronauta…insomma, un siciliano fuori dai classici clichè…che viva una storia d’amore, perchè no?
Manuela, Tu che ami la regia, perchè non provi a raccontare la Sicilia in maniera diversa?
R. Vedremo. Intanto, quello che cerco di fare è di far conoscere ai ragazzi la nostra lingua ma anche il nostro percorso storico…le nostre tante positività…i grandi nomi di siciliani. Insomma, tralasciando la saga dal Padrino e i suoi derivati, ci si potrebbe soffermare pensando a illustri nomi… che so Archimede, Sciascia, Vittorini, Bellini, Majorana, Tempio, Quasimodo, Balistrieri…Inoltre su certe tematiche, che certamente devono essere raccontate, la serialità può essere uno strumento delicato, forse si rischia di “normalizzare” , di spettacolarizzare troppo, di dilatare troppo . Bisognerebbe ci fosse un’alternanza di messaggi e storie da raccontare . Io ad esempio, ho recitato ultimamente in “Anime nere” di Francesco Munzi. Qui si partiva da una storia di ‘ndrangheta ma il lavoro che è stato fatto a monte ha portato a trattare temi più universali…la famiglia, il senso delle scelte,la possibilità di riscatto, debolezze e coraggio, mostrando anche quanto della criminalità di certe terre sia legato a dinamiche più allargate, Milano, Amsterdam e oltre ..Ed allora va bene: sono operazioni culturali che accendono i riflettori su tematiche importanti.
E siamo d’accordo. Manuela. Tornando a Te. Come ho avuto modo di scriverti…tu mi richiami la Vitti…la Melato. Sono punti di riferimento per te?
R. Quando mi hai scritto questa cosa, mi hai lasciato senza parole…
Ma non dico solo in riferimento al personaggio della siciliana, della Teresa di turno…no. Intendo proprio come tipologia di attrici…brave ad interpretare ruoli drammatici ed altrettanto brave a ricoprire ruoli comici.
R. E’ un grande complimento, sai? Ad entrambe riconosco una grande qualità di lavoro…dove la femminilità viene utilizzata con “sostanza”, come dire. Capaci di cedere parte di quella loro femminilità e di mettersi al servizio di ruoli più scomodi, meno edulcorati, con intelligenza ed ironia. Ma mai mi potrò mettere a loro paragone. Certi personaggi devono rimanere per me dei punti di riferimento, delle eccellenze…come dire. Un esempio cui ispirarsi ma con cui non mi sento di paragonarmi. Non ci si può avvicinare su nessun terreno. Per quanto mi riguarda, vivo il mio lavoro nella quotidianità, nelle piccole dinamiche, nella curiosità delle riflessioni,nella costruzione di nuovi percorsi, di alternative, nelle mille difficoltà, e nelle gioie che si conquistano. L’aspirazione non è la fama, ma fare il mio lavoro, quanto più costantemente possibile. Siamo tanti noi attori e, pur non necessariamente famosi, facciamo comunque il nostro lavoro.
Sarà come dici Tu ma io rimango del mio parere anche perchè quello che vi accomuna è la serietà delle vostre basi culturali, del vostro background.
…a quei tempi, gli spazi erano diversi, le occasioni diverse.C’era forse una maggiore attenzione anche rispetto ai ruoli femminili. Per le attrici gli spazi sono sempre stati un po’ più ristretti. Si hanno meno possibilità di ruoli in cui sperimentarsi. E in generale la “pratica” , l’esperienza, nel nostro lavoro sono un elemento fondamentale, l’attore vorrebbe sempre essere in “allenamento” , fare esperienza costante della sua voce, del suo corpo, delle memorie , delle emozioni… ma le occasioni sono difficili da trovare. Per questo, nei momenti di pausa forzati, è importante continuare a formarsi, frequentare stage , laboratori..ed è per questo che io cerco di continuare a farlo.
Manuela, dopo questa esperienza teatrale che Ti appresti ad iniziare, cosa c’è nel tuo futuro?
R. Intanto, aspetto conferma sulla terza, eventuale, serie di “Questo nostro amore ’70”
…che chiaramente sforerà negli anni 80, no?
…mah, verrebbe da pensare così ma non è detto che non si possano trovare spunti interessanti
ancora, entro il decennio degli anni ’70, però è una valutazione che investe vari
soggetti…vedremo.
Permettimi una riflessione. Com’è facile poter trovare spunti belli da raccontare sugli anni ’70 o sui mitici anni ’60…mi riferisco a quell’altra bellissima fiction con Massimo Ghini, “Raccontami”, e quanto, di contro, sarebbe difficile raccontare il periodo storico che viviamo in cui pare di essere tornati nel Medioevo, per certi aspetti…
R. Infatti, facendo il confronto…le difficoltà c’erano, si usciva dalla guerra…era tutta una società che si rimetteva in piedi ma…c’era una prospettiva di futuro. Cosa che non c’è adesso. Non sai cosa ti puoi aspettare. E’ difficile la realtà per le generazioni dei giovanissimi ma anche per quelle dei quarantenni e dei cinquantenni, nel pieno delle proprie capacità e maturità, che andrebbero presentate e restituite alle nuove generazioni.
C’è una grande preoccupazione, una frenesia del progredire verso non si sa bene cosa. Si è troppo preoccupati a tappare i buchi….questo coinvolge anche il settore della cultura , quello spazio creativo così vitale per l’uomo che oggi spesso viene considerato superfluo . Così come rischiamo di perdere di vista ciò che ci circonda: mi riferisco al pessimo rapporto che in generale si sta sviluppando nei confronti dell’ambiente, del paesaggio , dell’elemento natura. Una trivella di qui…un buco nella montagna di qua, una colata di cemento di sopra , un disboscamento di sotto. Il modello consumistico ci sta consumando più che sviluppando. E il lascito per le nuove generazioni è di grande confusione. Quello che dico spesso ai ragazzi che incontro, è di guardare davvero quello che avviene attorno e poi lavorare sulle grandi difficoltà per provare a cambiare le cose.
Noto come spesso il Tuo pensiero vada ai bambini, ai ragazzi…
R. Si, è vero. Per me è un confronto continuo e determina anche quello che, man mano, scelgo di fare. Dovrebbero essere le nuove radici, la nuova linfa…come fai a non confrontarti con loro?Non possiamo non considerare che viviamo in un’epoca in cui, in teoria, c’è molto di più che in passato eppure questo molto di più viene gestito malissimo.
E Tu, se chiudi gli occhi, e Ti rivedi bambina…ragazza…cosa pensi? Manuela sta realizzando tutto quello che aveva sognato?
R. Devo dire di si, sono soddisfatta. Quand’ero piccola, ho imparato a stare in mezzo alla natura…a rapportarmi con quanto di più grande c’è intorno a me e questa cosa continuo a ritrovarmela ancora oggi. Quella dimensione anche pacifica che quel rapporto mi creava, cerco di perseguirla. Ricordo anche che, quando ero bambina, per firmare scrivevo… Manuela e tra parentesi…attrice , in maniera del tutto superficiale. E’ ovvio, però, che quel desiderio sto tutt’oggi cercando di tenerlo vivo.
Quello che, ancora oggi come allora, mi spinge ad andare avanti è la curiosità…l’interesse per quello che mi circonda. Non mi ritrovo mai nella condizione di mettere un punto, cerco di prendere più possibile, a volte in maniera un po’ caotica, ma provo a collegare nuove conoscenze…nuove esperienze ed intersecarle con quello che è il mio percorso. Cerco di prendere il meglio da tutte le situazioni che mi capitano, di fare bene quello che faccio anche se spesso sbaglio, pasticcio, inciampo, ma poi continuo… un passo alla volta… cercando di arricchire il più possibile il tempo che ho a disposizione. Poi, può essere che cambierò per vari motivi…parlo anche della mia posizione lavorativa… ma questa cosa non mi turba, per niente.
Mi pare che sia la saggezza siciliana che parli per Te ma, tornando ai Tuoi progetti futuri, allora…teatro, forse terza serie della fortunata fiction che Ti ha fatto conoscere al grande pubblico e cos’altro?
R. Sto girando una fiction dal titolo provvisorio “La scelta di Anna” per la regia di Michele Soavi. Una storia, al femminile, ambientata in Calabria e che racconta del riscatto di un paesino che ha a che fare con dinamiche legate alla malavita. La vicenda di questo paese cambia prospettiva all’arrivo di un sindaco donna che darà la possibilità di riscatto a quella gente. Io interpreto la moglie di un latitante e, quindi, potrebbe sembrare che faccia parte del lato come dire “malato” ma… non è così. Ad un certo punto, decido di collaborare con la giustizia ed il confronto tra queste due donne, nello svolgimento della storia, è importante perchè l’una prende coraggio dall’altra. Finirò di girare ad aprile. Poi, ho fatto un altro provino per una serie televisiva della quale, però, non so dirti quando inizierò le riprese.
Manuela, in conclusione, a chi non conosce la nostra terra…cosa Ti senti di voler dire..
R. Guarda, vivendo il territorio…a Catania vedo che c’è un fermento d’idee formidabile forse anche frutto delle difficoltà. Che non viene certo dal settore pubblico , ma da iniziative e necessità ed emozioni e sensibilità prevalentemente private , associazioni, volontari, cittadini. Quello che dico è che siamo pieni di risorse nella terra e nella società civile, conserviamo ancora nelle nostre città e nei nostri paesini una dimensione a portata di mano, che in altri luoghi dispersivi e frenetici ci invidiano, abbiamo un grande carico di fantasia e di creatività .
Pur nelle mancanze e, in alcune arretratezze, c’è un movimento di persone giovani e meno giovani che conquistano spazi, smuovono il territorio, investono comunque in questa terra il proprio futuro. L’ augurio è che si guardi veramente la condizione in cui ci troviamo, manifestando la difficoltà e il disagio, e al tempo stesso si dia sempre più peso e valore a ciò che siamo in grado di creare e fare, nella collaborazione e nella comune partecipazione,senza più troppo delegare o aspettare che arrivi qualcuno ad importare modelli da seguire!
In conclusione…un saluto da Teresa Strano alle donne…alle lettrici di Sicilian Secrets
R. Mah, credo che Teresa augurerebbe di riuscire a salvare capre e cavoli. Lo scontro è da evitare, a meno che non diventi strettamente necessario. Insomma,coltivare la propria passione, la semplicità, sorridere, e parlare…parlare, discutere, farsi sentire, rivendicare ma avere comunque il piacere di rimboccare le coperte o di stringersi in un abbraccio pur continuando a respirare quest’ aria nuova di cambiamento che ci pervade e della quale c’è grande bisogno.
Concludiamo la nostra bella chiacchierata , a registratore spento, parlando dei due ultimi libri da me letti e che hanno, mi sorprendo, incuriosito Manuela leggendo i miei commenti su Fb…”Maria Recupero della Pescheria” di Chiara Aurora Giunta, che Manuela auspica di presentare a Viagrande in un prossimo futuro e “Gran Circo Catania” di Giuseppe Lazzaro Danzuso…laddove, noi siciliani…catanesi in particolare, appariamo come i personaggi principe di ogni circo che si rispetti…clowns, divertenti e malinconici nello stesso tempo.
Che bella gente che siamo! (Chiosa Manuela…)
Eh si, che bella gente che siamo…se solo ce ne rendessimo conto!
Riprendo la via che mi porterà alla macchina, sotto una pioggia battente e senza il riparo di un
ombrello che, come spesso succede, dimentico in macchina ma così è…
Alla prossima!
Silvia Ventimiglia – 12 Marzo 2015