Paparcuri, uno dei Nostri!

Giovanni Paparcuri
Giovanni Paparcuri, sopravvissuto alla strage Chinnici

A colloquio con Giovanni Paparcuri, il “miracolato” della strage Chinnici e stretto collaboratore di Falcone e Borsellino

Una fredda notte di febbraio e mi ritrovo qui confusa ed agitata. Tra le mani una storia da raccontare che vorrei non presentasse alcuna sbavatura ma, come difficilmente mi capita, è forte la paura di perdere un’occasione irripetibile. Questa sensazione mi blocca, mi toglie spontaneità, fluidità nel racconto e rileggo, mille volte, sentendo di poter deludere chi ha avuto fiducia in mente, trasferendomi momenti di vita vissuta, di altissimo impatto. Momenti che è bene non dimenticare perchè pezzi di quel puzzle di memoria collettiva che sono patrimonio unico ed insostituibile. Riuscirò? Chissà…dipenderà da come riuscirò a gestire i dati che confluiscono, quelli umani…quelli storici…quelli etici. Un vortice di sensazioni ed informazioni che spero di canalizzare nella giusta direzione. La posta in palio è troppo alta. Mi faccio coraggio ma ho necessità di fare un passo indietro perchè l’intervista, che segue, si inserisce e scaturisce da una mia “due giorni” a Palermo di qualche mese fa, in compagnia degli inseparabili amici Salvo Zappalà e Maria Lunetta, che a Palermo hanno riportato a nuova vita l’ex Hotel President, oggi Ibis Hotel.

Quelle 48 ore, dovevano servirmi a capire meglio l’enigma Palermo che, da sempre, mi affascina e del quale non riesco ancora a trovare la chiave di lettura.

Il mio viaggio di “avvicinamento”, e non solo fisico alla città, passa attraverso la cittadina di Bagheria, esempio lampante di come possano convivere il meglio di quanto il genio architettonico siciliano abbia saputo creare e quanto di peggio una politica miope e rozza abbia saputo esprimere. Chiaroscuri che sono la cifra della nostra terra.

Lasciata la patria del Premio Oscar Peppuccio Tornatore, facciamo ingresso a Palermo, dal lato porto, laddove si staglia – in tutta la sua altezza – l’albergo Ibis…involontariamente, formidabile chiave di lettura della città. Se affacciandoTi dal terrazzo dell’ultimo piano, infatti,ciò di cui godi è una vista mozzafiato sul porto e, man mano, che sposti la visuale, riesci ad indovinare le sagome del Castello Utveggio e di Villa Igiea…se decidi di osservare Palermo, invece, dalle camere… lo sguardo non può che registrare la visione di una città più che decadente, con abitazioni fatiscenti che sembrano stare in piedi per forza di inerzia…tetti inesistenti sostituiti da pannelli ondulari di amianto, in barba alle più elementari norme di sicurezza. Tutto ciò a fianco di un edificio che saprò essere sede della Guardia di Finanza…da non credere.

Una città a due velocità, Palermo. Una città in cui tutto, e l’opposto di tutto, coabitano in maniera omogenea, laddove anzi il decadimento diventa funzionale alla visione d’insieme e paradigma, me ne accorgo parlando con la gente comune, del sentire del palermitano. Sono le ombre e le luci del pensare siciliano, in genere e che ho già conosciuto passeggiando per Bagheria.

Un continuo saliscendi come se ci si trovasse sulle montagne russe. L’unico punto fermo l’assoluto e persistente contrasto tra bellezza e decadenza, tra legalità ed illegalità, tra mafia ed antimafia, tra coraggio e connivenza in un raffronto che non vuol saperne di trovare un assetto.

Avvicinarsi a Palermo significa seguire il fluire delle emozioni senza sapere qual è il fine ultimo di una ricerca che non ha nulla di definito. Né mai lo sarà.

Puoi decidere di lasciarTi abbagliare dallo splendore del liberty e poi ritrovarTi tra le macerie di edifici crollati alla Vucciria e lasciati lì, alla vista ed alla morbosa curiosità, come fossero cadaveri su cui nessuna mano pietosa ha pensato di porre un simbolico lenzuolo. Anzi, esponendo la morte a monito, forse.

Passeggiando, Ti rendi conto come sia vero ciò che spesso viene ricordato e che, cioè… ogni siciliano, ogni palermitano in particolare, viva dentro di sé la convinzione di discendere dagli dei, di incarnare esseri superiori che hanno avuto in eredità una terra bella e rigogliosa…il tutto accompagnato a quell’indifferenza che lo porta ad assistere, immobile, alla distruzione ed all’abbandono.

E così capita di osservare la magnificenza della facciata barocca di un palazzo nobiliare addossato ad una facciata dalle decorazioni ridotte all’ennesima potenza e tenuta su da ponti impraticabili che segnalano il pericolo di crollo. Il tutto vissuto, ripeto, alla luce del sole…quasi ostentato. Il tutto, in maniera armonica ed omogenea.

Per capire meglio la città, invito Salvo a fare un giro per i 4 cimiteri cittadini… il nostro essere lì non può prescindere da una visita laddove dormono il sonno eterno personaggi che hanno fatto la storia, non solo della città, ma dell’umanità tutta. Eroi, dico io… pur ricordando a me stessa ciò che ammoniva Bertold Bretch severamente“Guai al Paese che ha bisogno di eroi”… ma così è ed altro termine non mi viene in mente, pensando al cammino professionale ed umano di certi servitori dello Stato. Un contributo il Loro che ha permesso di spostare il limite e che ha rappresentato un momento di profonda riflessione per tutti noi. Andare lo sento come un dovere civile e morale per ricordare e mai dimenticare.

Lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è inquietante. Se pensaTe di trovare una qualsiasi testimonianza visiva della gratitudine dello Stato, o della gente comune, verso il Loro sacrificio restereTe delusi. Tombe di famiglia dove riposano, insieme ai Loro familiari, senza alcun cenno che ci dica che la Loro vita è stato esempio per tutti noi. Cappelle il cui interno è visibile da cancelli in cui vengono posizionati disordinatamente fiori, da qualche mano pietosa. Fiori che trovano albergo in secchi simili a quelli usati per il lavaggio dei pavimenti e che solo, un sentimento di rispetto, impedisce a me e a Salvo di fotografare. Anche solo per denunciare uno scempio che grida “Vergogna!”…non riusciamo proprio! Mi spiace anche solo scriverle ‘ste cose…

Quello di visitare i cimiteri palermitani non dev’essere scambiato con una sorta di turismo alternativo, non lo è. E’ un omaggio a ciò che la città di Palermo, la Sicilia, ha espresso in termini di eroi, servitori dello Stato, martiri. Perchè è sempre bene ricordare che se Palermo, la Sicilia sono mafia…Palermo e la Sicilia sono anche antimafia. E così, la nostra prima visita ci porta al Cimitero dei Rotoli laddove ricordo dovrebbe trovarsi il giudice Borsellino. Il custode ci comunica che le ceneri del giudice sono state trasferite presso il Cimitero di Santa Maria del Gesù laddove, nella cappella di famiglia, riposa insieme alla compagna di una vita, quell’Agnese Piraino Leto che, sposata nel 1968, L’ha raggiunto nel maggio del 2013. La cappella della famiglia Borsellino, costruita in moderno granito, si trova a metà della lunga fila centrale di cappelle. Qualche mazzo di fiori appassiti inseriti laddove è possibile, sul lato destro una ghirlanda di fiori secchi dove campeggia la scritta “Capo della Polizia”. Sulla destra del cancello un oggetto in vetro spesso contenente una pietra bianca. Il custode, da noi interrogato, non sa dirci il significato ma giura che l’involucro sia stato realizzato con il vetro dell’autovettura blindata del giudice, quella stessa che saltò in aria quello stramaledettissimo 19 luglio 1992 nel budello di Via D’Amelio. All’interno, guardando dal vetro del lato sinistro della stessa cappella, si intravede un sarcofago, sempre in granito, che dovrebbe contenere i resti, le ceneri, del giudice mentre sopra campeggiano la Sua foto, quella della signora Agnese e copia del libro nel quale Salvo Palazzolo ha raccolto l’ultima testimonianza della moglie del giudice “Ti racconterò tutte le storie che potrò”. Poco più in là le tombe di due degli uomini di scorta del giudice, Li Muli e Traina.

Dal Cimitero dei Rotoli, ci spostiamo verso il Cimitero di Sant’Orsola dove, invece, riposano i giudici Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, anche Lei morta nell’attentato di Capaci del 23 maggio 1992. Niente qui ricorda il simbolo che fu il giudice Falcone. All’interno spicca, tra le cornici con le foto sorridenti dei due, una papera di terracotta posta certamente da chi era a conoscenza della passione del giudice sia per le papere di varie dimensioni e materiali sia per le penne stilografiche. Un po’ pochino come ricordo di un eroe o no?

Tornati in albergo, alla fine di una giornata faticosa e sempre più confusa, penso che mi piacerebbe ascoltare dal vivo gli avvenimenti da chi della Storia è stato protagonista e così mi fiondo su Fb ricercando un nome che, forse, per la sua particolarità è uno di quelli che difficilmente si dimenticano.

Uno di quei nomi che, per la straordinarietà della Sua vita, è Storia Egli stesso.. E così digito Paparcuri. Giovanni Paparcuri. Scrivo un messaggio, presentandomi e sperando in un riscontro che puntuale arriva dopo meno di 10 minuti. Con grande garbo, mi informa di essere fuori Palermo. Il rientro è previsto l’indomani. Accetta volentieri di incontrarmi. L’appuntamento è in albergo, mi raggiungerà volentieri… dice.

Paparcuri
Giovanni Paparcuri, in veste di biker

L’incontro avviene come me l’ero immaginato. Io, sistematami in un angolo della reception un po’ defilata così da assorbire l’emozione dell’incontro, prima delle presentazioni, e Lui che arriva con fare spedito di chi non è abituato ad incertezze. La Sua vita è un esempio lampante di questo piglio con il quale ha affrontato prove che altri avrebbero sfiancato, non Lui. Non il MIO Paparcuri. Tirato un lungo respiro, mi faccio coraggio e lo raggiungo…la mano è incerta, la mia. Ho un sobbalzo, ho l’impressione di entrare in contatto con qualcosa di “superiore” forse, per via del fatto, che è un sopravvissuto contro ogni logica…chissà! Mentre sorseggiamo un ottimo caffè, pur mantenendo alta l’attenzione sul mio interlocutore, non posso non ripassare, mentalmente, quel poco o tanto che so della Sua vita.

Giovanni Paparcuri, classe 1956, balzò agli onori (?) della cronaca, per la prima volta, perchè autista superstite della prima grande strage di mafia. Quella che vide morire, in un caldo 29 luglio del 1983, il giudice istruttore Rocco Chinnici, inventore del pool antimafia.

Quel giorno, si disse, la mafia aveva alzato il tiro e trasformato una zona di Palermo in una sorta di Beirut. Il tritolo, di cui era imbottita un’auto lasciata in sosta sotto casa del giudice, lasciò esanimi sull’asfalto di Via Federico Pipitone, oltre al giudice, due carabinieri di scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta oltre al portiere dello stabile, il povero Stefano Li Sacchi.

Paparcuri che, si trovava all’interno dell’auto blindata, a pochissimi metri dall’autobomba, si ritrovò sbalzato fuori…riverso sul selciato ma vivo e, dopo vari mesi di coma, potè ricominciare a vivere la Sua vita con strumenti logori, per dirla alla Kipling.

La Sua è la storia di tanti superstiti di stragi mafiose così come quella di Giuseppe Costanza, autista del giudice Falcone e, miracolosamente, salvatosi nell’attentato di Capaci nonostante fosse in macchina con Lui e la dottoressa Morvillo.

Paparcuri, dicevo, spostato dal servizio attivo ad un improbabile compito d’ufficio, si ritrovò a passare le giornate, in maniera inattiva ed oziosa… fino a quando il Suo cammino professionale ed umano, non ebbe modo di incontrare nuovamente altri due martiri della mafia, i giudici Falcone e Borsellino i quali, consci delle capacità…allora rare…del nostro Paparcuri per l’informatica, pensarono bene di cooptarlo per l’inserimento in computer dei dati del Maxiprocesso. Si parlava di milioni di dati, eh? Un lavoro al quale Paparcuri, ci racconterà, ha dedicato lunghissimi anni ma che Lo ha restituito, in definitiva, alla vita che aveva sempre sognato di fare, irrequieto ragazzo sempre desideroso di dimostrare, con nettezza, da quale parte aveva deciso di stare, senza tentennamenti né ripensamenti.

Poi, le stragi di maggio e luglio di quell’orribile 1992 e Paparcuri, in attesa di poter andare in pensione, visse nel ricordo di quei martiri che la vita Gli aveva permesso di conoscere ed amare volendo fortissimamente, ma senza protagonismo, essere testimone di una stagione irripetibile nella lotta alla mafia. Impegno che non L’ha abbandonato neppure ora che, in pensione, divide le Sue giornate tra hobby personali ed impegno civile.

Ecco, questo ciò che ricordo a me stessa…per sommicapo… mentre accendo il registratore per raccogliere la testimonianza di quest’uomo dal fisico asciutto e dal fare scattante, attento. Sempre vigile come, sicuramente, l’avrà abituato quella vita che decise di vivere…tanti anni fa… quando scelse da che parte stare, come si diceva. La parte dei “giusti”.

Falcone e Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Premo rec…

Paparcuri, la memoria…questa città… la vive in silenzio, con orgoglio, senza rumore. Tu preferisci urlarla…

R. Io urlo perchè non sopporto l’ipocrisia, urlo perchè vengono dette verità che non sono tali, urlo per tanti ragazzi si stanno confondendo e questo non è giusto…occorre chiarezza!

Riguardo a quest’ultimo punto, ricordo sempre a me stessa di aver letto spesso della presenza attiva di Paparcuri, nelle scuole, laddove si forma il senso civico dei giovani. In ciò seguendo l’esempio dei Suoi eroi, sempre pronti a cercare di risvegliare la coscienza delle nuove generazioni per avviare quel processo culturale che secondo Loro, secondo Lui e secondo chi scrive, è la chiave di volta per sconfiggere la mafia partendo dalle fondamenta.

Paparcuri, una città, Palermo, che per anni è stata teatro di una violenza sistemica. Il fatto che fortunatamente non si respiri più quell’aria pesante nasce da cosa? La mafia è stata sconfitta oppure veste camaleonticamente altri abiti, vive in altri strati della società?

R. La mafia, e spero di sbagliarmi, non verrà sconfitta mai. Mai… finchè ci sarà disoccupazione; mai…finchè ci si rivolgerà al “padrino” di turno per la soluzione di un qualsiasi problema; mai…finchè ci sarò il politico o l’imprenditore connivente. Spesso si riporta la frase di Falcone “La mafia è un fatto umano e come tale ha avuto un inizio, uno svolgimento ed avrà una fine”. Io non la penso così. Secondo me la mafia avrà fine con la fine dell’Umanità. Basta vedere i continui arresti di centinaia di nuovi e vecchi mafiosi. Quando in un’operazione di polizia vengono arrestati 75 mafiosi, non posso rallegrarmi. Lo farei se questi mafiosi fossero tre…massimo quattro! Mi chiedi se la mafia è cambiata…Certo! Nei modi di fare, sicuramente. Oggi è più, come dire…raffinata. Ma lo scopo è sempre lo stesso, quello di fare soldi su soldi, mai sazia.

Giovanni, ma quand’eri piccolo…Tu che hai vissuto esperienze uniche…cosa pensavi di voler fare? E’ questa la vita che pensavi di vivere?

R. Guarda, quand’ero piccolo quello che sognavo di fare era il pilota d’aerei. Ogni volta che ne sentivo passare uno, alzavo la testa e con gli occhi ne seguivo, rapito, la traiettoria. Ma era solo un sogno. E tale è rimasto, dovendo fare i conti con la realtà. La mia e quella della mia famiglia. Per poter realizzare quel sogno, avrei dovuto studiare e, per studiare, occorrevano soldi. A casa mia, purtroppo, ne circolavano pochi. Il naturale sbocco fu quello di andare a lavorare presso l’officina meccanica di mio padre, situata in uno dei quartieri più malfamati di Palermo, la Kalsa. Pensa, lo stesso quartiere in cui sono nati e cresciuti, a pochi isolati di distanza, Falcone e Borsellino. Non Ti pare strano? Come strana è anche la coincidenza che noi abitavamo nella stessa palazzina in cui viveva la sorella di Borsellino, in Via Antonio Ugo.

Avrei voluto fare il carabiniere o il poliziotto ma non feci né l’uno né l’altro per una serie di circostanze. Ma, come vedi, in fondo sono arrivato dove volevo…a volte, anzi spesso, è il caso a decidere per noi. Essendo cresciuto, come Ti dicevo, in un quartiere ad alta densità mafiosa, sviluppai – sin da piccolo – fastidio per ogni sorta di sopruso che alcuni coetanei (oggi mafiosi o morti ammazzati) facevano ad altri ragazzi. Capì allora da che parte stare!

Il ricordo di Giovanni Paparcuri mi riporta a quell’episodio raccontato da Paolo Borsellino in relazione alla Sua scelta di fare il giudice. La genesi, pare, fosse rintracciabile in un episodio relativo al proprio nonno materno, Salvatore Lepanto, che nel ’30…mi pare, a Belmonte… passando davanti al capomafia senza averlo ossequiato, come tutti, fu richiamato da quest’ultimo e schiaffeggiato in pubblico. Borsellino ricordava come il nonno non avesse reagito ma si fosse allontanato, non dopo aver lanciato un’occhiata di fuoco all’indirizzo del mafioso. Ecco, quello era l’episodio, secondo Borsellino, che Lo aveva spinto ad entrare in Magistratura e cercare di rimediare ad abusi e soprusi dei prepotenti di turno.

E poi? Continua, Giovanni…come “incontri” la vita che il destino aveva in serbo per Te?

R. Nell’80 vinsi un concorso alle Ferrovie e mi trasferì a Messina avendo, però, la testa sempre qui a Palermo. Grazie a mia sorella, che lavorava presso l’Ufficio di Sorveglianza del Tribunale, seppi che il Ministero aveva bandito, in fretta e furia, un concorso per “Agente tecnico autista”. Dici…perchè in fretta? Perchè a Palermo, in quel periodo, era scoppiata una terribile guerra di mafia e, non solo i mafiosi si uccidevano tra Loro, ma avevano alzato il tiro contro i rappresentanti delle Istituzioni. Da qui la necessità di auto blindate e di autisti addestrati…

Per completezza d’informazione, ricordo che tra la fine degli anni ’70 e gli inizi di quelli ’80, imperversava a Palermo la cosiddetta Seconda guerra di mafia. Fazioni contrapposte si contendevano il territorio tanto che, in seguito…tra l’81 e l’83, vennero commessi ben 600 omicidi. Molti i rappresentanti dello Stato che pagarono il Loro impegno antimafia. Un elenco nutritissimo che va da Carlo Alberto Dalla Chiesa continuando con Michele Reina, Boris Giuliano, Mario Francese, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa e Pio La Torre.

Per far fronte a tale situazione di assoluta emergenza, fu proprio Rocco Chinnici, il primo a pensare che – presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo – si potesse e dovesse costituire una squadra di giudici istruttori per affrontare, in maniera organica, la questione mafia…fenomeno che rischiava di sopraffare lo Stato

R….Come detto, vinsi il concorso e, come primo incarico, fui assegnato al Presidente del Tribunale ma non ero contento per nulla. Non era quello che avevo sognato. Non si correva alcun pericolo e, per di più, non si “sgommava”, non si usava la sirena e non si poteva portare la pistola…Alle mie continue lamentele, per punizione, fui trasferito all’Ufficio Istruzione ed assegnato al Giudice più esposto, quello più a rischio…a Giovanni Falcone, in definitiva.

Ricordo che, quando il dirigente mi accompagnò davanti al giudice e questi mi chiese se ero contento, risposi di no…per la maniera punitiva usata. Non Gli dissi che, in cuor mio, ne ero felicissimo. Non Glielo dissi mai ma…glielo dimostrai con una dedizione assoluta. Il nostro primo incontro, come vedi, non nacque sotto i migliori auspici…Lui, dopo avermi congedato, quello stesso giorno, mi fece richiamare e mi ammonì che, se avessi continuato con quell’atteggiamento ostico, mi avrebbe proposto per un provvedimento disciplinare. Ripeto, a parole, non mi giustificai mai…non mi spiegai…ma, da quel momento, feci parlare per me l’assoluta dedizione al mio lavoro e a Lui.

Giovanni, il giudice Ayala in un libro scritto, insieme al giornalista Felice Cavallaro nel 1993, “La guerra dei giusti”, riporta una Tua frase…”Non è vero che gli uomini cambiano e restano le idee. Le idee muoiono insieme a Loro”. Fu, quella frase, frutto del dolore e dello scoramento, conseguente alle grandi stragi di Capaci e Via D’Amelio, o Tu pensi realmente che le idee non si veicolino attraverso la testa ed il cuore di altre persone?

R. No, fu frutto di scoramento. Di scoramento unito a dolore e a convinzione profonda, però. Certo, una mia convinzione non ha valore di universalità. Loro hanno avuto le Loro idee e sono morti per difenderle. Ognuno di noi ha le Sue idee…anche diverse da quelle di Falcone e Borsellino. L’importante è che il fine sia lo stesso. Secondo me, basta rispettarle le idee degli altri e, se si è capaci, andare avanti con le nostre opinioni. Questo è il miglior modo di rispettare anche gli altri. Loro. Poi, tutti parlano della rabbia dei cittadini dopo le stragi….mah! Per me quella fu una mobilitazione dettata dai rimorsi di coscienza per averli lasciati soli quando avevano bisogno,invece, di sentire tutti dalla Loro parte. Soffrirono molto per quell’isolamento subito, non dimentichiamolo mai!

Giovanni, chi pensi si possa considerare oggi erede di quegli uomini, di quella stagione?

R. Guarda, per quanto riguarda l’eredità morale di questi eroi, Ti dirò che io ho lavorato con quasi tutti i magistrati e con alcuni di Loro sono anche diventato amico. Ognuno ha la propria personalità, il proprio metodo e guai se non fosse così. Alcuni assomigliano a Falcone o a Borsellino o ancora a Chinnici ma non Ti dirò chi, secondo me…Non vorrei scatenare l’inferno ed essere risucchiato nel vortice del tifo da stadio che oggi, purtroppo, esiste e la fa da padrone. Come se Palazzo di Giustizia e la Magistratura fossero un campo di calcio.

Tu, vivo per miracolo nell’attentato che costò la vita al giudice Rocco Chinnici, motore ed inventore del Pool Antimafia, puoi raccontarci una giornata tipo dell’autista di un giudice impegnato nella lotta alla mafia? L’ansia… la paura sono qualcosa che si vince condividendo o è qualcosa di estremamente privato e personale?

R. Ma guarda, la giornata tipo di un autista, impegnato in servizi di scorta…almeno ai miei tempi…era molto impegnativa con orari impossibili. Ansia e paura di attentati, no…onestamente. La paura, l’ansia giornaliera era legata ad eventuali incidenti. Ricordi quello terribile capitato alla scorta di Borsellino e che procurò la morte di uno studente? (Fu quando un’auto della scorta del giudice falciò un gruppo di persone ferme in attesa dell’autobus. In quell’occasione, il bilancio fu pesantissimo: uno studente morto e 23 feriti ndr). Ecco, di quel tipo di incidenti avevamo paura. Non pensavamo mai ad attentati, o quantomeno non ne parlavamo forse per esorcizzare il pericolo che correvamo o, solo perchè magari, pensavamo che a noi non sarebbe accaduto mai nulla.

La paura, quella vera, non la provai neppure quando Chinnici ci convocò nella Sua stanza per comunicarci che c’era un attentato nell’aria. La paura, quella vera invece, la vissi quando mi ritrovai a terra, con il sangue che zampillava dalla mia testa e con le ultime due dita della mano destra, quasi staccate. La paura l’ho provata quando non riuscivo a tenere aperti gli occhi, quando sentivo che le forze mi abbandonavano e quando provai la sensazione che stessi per morire.

Sembra di scorrerle quelle immagini che accompagnano il racconto di Paparcuri…

Giovanni, dopo svariati mesi di coma ed innumerevoli interventi chirurgici, il ritorno all’attività lavorativa con mansioni, chiaramente, d’ufficio all’interno del Ministero di Grazia e Giustizia. Ma non era lavoro che faceva per Te e so che fu un periodo di grande stress emotivo.

Momenti di vita
Paparcuri insieme a Giancarlo Caselli

Ti vennero incontro Falcone, già Tuo primo “capo” e Borsellino che, consci della Tua abilità con i computer, pensarono di utilizzarTi per informatizzare il Maxiprocesso e fu così che Ti ritrovasti a lavorare con coloro che avevano preso in mano le redini del lavoro di Chinnici. E’ corretto? Andò così?

R. Si, per noi sopravvissuti, il problema è sempre stato quello della ricollocazione nell’ambiente di lavoro ma, come spesso capita, è il destino che decide per noi. Quando rientrai, si stava informatizzando il Maxiprocesso ma, fino a quel momento, era stato appannaggio di una ditta esterna. Ad un certo punto, si pensò… per ragioni di riservatezza… di utilizzare invece personale interno. Ricordo che Borsellino, a conoscenza della mia passione per l’informatica, mi accompagnò nella stanza di Falcone ed insieme mi chiesero se me la sentissi di fare quel tipo di lavoro. E così è stato che ho cominciato a caricare dati ad aprile del 1985 ed ho finito, definitivamente, il 31 dicembre del 2009. Ma, a parte il problema della ricollocazione nel mondo del lavoro, quello che appartiene ad ogni sopravvissuto è quello strano senso di colpa per essere rimasti vivi…una sensazione di disagio, un rimorso immotivato che diventa cifra della vita.

E sempre per completezza di informazione, ricordo che il termine Maxiprocesso fu la terminologia giornalistica che venne coniata per il primo processo penale celebrato a Palermo per crimini di stampo mafioso. Durò dal febbraio del 1986 (Primo grado) fino al gennaio del 1992 (Cassazione) anche se con il termine suddetto s’intende il solo processo di primo grado la cui conclusione si ebbe nel dicembre del 1987. In numeri, il Maxiprocesso – passato alla Storia come il più grande processo penale mai celebrato al mondo – ci parla di 475 imputati e di circa 200 avvocati. Fu una grande vittoria della Giustizia con pesanti condanne: 19 ergastoli e pene detentive per 2665 anni di reclusione. Dopo un articolato iter processuale, tali condanne furono sostanzialmente confermate in Cassazione.

Paparcuri
Giovanni Paparcuri con Paolo Borsellino

Giovanni, Tu che Ti sei trovato dalla parte giusta di questa “guerra”… hai mai pensato “Chi me lo fa fare?”

R. Onesto? A volte si, l’ho pensato. Ho sacrificato veramente la mia vita per ben 30 anni, ho visto la morte in faccia, ho visto uomini piangere quando avrebbero voluto solo svolgere il proprio lavoro in santa pace, non ho visto crescere mia figlia. Però, oggi, mi ritrovo a lottare la mia battaglia contro la mafia vestendo altri panni e ciò in difesa di quello che ho vissuto insieme a grandi uomini. Lo devo a me, lo devo a Loro. Ed in fondo, anche se mi è capitato di pensare “Chi me lo fa fare”, continuo a farlo. Un motivo ci sarà pure o no? L’ho fatto e continuo a farlo perchè mi è sempre venuto naturale. Forse un giorno capirò perchè ho scelto di stare dalla parte in cui sto.

Dici bene, quando parli di “giusti”. Perchè è vero che il nostro ufficio doveva, non solo, occuparsi di lottare contro il nemico esterno, cioè la mafia, ma doveva combattere nemici interni allo stesso ufficio. Tante le invidie, le gelosie, le cattiverie che, alla fine, non hanno fatto altro che isolare i grandi uomini con cui ho avuto l’onore di collaborare.

Paparcuri, si sa…si sale spesso sul carro dei vincitori. Loro, vincitori lo sono adesso, nella percezioni della gente, anche se hanno pagato il prezzo più alto e pertanto…mentre in vita hanno avuto molti nemici, oggi si ritrovano persone che dicono di aver avuto rapporti di “sguardi” con Loro, molto amichevoli…cosa Ti senti di dire al riguardo?

R. Cosa vuoi che Ti dica se non quello che dico sempre! Vuoi essere un Numero Uno? Lavora con umiltà e basta. Non dire cose non vere…di aver avuto rapporti con questo e quello quando non è vero. Mi sembrano stupidaggini, queste! E non aggiungo altro, volutamente!

Giovanni, in conclusione, ci vuoi trasferire qualche ricordo personale di quella stagione irripetibile?

R.Ricordi ne ho tanti, nessuno più importante di un altro. In genere racconto quello che mi viene in mente in quel momento. Adesso, mi viene in mente il giorno che venne emessa la sentenza di primo grado del Maxipromesso. Falcone mi chiamò nella Sua stanza. Ricordo il Suo viso disteso e sorridente “Abbiamo vinto!” e subito dopo chiamò i colleghi per comunicare Loro quel risultato storico. Sembra un ricordo non eccezionale ma quello che riesco ancora a rivedere è il sorriso di quell’istante. Non era la soddisfazione del magistrato, era proprio l’emozione di un uomo che credeva in quello che faceva.

Paparcuri
Momenti di vita vissuta insieme al Giudice Falcone

Altro ricordo è relativo al periodo del giudice Meli. Falcone mi aveva passato la minuta con la richiesta di trasferimento per digitarla, quello era il mio compito. Tra le carte che mi passò, nascosi un foglietto dove lo esortavo, come semplice cittadino non come Paparcuri, eh?, a non abbandonarci. Lui non disse niente ed andò via, dopo due anni. E, sempre come semplice cittadino, ricordo che avevo preso l’abitudine di accompagnare il giudice Caponnetto fino alla “cella” che la Guardia di Finanza Gli aveva assegnato in Caserma. Era un mio modo per farlo sentire meno solo ma… abitudine che abbandonai, dopo un po’, per le solite sterili polemiche legate ad improbabili scopi che quel mio gesto potesse avere.

E, poi, ma questo fa parte del periodo legato al Suo incarico al Ministero. Parlo di Falcone. Davanti ad Ayala, a Guarnotta ed al giudice Natoli, mi chiese di seguirLo nell’avventura romana ma Gli risposi di no. Avevo paura che, anche a Roma, la mia qualifica potesse crearGli gli stessi problemi avuti a Palermo.

Di questa benedetta “qualifica” Paparcuri parla spesso. Sulla carta “commesso” ma, nella realtà impegnato in prima linea, Giovanni Paparcuri fu oggetto…durante tutto il servizio attivo…di attacchi da parte dei pari grado. Lui dice,con l’animo nobile che Lo contraddistingue…

…giustamente. Perchè mancava, dall’organico, una forza lavoro che, ai tempi, sarebbe stata preziosa. E, poi, ricordo il disagio dei magistrati con i quali ho lavorato quando, seguendoli a qualche interrogatorio, si imbarazzavano – al momento della verbalizzazione – a trascrivere la mia qualifica in veste di testimone.

A questo punto, Giovanni riporta un episodio in cui il giudice antimafia per eccellenza, che certamente aveva problemi più importanti da affrontare, dovette alzare la voce solo per far archiviare un fascicolo che, per settimane, era rimasto sul Suo tavolo. Insomma, per farla breve…Paparcuri disse no alla richiesta di Falcone di averLo nella Sua squadra a Roma proprio per evitarGli quei problemi che, certamente, a Roma…con la burocrazia di un Ministero…si sarebbero ripresentati raddoppiati.

…e, poi, come non ricordare che il Natale più bello, per me, fu quello del 1982! Nonostante non lo passassi nel caldo degli affetti familiari ma al lavoro, non potrò mai dimenticare che, in quell’occasione, il dottore Falcone mi presentò alla dottoressa Morvillo semplicemente dicendo Francesca, ecco…questo è il signor Paparcuri. E’ dei nostri! Quelle parole mi dissero che le incomprensioni del nostro primo incontro, erano del tutto superate e, soprattutto, dimenticate.

Paparcuri
Momenti di svago con il Giudice Borsellino

Tante le domande che restano sospese, sentendomi come un elefante in un negozio di cristalli…saluto Giovanni Paparcuri che inforca la Sua inseparabile bicicletta e si offre al caos del traffico palermitano. Bicicletta con la quale, salutandomi, mi racconta di fare lunghe passeggiate. Lo aiutano a mantenere forma fisica e mentale. Lasciare che lo sguardo si allunghi sull’orizzonte Lo aiuta a vedere tutto in un’ottica universale che fa meno male, utile anche a sopportare quel dolore cronico che infinite schegge di ferro, custodite all’interno del Suo corpo, restano lì qualora fosse tentato di dimenticare. Ma Lui..è Paparcuri, uno che Falcone considerava dei “Suoi” e…non potrà mai dimenticare!

Grazie, Paparcuri…ad majora semper!

 

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