Sulle tracce di Ettore…
A colloquio con una delle ultime persone viventi ad avere conosciuto Ettore Majorana
Era il 15 dicembre del 1927 e a Passopisciaro, piccola frazione di Castiglione di Sicilia, nasceva Peppino Cannavò.
E chi è? DireTe Voi… ed io sono qui a saziare la Vostra curiosità!
Peppino è una delle ultime persone viventi ad aver conosciuto il grande fisico Ettore Majorana e…ditemi se è poco!
Un’occasione troppo ghiotta per farmela sfuggire e così, armata di registratore, vado alla ricerca di Peppino che, oggi, dopo una vita di lavoro come meccanico specializzato, si gode la pensione a Linguaglossa, circondato dall’affetto della Sua famiglia.
Quando Lo incontro, la Sua primissima preoccupazione è che l’intervista non vada in onda…ha paura, dice, dei tanti errori che potrebbe commettere e di quella cadenza fortemente sicula che Lo caratterizza. Mi crede in fiducia e così ho facoltà di accendere il registratore, giusto per evitare di prendere appunti. EccoVi il resoconto di quell’incontro…
Peppino Cannavò comincia, raccontando di sé…da quella notte del 15 dicembre, quando vide la luce nella casa dove viveva la Sua famiglia, da sempre massari e persone di fiducia, della famiglia Majorana.
Sorridiamo, abbiamo in comune l’aver vissuto quelle stanze, in quella casa, in quei luoghi dove un vento continuo e persistente sferza la proprietà e dove la fa da padrone un freddo gelido che penetra nelle ossa.
Lui, di quei luoghi, ha un ricordo bello, legato all’infanzia ed agli affetti, io…non vedo l’ora di scappare via.
Quella di Passopisciaro, che è stata la mia casa da sposata, è una casa che si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo. La natura la fa da padrona…gli uomini non possono che inchinarsi al Suo volere. Quella notte, Gli raccontarono, l’Etna “truniava” talmente forte che la madre, per paura che le mura collassassero, subito dopo il parto, aveva pensato bene di uscire allo scoperto e trovare rifugio al centro della corte con il piccolo avvolto in calde coperte.
Peppino ricorda i primi anni della Sua vita come gli anni dei giochi tra i campi, delle corse a perdifiato con i fratellini e le sorelle tra i filari del vigneto che, ai quei tempi, era il più bello della zona grazie a quel binomio formidabile rappresentato da Dorina Corso (‘a patruna) e da Suo padre Ignazio (‘u massaru). Persone legate tra Loro da un vincolo di fiducia che oggi sembra quasi impossibile ricreare. Allora, succedeva…
Quando vedo che Peppino non si stancherebbe mai di raccontare, cerco di veicolare il discorso verso l’argomento per il quale sono lì… avida di sapere.
Peppino, che ricordi hai di Ettore Majorana?
“Beh, ricordi vaghi. Lui è scomparso nel ’38, io sono del ’28 (nato alla fine del ’27, come si diceva, e registrato il primo gennaio dell’anno successivo). I Majorana non vivevano qui tutto l’anno. Loro abitavano tra Catania e Roma”.
I Loro di cui parla sono: Dorina Corso, vedova dell’ingegnere Fabio Majorana ed i Loro figli Rosina (poi sposata con Werner Schultze), Salvatore (avvocato), Luciano (ingegnere), Ettore (fisico) e Maria, la piccola di casa (pianista). Venivano, per lo più, nel periodo della vendemmia…arrivavano un po’ prima ed andavano via un po’ dopo.
“Ricordo che avevano una “macchinuna” scoperta, una 503 o una 501, forse. Un anno, Lui…Ettore, non ricordo come successe, fece capputtare ‘a macchina. Ebbe 40 punti di sutura. Una cicatrice, non ricordo se a destra o sinistra ma… che partiva dal polso per poi salire lungo tutto il braccio!”
Mi fa segno. Il ricordo è nitido. Ricordo a me stessa che questo elemento è un elemento che ricorre nelle indagini portate avanti dall’allora Procuratore della Repubblica di Mazara del Vallo, il giovane Paolo Borsellino, e relativa ad un tale Tommaso Lipari morto, da barbone, nel 1973.
Un abitante del luogo, tale Armando Romeo, disse di ricordare…in riferimento al Lipari… una cicatrice sulla mano destra e non comuni doti di intelligenza e di cultura scientifica.
Quelle indagini, non le sole per la verità, furono archiviate con un nulla di fatto.
Peppino continua…
“Avvisavano per telefono, al posto pubblico di Passopisciaro o facevano un telegramma oppure venivano all’improvviso. Senza avvisare rare volte, per la verità. Ci avvisavano affinchè facessimo prendere aria alla casa padronale e la preparassimo ad accoglierli…”
In quella casa, e lo dico per esperienza diretta, è ancora palpabile la presenza di Ettore sia perchè, come tutti i bambini, amava incidere sui muri il proprio nome sia perchè la suggestione fa brutti scherzi. Io ho avuto l’impressione, piu’ di una volta, di vederLo passare dietro ai vetri della cucina…sono certa, anzi, fosse Lui!
“…da quel momento, dal Loro arrivo insomma…la proprietà si trasformava. Tante erano le feste che organizzavano, soprattutto, per far divertire la signorina Maria, così allegra ed espansiva”…ricorda, compiaciuto, Peppino e, seguendo il filo dei Suoi ricordi…
“Ettore era riservatissimo…soleva andare avanti e dietro sul terrazzo di casa, fumando una sigaretta dietro l’altra, senza soluzione di contonuità. Accendeva la sigaretta con ‘u muzzicunu della precedente…senza sosta”.
A volte, poi, scendeva nella vigna e raggiungeva un sedile di pietra che, ancora oggi, guarda verso la frazione. Onesta? Mi è capitato di sedermi lì e guardare avanti nella speranza di catturare qualcuna delle immagini che potrebbe aver visto Ettore ma, come sempre succede, panta rei…oggi, a posto di quella che doveva essere una distesa di vegetazione, si trovano abitazioni costruite in maniera disordinata e senza alcun rispetto della fisiognomica della zona.
Allora, ad occhi chiusi, ho provato a sentire gli stessi suoni ma, anche stavolta, il frastuono proveniente dalla Statale ha raggelato l’intimità del momento.
Infine, è con la mano…lasciata scivolare sulla pietra ruvida di quel sedile… che ho cercato un punto d’incontro con Ettore…una sensazione, un richiamo che riuscisse a dirmi qualcosa in più di Lui o che, semplicemente, mi desse un motivo per amare quel posto. Niente di niente!
“Fumava Ettore…fumava e scriveva appunti sui pacchetti di fiammiferi Minerva” ricorda Peppino.
Che voce aveva, Ettore?
“Parlava pochissimo! Al massimo, L’ho sentito ripetermi sempre la stessa cosa Peppino, veni cca, accattimi i sigarette e, nel raccontarmelo, Peppino mima una voce cupa…quasi un suono gutturale…riprodotto con tono cantilenante.
Mi sembra di vederLo e sentirLo in quel momento…avverto un non so che di familiare.
Amici ne aveva?
“Noooooo, quannu mai. Amici, no! Ca quali…Era attaccatissimo alla famiglia, quello sì…alla madre ed alle sorelle. In particolare alla signorina Maria, la piccola. Ho ancora l’immagine di Loro due seduti in terrazza a guardare le stelle e Lui che, con uno scatto felino, si volta e Le dà un bacio sulla guancia. Ma anche l’avvocato era così…(si riferisce a Salvatore)…s’ava fari monaco, chiddu! Tutte le mattine partiva ed andava in Chiesa a farsi la Comunione. L’ingegnere (parla di Luciano) no…chiddu era simpatico e sincero. Non ascoltava nessuno. Né la madre né il padre, morto prematuramente.
Lui (Ettore) e l’avvocato avevano la stessa figura…vestivano in scuro. Elegantissimi. Quello che era fuori razza era Luciano. Chiddu era sempre sutta i machini…ed io appresso a Lui. Mi spiegava tutto della meccanica ed io ho imparato da Lui quel mestiere che, poi, ho fatto per tutta la vita, a Riposto. Lui era il tipo che faceva un mare di cose…in mezzo alle botti, nella cisterna…Grande uomo, chiddu!”.
Peppino che ricordi hai del periodo immediatamente successivo alla scomparsa di Ettore?
“Quando scomparve, nel ’38, L’hanno cercato sui monti che si vedono sulla destra della casa verso Santa Domenica Vittoria…vicino all’”Acqua fridda”, dove c’è il fiume.
Mio padre Ignazio organizzò battute con i cacciatori di Passopisciaro tra le montagne dove qualcuno sosteneva di averLo visto…e si facevano ‘ste camminate con… scupette e cani. Ricordo ancora le voci Prufessuri, prufessuri… l’ eco si avvertiva, tra i boschi e le campagne circostanti, ma niente…non venne trovato”.
Peppino, ricordi cosa si diceva a casa Tua della scomparsa di Ettore?
“Certo! Si diceva che era uno scienziato ma che era anche…un poco squilibrato di testa. Che Lo avevano visto con la barba lunga e che non parlava più. Si diceva che aveva avuto una feroce lite con Enrico Fermi. Che era stato preso ed ucciso dai Tedeschi…Noi abbiamo sempre avuto l’impressione di avere a che fare con un personaggio importante. Se non fosse scomparso, ne sono sicuro, ne avremmo tratto beneficio tutti noi…ma così andò!”.
Il racconto, a questo punto, verte spontaneamente sulla signora Dorina Corso, madre di Ettore. Peppino ricorda esattamente il momento in cui, trascinando i piedi come fosse un generale, la signora chiamò Suo padre Ignazio, dal balcone che sovrasta la cisterna, comunicandoGli che a Suo figlio Ettore avevano dato una cattedra a Napoli, senza concorso. Per meriti eccezionali. Era orgogliosissima.
“Fu Mussolini, fu iddu”…aggiunge Peppino. La signora Dorina viveva per i figli, era una madre premurosa, sempre presente… ma per nulla asfissiante come spesso viene descritta. Certo, cambiò umore dopo la scomparsa del figlio…sfido! Figlio che aspettò sempre, ripetendo – fino alla morte avvenuta nel 1967 – Mi sente, Ettore, quando torna…
Peppino, sollecitato, mi dice di avere un ricordo sfocato di Ettore l’ultima volta che ebbe modo di vederLo…”Se la memoria non m’inganna…era alla guida della macchina, con la sigaretta tra le labbra lungo il rettilineo che scende da Passopisciaro verso Solicchiata”. Gli sembra di ricordare che si girò verso la casa per salutare con la mano…chissà se sapeva, aggiungo io, che non sarebbe mai più tornato, alla ricerca di chissà cosa e diretto chissà dove!
A questo punto, Peppino segue il filo dei Suoi ricordi e mi racconta della guerra quando, nella proprietà Majorana, entrarono i tedeschi e rubarono i materassi ed il pianoforte. Fu la volta, poi, degli americani di… “pigghiarisi tuttu paru” e và con la memoria ad episodi che un bambino non dovrebbe mai vivere per poi conservarli in memoria: pistole puntate alla tempia, coltelli alla gola…scene di ordinaria follia, in definitiva. Come tante nel periodo bellico! Si sofferma, poi, sul luglio del ’45 quando fu mitragliato, e fatto saltare in aria, il ponte in Contrada Panebianco attiguo alla proprietà.
La storia mi passa davanti agli occhi come fosse un film di Rossellini e De Sica, entrambi maestri del neorealismo, L’unica, e sostanziale differenza, è che quello che mi trovo davanti non è un attore ma un uomo in carne ed ossa, un uomo che la storia l’ha vissuta sulla propria pelle.
Peppino è un fiume in piena…Lo ascolto rapita, riuscendo quasi a vedere le immagini che racconta.
Si è fatto tardi, saluto e riprendo la strada per Passopisciaro, facendo la strada a ritroso… qualche chilometro, giusto per rimettere ordine nei ricordi di Peppino ed intersecarli ai miei.
Cosa cercavo?
Cosa mi aspettavo dall’incontro con Peppino?
Non saprei…forse solo la verità dei fatti, la genuinità di quella quotidianità che spesso viene relegata ai margini e che, invece, potrebbe spiegare misteri come quello di Ettore Majorana da sempre sotto il cono di luce di una visibilità mai cercata…anzi rifuggita.
Questo mio breve racconto non ha alcuna pretesa…solo una goccia nel mare magnum della verità. Solo quella…alla prossima!
Silvia Ventimiglia – Ottobre 2010
P.S. A distanza di più di 4 anni, ed al momento di riproporre questo mio pezzo sul blog di Sicilian Secrets, faccio presente che il suddetto Peppino Cannavò è morto, quasi un anno fa, vittima di un banale incidente domestico e che, pertanto, ciò che mi ha raccontato rappresenta l’ultima Sua testimonianza. Ora, ne sono certa, saprà…che fine ha fatto Ettore Majorana!