A Tu per Tu con Piero Isgrò, giornalista e scrittore

Piero Isgrò
Piero Isgrò

Siamo attori e spettatori, allo stesso tempo!

L’appuntamento a casa Isgrò è fissato alle 17.00. Arrivo con largo anticipo. Poco male…sfrutterò quella buona mezz’ora per rivedere in macchina i miei appunti e riprendere in mano quel romanzo che mi ha appassionato talmente tanto da lasciarmi, dopo 4 giorni di intensa lettura, orfana di personaggi e situazioni ormai familiari, con addosso una nostalgica sensazione di dèjà vu che mi ha permesso, durante l’avvincente racconto, di immaginare il volto dei protagonisti, carpirne gli umori, comprenderne le prospettive e di respirare le atmosfere degli interni descritti dall’autore con dovizia di particolari. Sensazioni strane non avendo, per ragioni anagrafiche, vissuto quel periodo. Ma, d’altra parte, mi ero già detta… neppure l’autore Piero Isgrò, classe 1941, poteva averle vissute. Saprò durante la nostra chiacchierata che tutto ciò Gli è stato tramandato dai genitori…ricordi Loro che Lui ha fatto propri. Altri tempi…in cui i grandi raccontavano ed i piccoli ascoltavano, i vecchi insegnavano ed i giovani imparavano… facendo tesoro del vissuto della propria famiglia e diventando, essi stessi, protagonisti di quella “memoria” che è patrimonio collettivo ed insostituibile. Ed è grazie a quei ricordi che ho imparato il valore dell’antifascismo… attraverso, ad esempio, il racconto della vicenda umana del Prof.Carmelo Salanitro consegnato dal delatore di turno alla ferocia nazista. Ho imparato come, in regime di totalitarismo, anche la libertà di espressione è un diritto che non puo’ essere esercitato e l’ho imparato attraverso le opere di mio zio Nanai (Russo Giusti) alcune delle quali furono messe all’indice proprio per la velleità democratica e sacrosanta di voler fare ridere sempre e comunque, anche a discapito dell’idea che il regime voleva tramandare di sè. Ho rivisto mille volte l’immagine del bombardamento del luglio del ’43 e la visione di una donna che, con i Suoi tre bambini (mia madre ed i miei primi tre fratelli), solo per uno strano disegno del destino, si salva dalle macerie di quel negozio che, poi, risorgerà sotto il nome “Aghina”. Quelle urla di gente sepolta mi hanno accompagnato per tutta la vita e credo che mia madre le abbia sentite fino all’ultimo istante della Sua vita. E sempre Lei… mi raccontava le vicende del periodo post bellico, quello della speranza e della ricostruzione…quello raccontato da Isgrò. Ma mi raccontava anche di una propria guerra personale e privata. I veri anni bui della Sua vita…altro che bombe! I miei ricordi si intrecciano con quelli di Isgrò. Anche Lui ricorda quel periodo…quelle vicende. Questo mi rende fragile ai Suoi occhi. Riapre, non volendo, ferite che pensavo sanate, sepolte sotto una coltre di falsa indifferenza. Mi ripeto spesso che la vita è adesso. Riesco anche a convincermene. Una “saga”, mi dice… quella della mia famiglia… che andrebbe raccontata. Quando sento che l’emozione sta per prendere il sopravvento, premo rec…

Innanzitutto, Dottore Isgrò, grazie di aver accettato il nostro invito.

R. Grazie a Te. Grazie a Voi per questo invito.

Dottore Isgrò, non so se Lei sa come funzionino le mie interviste…insomma parto un po’ da lontano e cerco di farmi un po’ gli affari dei miei ospiti cercando di scovare qualche curiosità. Poi, passo alla professione, al raggio d’azione dell’ospite…nel caso Suo, parleremo del Suo essere scrittore e di cultura in generale.

Lei nasce a Catania nel 1941 e frequenta il liceo (Saprò dalla risposta di aver sbagliato. Frequenta il “Leonardo da Vinci” esclusivamente alle Elementari ed alle Medie) presso la Scuola dei Fratelli Cristiani meglio nota come “Leonardo da Vinci”. Che ricordi ha di quel periodo ?

R. Ricordi belli perchè erano legati all’infanzia. A ragionarci dopo…non tanto belli perchè era una scuola estremamente elitaria. Io mi ricordo, per esempio, che il padre di un nostro compagno aveva una bella macchina e quello aveva buoni voti perchè la macchina, i Fratelli Cristiani, la utilizzavano per le feste. Quindi…c’erano di questi privilegi ancora radicati in una certa Chiesa cattolica. Poi, per il resto, bei ricordi perchè, insomma, eravamo ragazzi…giocavamo… entusiasti… la vita si apriva e….a giudicarli oggi, proprio perchè la memoria quando la realtà che ci concerne… che ci riguarda… quella di oggi non è tanto bella…ci si rifugia nel passato. Ecco poi il motivo del mio libro “Il vulcano spento” ma ne potremo anche parlare dopo.

Assolutamente, sarà oggetto ampiamente di questa intervista. Lei parlava di questo istituto religioso che ha frequentato…ma allora Lei è della stessa scuola di pensiero del Suo compagno di classe Giampiero Mughini che ritiene essere stata una “sciagura” per Lui aver frequentato la scuola cattolica ?

R. Proprio una sciagura, no! Però Giampiero Mughini ha ragione, soprattutto quando ricorda un episodio traumatico della Sua vita di studente quando Gli sequestrarono dei francobolli non si sa perchè e…il “sequestratore”, che era un religioso, Gli diede un ceffone non si capisce per quale motivo. Lui era stato accusato non so di che cosa perchè, durante i giochi, si era comportato male…il religioso contestò a Giampiero queste cose, che non erano assolutamente vere, e così…punirlo…Gli sequestrò dei francobolli che assolutamente non c’entravano nulla. (Ricordo a me stessa che, un giorno, nel tentativo di convincere Mughini a partecipare telefonicamente ad una puntata di “Talk radio”, mia prima esperienza di conduzione radiofonica, cercai di far leva sul passato ricordandoGli che Lui e mio fratello Mario erano stati compagni di classe….la risposta lapidaria, che non ammetteva repliche…fu una risposta per così dire…mughiana… “Aborro il passato”! Con quella frase di Mughini, prima possibilista, tramontarono tutte le mie velleità di poterLo intervistare!…A saperlo prima!). Quindi, si…ma…io dico che ci sono due aspetti: uno positivo ed uno negativo. L’aspetto positivo è che si studiava…abbastanza bene. C’era la pagella ogni mese. Erano attenti. Imparavamo ad esercitare la memoria attraverso delle poesie che ci davano ogni giorno. Mi ricordo, ogni pomeriggio, io messo lì a mandare a memoria una poesia. L’aspetto negativo qual è ? Che poi di questo mi sono un poco liberato passando, poi, al liceo, avendolo fatto al Cutelli che è una scuola laica di grande prestigio. Era considerata allora una delle migliori scuole…istituti…d’Italia, addirittura. L’aspetto negativo della scuola religiosa era una specie di “ipse dixit” cioè…lo spirito di osservazione, lo spirito critico non veniva esercitato bene. Cioè al ragazzo non veniva lasciata la Sua possibilità di immaginare il mondo alla Sua maniera…anche sbagliando…e di farlo crescere nella libertà. Era così, proprio, messo come su un binario che bisognava percorrere….Quindi, questo è l’aspetto negativo della scuola cattolica, in genere. Lo era… perlomeno

Piero Isgrò
Piero Isgrò, giurato Premio Brancati

Non demonizziamo, comunque, la scuola cattolica, eh ? (Ricordo a me stessa lo splendido periodo trascorso a frequentare le scuole elementari e medie al Maria Ausiliatrice di Catania. Anch’io, come Isgrò, prima di trasferirmi al ginnasio al glorioso “Mario Cutelli”).

R. No, no…dico di no anche perchè la scuola cattolica ha fatto molti passi avanti…si è un poco modernizzata. Insomma…poi ci sono anche dei buoni professori. Insomma…però io preferisco la scuola laica.

Dottore Isgrò, molti di Voi…penso a Lei, penso a Giampiero Mughini, aveTe rappresentato proprio l’intellighentia giovanile di quei tempi…ecco, cos’è che manca ai giovani d’oggi per rappresentare la stessa cosa per la propria generazione ?

R. Non so cosa manchi. Io non vorrei adesso esaltare troppo la mia generazione. Comunque, certo…c’erano dei personaggi…Giampiero era un personaggio che aveva, anche, i Suoi difetti. Era troppo irruente…insomma…Però era una bella intelligenza! A parte il fatto che, fino ai 18 anni, Giampiero Mughini era uno che giocava a pallone…bravissimo…dove si metteva, Lui era bravo in tutto. Dopo la maturità, Lui si è buttato sul cinema e sui libri e poi è diventato il Numero Uno. Insomma, dove Lui si metteva evidentemente brillava! I giovani d’oggi non so…io poi non è che li conosco bene. Non avendo avuto figli non ho potuto accorgermi di questo passaggio, di questa trasformazione dei ragazzi di allora rispetto ai ragazzi di oggi. Diciamo che allora noi leggevamo di piu’, riflettevamo di piu’, ci accontentavamo di poco. Queste sono cose ovvie che si dicono però è vero, insomma. Andare al cinema era un dono mentre adesso, insomma….Anche i rapporti con l’altro sesso, con le ragazze che noi amavamo così brancatianamente ma…insomma…senza poter aspirare a nulla di piu’ che ad uno sguardo o ad un sorriso. Erano però cose che ci hanno costruito in maniera…debbo dire…con saggezza, con misura. Adesso i ragazzi hanno tutto e, purtroppo, avendo avuto tutto, sono saliti al punto morto…credo al punto della discesa. Cioe’ come una scala a “V” (rovesciata) no? Noi siamo saliti, siamo arrivati in cima, i ragazzi sono arrivati in cima. Io ho l’impressione, ho il timore che la scala cominci a scendere dall’altro lato. Spero di no! Insomma…Però ci sono belle intelligenze anche adesso. Noi guardiamo i ragazzi in genere, però, ci sono delle nicchie di intelligenze di ragazzi che sono formidabili. A parte che molti ragazzi, con strumenti tipo il computer e…, sono di una agilità mentale che noi ci sognavamo!

Parlando così…delle Sue tappe anche di vita. Dopo il liceo Lei completa gli studi in Giurisprudenza con una tesi sul processo di Norimberga…ecco…il tema della guerra…

R. Ma Lei come fa a saperlo ?

Beh…mi sono preparata, dottore! (Bingo. Si…è vero…studio, quantomeno!)…ed anche i misfatti ad essa collegati mi sembrano un tema ricorrente anche nel Suo lavoro. Li ritrovo negli studi che ha fatto e li ritrovo anche nella Sua attività di scrittore perchè…insomma…la storia d’amore che Lei racconta in questo bellissimo romanzo che è appunto “Il vulcano spento” sono proprio gli anni del dopoguerra. Ecco, come succede questo considerando che Lei la guerra non l’ha vissuta ?

R. Premetto che il libro è spostato, rispetto alla mia generazione (Sorrido. L’avevo notato!), di 10 anni indietro. Evidentemente io non avevo l’età di Paolo Cormons che è il protagonista del libro né di Patrizia Scolaro che è la ragazza di cui Lui s’innamora perdutamente ed anche Lei (Per chi non l’avesse ancora letto…Brevemente: Lui apparteniene alla borghesia colta di Sinistra, Lei è figlia di un’imprenditoria arruffona arricchitasi durante la guerra e nel periodo postbellico). Quindi…i ricordi chiaramente vengono attraverso i racconti dei genitori. La guerra…cioè perchè il processo di Norimberga ? Qui entra il mio amore profondo per il cinema. Io mi decisi a scegliere il processo di Norimberga a parte perchè era una tesi non perfettamente giuridica. La scelta del processo di Norimberga nacque dopo aver visto un film “Vincitori e vinti” di Stanley Kramer credo…con Spencer Tracy, Burt Lancaster e vari attori, che mi commosse nel profondo. Dissi “Io voglio approfondire l’atto giuridico di questo processo” e scelsi questa tesi nella quale scrissi alcune cose che non stanno né in cielo né in terra. Però, insomma, credo che fosse una tesi, diciamo, interessante. Non arida. Leggibile quantomeno. Perchè allora le tesi si facevano spazio 4, corpo 18 perchè…insomma…non ci si impegnava molto. Bisognava arrivare alla meta, laurearsi e, poi, via…nel flusso della vita adulta. (Mentre il dottore Isgrò…o meglio Piero come mi ha incoraggiato a chiamarLo, parla non posso fare a meno di ricordare a me stessa che racconta lo stesso percorso fatto da mia sorella Luigia quando, l’anno della mia nascita – il 1962- appassionatasi al film “Lawrence d’Arabia”di David Lean con il grande Peter O’Toole, fece la Sua tesi in Scienze politiche, proprio sulle geste dell’archeologo agente dei Servizi segreti britannici divenuto, senza volerlo, un grande diplomatico)

Ecco, tornando al tema proprio della guerra che Le è “caro”, cosa ne pensa della recente diatriba che ha visto uno dei vescovi ribelli, quelli lefreviani, che ha addirittura negato l’esistenza dell’Olocausto degli Ebrei ? (Mi riferisco al vescovo William Richardson seguace di quel Marcel Lefèvre morto, in regime di scomunica, agli inizi degli anni ’90)

R. Ne penso tutto il male possibile! A parte che questo prete ha appena chiesto scusa al Papa per il dolore che ha dato alla Chiesa ecc…ecc…Insomma, si  è cosparso il capo di cenere. Forse Lei questo non lo sa…io fui mandato dal mio giornale, quando lavoravo a La Sicilia di Catania, a Lione…a Lion…dove c’era la messa in latino di sfida di Lefèvre…di Monsignor Lefèvre al Papa. Allora, quando ci fu la trasformazione, con il Concilio Vaticano Secondo, in base al quale la Messa si doveva celebrare in italiano con l’officiante che guardava i fedeli e non dando Loro le spalle…Lui fece una sfida ed ordinò nuovi sacerdoti. Una ventina di sacerdoti ed io ero lì a seguire questa cosa. Erano dei fanatici legati al passato. Cioè legati al Concilio…a ciò che era prima del Concilio Vaticano Secondo. Il Concilio Vaticano Secondo cosa fece tutto sommato ? Praticamente si avvicinò molto alla Rivoluzione francese mentre, prima, la Chiesa era rimasta ferma…cioè fortemente autoritaria. Quindi, insomma…un ritorno al passato. Adesso questo Lefèvre…questo Papa che è un Papa che vuole ragionare anche se io Gli preferisco Wojtyla e prima ancora Giovanni Vigesimoterzo…è un Papa di dottrina piu’ che un Papa…non dico di esempio pastorale, vicino alla gente…. Questo fatto che voglia, come dire, avvicinarsi al passato non so come giudicarlo, insomma…io non l’avrei fatto.

Dottore Isgrò, se Le dico…lontananza?

R…la lontananza è come il vento. Spegne i fuochi piccoli, accende i fuochi grandi ed è una cosa bella che ci avvicina…che esprime un po’ il mio mondo.

Dottore, soltanto una battuta. Lei ha vissuto la lontananza perchè dal ’90 al 2000 ha lavorato a Roma. L’amore per Catania si è acceso maggiormente o si è un po’ affievolito ?

R. La lontananza accende gli amori grandi, come dice la canzone e quindi si è acceso. Anche perchè, poi, io facevo il pendolare, non mi sono definitivamente allontanato. E’ stata una bella esperienza, quella romana, però c’era sempre la nostalgia per la mia città.. Il guaio qual è ? E’ che, quando sono tornato definitivamente…me ne volevo ritornare a Roma! .

Allora. Eravamo arrivati alla laurea in Giurisprudenza con questa tesi sul processo di Norimberga. Poi Lei è diventato giornalista professionista ed ha iniziato veramente una carriera splendida. Tra le tante persone intervistate…la mia immaginazione è stata colpita dall’aver saputo che Lei, nell’80 a Taormina, ha addirittura intervistato Tennessee Williams, il piu’ grande drammaturgo americano del XX secolo.

R. Non proprio così vabbè…sì… un grande drammaturgo.

Per Lei è un grande drammaturgo….non il piu’ grande…allora uno dei piu’ grandi ? Ricordiamo opere come “La rosa tatuata” (con una straordinaria Anna Magnani), “Un tram chiamato desiderio” (con un Marlon Brando giovane ma già bravissimo)…insomma tutte opere da cui traspare una disperazione assoluta…vite maledette…Ecco che ricordo ha di quell’incontro che, ormai, risale a tantissimi anni fa ?

R. Mah! Il ricordo è molto nitido. Ricordo che l’intervista la facemmo nella casa di Giovanni Panarello che era un antiquario, una brava persona…erano amici con Tennessee Williams. Era una persona amabile, sorridente…parlava abbastanza bene l’italiano infatti l’intervista, la feci per il TG2, e fu abbastanza comprensibile. E venne con un amico Suo…Lui era un omosessuale dichiarato però non volgare…e quando Gli chiesi chi fosse il piu’ grande drammaturgo del XX secolo, Lui mi guardò e stette un po’…per un momento in silenzio. Io Lo incalzai e Gli dissi “Eugene O’Neill?” che, tra l’altro, aveva vinto il Premio Nobel. Dice “Noooo! Eugene O’Neill non sa scrivere! No, no…assolutamente!” “Ed allora chi è il piu’ grande ?” “Il piu’ grande commediografo vivente è Harold Pinter” mi disse…che poi è morto alcuni mesi fa. Harold Pinter!..questo il giudizio di Tennessee Williams. Lei mi chiede chi è il piu’ grande drammaturgo…Lui era un buon drammaturgo però…non Lo metterei, insomma….C’è Pinter…ce ne sono altri che adesso non mi vengono in mente ma, insomma…comunque…Lui, la fortuna di Tennessee Williams è legata ai film che sono stati ispirati…

Il grande cinema!

R….il grande cinema degli anni ’50 e ’60 che le Sue opere hanno ispirato.

Dottore Isgrò, arriviamo al motivo per il quale ho chiesto di incontrarLa cioè parlare di questo bellissimo libro che è “Il vulcano spento” che ha come sottotitolo “Una delicata storia d’amore nella Catania del dopoguerra”. Ho l’impressione che, in questo libro, si giochi tutto sulle contrapposizioni. Ci sono fascisti contro antifascisti, ci sono lotte di classe….io, così…da romantica, pensavo che l’amore dei due protagonisti riuscisse, no?… a sanare tutte queste contrapposizioni. Invece l’amore non basta. Ma non Le sembra una visione pessimistica della vita ?

R. Si. Sicuramente è una visione pessimistica ma…l’amore quando mai trionfa sempre!! Non credo e poi, a quel tempo, era anche difficile…e, comunque sia non voglio svelare il finale del romanzo che è anche un finale a sorpresa, come Lei sa. E…, in fondo, uno dei temi del libro è la divisione di questo Paese che c’è sempre stata. Fino adesso…con la Sinistra e la Destra, tra comunisti e fascisti, tra ex comunisti ed ex fascisti…questo è un Paese che non si è ricomposto. Quindi, io ho voluto tracciare, attraverso quell’eterna storia d’amore di Romeo e Giulietta no?…che poi non finisce bene…di tracciare, di parafrasare questa storia attraverso la storia nostra. Ma io volevo, se posso, aggiungere…l’altro tema è la memoria. Perchè ho scritto questo libro ? Questo libro l’ho scritto al ritorno da Roma, quando mi sono immerso in questa realtà, in questa Catania al buio, con le buche, insomma…problemi che non finivano mai. E l’ho scritto per bisogno. E’ come ritrovare un’infanzia perduta perchè nell’infanzia uno c’ha i ricordi piu’ belli. E’ come ritrovare “Il posto delle fragole” di Bergman (Viaggio nel tempo, nel proprio passato, vissuto da un professore alla fine della propria vita) oppure “Il giardino dei Finzi Contini” di Bassani (Laddove un gruppo di nobili ebrei di Ferrara, escluso dalla vita pubblica a causa delle leggi razziali, si racconta in quello che diventerà il luogo della falsa apparenza…il giardino per l’appunto!). C’è uno scrittore israeliano che si chiama Aaron Happerfield che ha scritto un romanzo, che adesso hanno pubblicato, “Paesaggio con bambino” se non ricordo male dove Lui raccontava la Sua storia di bambino che finì in un campo di concentramento. Poi Lui scappò e finì nelle mani di una banda di Ucraini e si salvò da questi esempi terribili di delitti…attraverso il ricordo della Sua infanzia…attraverso il ricordo del nonno…Lui parla di questa malinconia. Di silenzioso stupore, no? Il bisogno di restare vivi, di non farsi sommergere dalla brutta realtà del momento attraverso il ricordo dell’infanzia (Mi torna in mente il grande Benigni ne “La vita è bella!” dove proprio cerca di serbare l’infanzia del figlio internato con Lui nel campo di concentramento e che riesce, tra mille peripezie, a preservare dall’orrore trasformando la vita da recluso in un gioco). Questo libro vuole dire anche questo…io l’ho scritto per questo, questo…bisogno.

Ecco, parlando di passato anche…ma, nella vita di tutti i giorni, allora Lei è una persona che coniuga piu’ frequentemente, tra tutti i tempi, il passato o è, comunque, una persona proiettata nel futuro e che vive pienamente il presente ?

R. Io sono un giornalista e, quindi, vivo il presente. Adesso l’età mia mi consente piu’ ricordi che… speranze. Però, certamente, sono un uomo del mio tempo. Cio’ non significa che io non debba ritornare al mio passato, alla mia infanzia che, debbo dire, è stata un’infanzia molto felice con piccoli problemi che c’erano ma è stata bella. Ricreare quell’atmosfera di valori, di lentezza del vivere che…pensi che oggi siamo tornati…con quella crisi spaventosa che c’è…con la globalizzazione…con i titoli tossici che ci vengono dagli Stati Uniti…si prospetta un immediato futuro molto duro. Io credo che dovremmo ritornare a quel tempo degli anni ’50 dove non c’era questo consumismo, questo scialo di risorse…ci sono i ragazzini oggi che c’hanno i vestiti firmati, giocattoli. I miei nipoti hanno case inondate di giocattoli., No! La vita dev’essere piu’ sobria e questo romanzo Ti traccia una società…sobria!

Nel Suo romanzo…lo sfondo del Suo romanzo è chiaramente Catania. Catania che diventa protagonista al pari dei protagonisti della storia. Una città che Lei descrive come una città veramente dalle mille contraddizioni, dai mille formalismi e dalle altrettante ipocrisie. Allora come oggi ?

R. Beh…gratta gratta, insomma, poi le cose…le ferite che si sono aperte molti anni prima, prima della guerra insomma, poi restano. Ciononostante la vita era un po’ diversa cioè…c’erano allora i germi di una malattia che sarebbe esplosa molti decenni, alcuni decenni dopo. Ma allora, questi germi…è come uno che ha un principio di raffreddore ma continua ad uscire lo stesso. Insomma non ha la contezza di questo malessere. Vivi la Tua vita secondo gli esempi e la lentezza di cui dicevo…i valori, lo studio, il futuro, il sogno e…poi questa malattia esplode in maniera irreversibile. Ma perchè esplode ? Perchè non ci sono state le contromisure, perchè la mafia è stata…non è stata capita. Io mi ricordo dei colleghi che dicevano, fino agli anni ’80… che non capitavano e rifiutavano che la mafia potesse essere arrivata a Catania.

Dottore Isgrò, prendendo così a prestito il titolo di una Sua fortunatissima rubrica televisiva, che io ho amato immensamente…ma, secondo Lei, i catanesi…noi catanesi siamo piu’ attori o piu’ spettatori ?

R. Bella domanda! Ma…io credo che siamo l’uno e l’altro. Siamo attori perchè il nostro spirito teatrale si manifesta sempre…l’arguzia catanese è formidabile. Pensi che Brancati, per scrivere i Suoi libri, se ne andava in giro per la città con il taccuino in mano a captare, a scrivere delle frasi che poi Lui utilizzava nei Suoi romanzi e, quindi…siamo attori ma, nello stesso tempo, siamo spettatori degli…perchè lasciamo fare, lasciamo che altri…amministratori non perfettamente eccelsi, non perfettamente intelligenti, alcuni anche un po’ ladri…insomma facciamo dirigere le nostre vite da questi personaggi di 3 soldi insomma e, quindi, siamo attori e spettatori. Non siamo solo spettatori, per fortuna…eh? Quindi siamo anche un po’ arbitri del nostro destino. Da questo punto di vista, io ho fiducia che Catania si risollevi e possa tornare come spirito, come esempio, come disciplina, a quel passato di cui Le dicevo.

Dottore Isgrò, siamo veramente in conclusione. Io…così…ho sorvolato su alcune notizie che La riguardano ed è gravissimo. Lei, dicevo, giornalista professionista, dopo aver lavorato dal ’90 al 2000 al Tg 1 a Roma, nella redazione “Cultura”, poi è rientrato e diciamo che, adesso, ha intrapreso anche la carriera di scrittore. Però vorrei anche ricordare che Lei ha scritto una bellissima commedia sulla vita di Bellini che è stata rappresentata, con successo, allo Stabile. Ha al Suo attivo, anche, due saggi e tre romanzi pubblicati a puntate sul quotidiano “La Sicilia” di cui è stato, per anni, responsabile della pagina “Cultura e spettacoli”. Ecco, quindi…un amore viscerale per la letteratura…per l’arte. Ma, secondo Lei, in conclusione davvero dottore Isgrò…pensa che la cultura riuscirà a salvarci ?

R. La cultura è sempre un fatto importante della vita. Che ci salvi ? Non lo so…La cultura?…Boh! Piuttosto quella che dovrebbe salvarci è l’economia, la buona Amministrazione ma qui il discorso si allarga perchè Catania non puo’ essere un’isola felice. Non lo è mai stata tranne che per periodi ristretti. Insomma…ma tutto il Paese, tutta l’Europa deve salvarsi perchè siamo interconnessi, c’è la globalizzazione…Certo la cultura ha un ruolo importante ma dovremmo… dovremmo portare la gente ad andare a teatro. Oggi la gente, i ragazzi soprattutto, stanno davanti alla tv. Al cinema ci vanno si…ma così come fatto sociale. Ma non vanno a vedere i film. Vanno a vedere i “Film panettone” possibilmente ma non dei film impegnati che Ti possano risvegliare la coscienza. Quindi…prima della cultura c’è la pre-cultura nel senso di…stare bene, di avere i soldi per andare fuori, di stare sereni perchè chi non ha…chi è precario…non è che pensa ad andare al cinema o a leggere, io ho l’impressione. Si. Forse lo potrà fare ma, comunque, la cutltura certo avrà…ha un ruolo importante. Il resto non so…poi sono problemi così complicati che dare una definizione delle cose in maniera netta si rischia di passare per presuntuosi o per superficiali. Diciamo che, genericamente, la cultura ha un ruolo importante e non dico….”Potrà salvarci! Potrà aiutarci a salvarci!”.

Saluto e ringrazio. Andando via, sento la necessità di accostare la macchina sul ciglio della strada che mi riporta da Acicastello a Catania. Ripenso alle parole di Isgrò “Andrebbe scritto un libro sulla vicenda della Sua famiglia”. Si…è vero… io l’ho già scritto. Ho messo la parola “Fine”come gesto liberatorio. L’ho riposto nella parte meno accessibile del solaio di casa mia… lontano da tentazioni masochistiche. Così ho l’impressione che il passato faccia meno male. Ma è solo un’illusione…il passato non puoi rinchiuderlo in qualche pagine scritta ed archiviarlo come se non Ti appartenesse. Lontano ma presente. Ce l’hai dentro, rappresenta la spensieratezza dell’infanzia come per Isgrò, Ti rievoca i peggiori incubi come nel mio caso. Ma è sempre meglio ricordare…la vera iattura mi pare non ricordare, non avere memoria. E’ il vuoto che mi spaventa ed è quello a cui penso quando ragiono sulle nuove generazioni. Rimetto in moto, faccio un bel respiro. Ce l’ho fatta comunque e nonostante tutto. E diTemi se è poco! Alla prossima!

Silvia Ventimiglia – Aprile 2009

P.S. Da questa intervista, sono passati 5 anni e Piero Isgrò è tornato in libreria con un rifacimento del succitato “Il vulcano spento” dal titolo “La bambina francese”; con “L’orologio di celluloide”: una sorta di autobiografia scandita dall’amore dell’Autore per il cinema;  con “L’imperatore ed il musicista” laddove sono messi a confronto i tanti parallelismi tra Napoleone Bonaparte e Vincenzo Bellini.  Infine, Sua ultima fatica letteraria “La sposa del Nord”, cronaca di un adulterio per legittima difesa.

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