Monsignor Salvatore Ventimiglia, il vescovo “dei poveri”!
Il ritratto del Vescovo di Catania il cui nome è legato all’omonima Opera Pia
In un periodo storico in cui la Chiesa recupera il Suo vero ruolo fuori da ogni pericolosa “mondanità spirituale”, grazie a Papa Francesco, è bene ricordare un esempio che fu in tal senso – alla fine del Settecento – il Vescovo di Catania, Monsignor Salvatore Ventimiglia, il cui nome resta legato alla città grazie all’omonima Opera Pia che – dalla Sua origine – presta servizio ai poveri ed agli anziani malati.
Poco o nulla sappiamo noi Suoi concittadini del Nostro Vescovo e, pertanto, cercherò di recuperare l’imperdonabile gap, cominciando da qualche notizia biografica.
Nato a Palermo il 15 luglio del 1721 da Vincenzo, principe di Belmonte e da Maria Anna Statella, dei principi di Villadorata, giovanissimo entrò nel Collegio dei Gesuiti dove sviluppò, insieme ad un’immensa cultura, anche una predisposizione alla vita contemplativa che acuì un carattere sempre piu’ schivo ed introverso, oppresso com’era dalla sensazione di non essere degno dell’abito talare, a causa dei Suoi peccati.
Mentre il fratello Giuseppe andava ricoprendo, in virtù dell’acquisito titolo di principe, incarichi sempre piu’ importanti a Palermo e presso la Corte di Napoli, Salvatore veniva ordinato sacerdote nel 1744 e, dopo 9 anni, conseguiva la laurea in Studi giuridici presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Al ritorno nella città natale, venne nominato – giovanissimo – Vicario generale della Curia e, in tale incarico, si conquistò la stima e la benevolenza dei Suoi concittadini. Come Bergoglio, infatti, Ventimiglia non predicava la semplicità ma la praticava cercando di costringere il mondo ecclesiastico ad adeguarsi.
Nel 1758, alla morte del Vescovo di Catania, Pietro Galletti, su segnalazione di Carlo III, Papa Benedetto XIV Lo nominò alla guida della Diocesi catanese. Fu in questo incarico che il neo vescovo dimostrò dinamismo e grande voglia di innovazione portando avanti un’importante opera di moralizzazione della diocesi che, negli ultimi 70 anni, aveva dato un’immagine non esattamente consona al proprio ruolo.
Non lesinò sforzi per la riorganizzazione della Curia né per la ricostruzione delle parrocchie dopo il distruttivo terremoto del 1693, per la costruzione di nuovi edifici, per la riorganizzazione dell’Università e per la riscrittura – in siciliano – del Catechismo per renderlo a portata di mano anche della popolazione non istruita e ciò in ossequio alle direttive dettate dal Concilio di Trento. La Sua attenzione fu rivolta particolarmente ai poveri ed ai vecchi, costretti a vivere una vita ai limiti della dignità umana, e – a tale scopo – fondò nel 1760 l’Albergo generale dei poveri, meglio noto come Ospizio Monsignor Ventimiglia, prima struttura del genere realizzata in città. La cronaca ci ricorda come, in occasione della carestia del 1763, lo stesso Ventimiglia impegnò la Sua argenteria per far fronte alle maggiori necessità di ricovero. L’Albergo, a seguire, fu beneficiato di una cospicua rendita annua derivante dal patrimonio personale dell’alto prelato ed, infine, istituito erede universale dei beni derivanti dalla propria eredità familiare.
Nella Sua opera di moralizzazione, il Ventimiglia fece stampare un Manifesto con cui abrogava i diritti di prelievo collegato alle visite pastorali ed avocò a sé le proprie spese personali e dei Suoi rappresentanti, proibendo – tra l’altro – ogni privilegio derivante dall’appartenenza al Clero ed ogni dono che, d’abitudine, veniva offerto al Vescovado.
Va da sé che tale comportamento, che cancellava di fatto uno status quo consolidato, creò una situazione di attrito e di continuo e crescente malcontento all’interno della Curia che mise in atto tutta una serie di manovre atte a limitare il potere del vescovo innovatore.
I dispiaceri, uniti ad un carattere tendente al pessimismo, Lo fecero scivolare in una sorta di depressione che Lo spinse a presentare le proprie dimissioni da Vescovo di Catania. Dimissioni respinte, una prima volta, da Papa Clemente XIII ma che il successore, Papa Clemente XIV, non potè fare a meno di accettare davanti alla irrevocabilità della decisione.
Salvatore Ventimiglia, nominato Vescovo di Nicodemia, ritornò alla vita contemplativa che Gli era propria e ciò che fece, in quel di Palermo, negli ultimi 25 anni della Sua vita è difficile sapere.
Ciò che sappiamo è che l’amore per la città di Catania rimase intonso tanto che, per dimostrare devozione alla città ed ai catanesi, donò un cereo per la festa di Sant’Agata. E’ quello che, ancora oggi, apre la processione della Santuzza il 4 e 5 febbraio di ogni anno.
La Sua avventura terrena ebbe fine, nella Sua città natale, l’8 aprile del 1797.
Come si diceva, il Suo nome resterà per sempre legato alla città di Catania dove tutt’oggi esiste l’Opera Pia Monsignor Ventimiglia, nata dalla fusione tra l’antico Albergo dei poveri e l’Istituto psichiatrico San Benedetto, con lo scopo di assistere i bisognosi in genere e, in particolare, le persone anziane e disabili. Così com’era nei desideri del “Vescovo dei poveri”.
Da ciò che è stato scritto, si evince la “vicinanza” tra la figura di Papa Bergoglio e quella di Monsignor Ventimiglia. Simili le modalità di intervento: comunità aperte e fraterne; evangelizzazione di ogni abitante delle città; assistenza ai poveri ed ai malati…ciò che, in fondo, dovrebbero essere le linee guida intrinseche alla Chiesa ma che, secoli di storia, ci insegnano non essere stato sempre così.
Onore al merito, pertanto, a Papa Francesco ed all’umile servitore di Dio, Monsignor Ventimiglia.
Alla prossima!
Silvia Ventimiglia – Gennaio 2014