Shakespeare…siculo fu!

A colloquio con lo scrittore calatino Domenico Seminerio, autore de “Il manoscritto di Shakespeare”

E’ il 2008. Chi mi conosce sa quanta presa abbia su di me l’ipotesi che il Bardo possa avere un’origine siciliana. Da quando, quest’estate, ne ho sentito parlare non ho fatto altro che navigare sul web, parlarne a destra e manca…rapita da un mistero che, se risolto a nostro favore, potrebbe cambiare la storia della letteratura mondiale. E diTemi se è poco!

Mi sono convinta sempre più che fosse strano non averne mai sentito parlare…che so, per dirla alla Gerry Scotti, che non mi si fosse neppure aperto “un cassettino della memoria”, quello che – a volte – Ti fa ricordare di aver sentito parlare di qualcosa anche se non riesci a focalizzarla. Niente, buio più assoluto.

PensaTe, pertanto, la mia sorpresa quando…chiacchierando con un amico…mi ricordò che – nel 2006 – ospite di una mia trasmissione radiofonica il prof.Domenico Seminerio, parlando dei Suoi progetti futuri, si era dilungato sulla questione. Aveva raccontato di essere al lavoro su un nuovo romanzo incentrato, pensaTe un po’, sull’ipotesi che il Bardo potesse essere siciliano…di Messina!

Bene, da quel momento, io stessa ho sentito di far parte di un mistero. Come facevo, e me lo chiedo ancora, a non ricordare nulla di ciò? Io che ho memoria, per filo e per segno, di tutto ciò che mi succede, di tutto quello che è inerente alle mie interviste e che, tra l’altro, noto particolari anche insignificanti. Pensando, in un primo tempo, ad un errore di memoria del mio amico, recupero la mia brava carpettona con su scritto il titolo della trasmissione e l’anno, dove conservo ogni ogni foglio, ogni appunto relativo alle puntate andate in onda. Mi piace conservare per poi rivedere, con calma. E ripercorrere, attraverso le innumerevoli annotazioni, atmosfere passate.

Per farla breve, quando mi accingo a cercare, per data, mi prende una strana ansia…vuoi vedere che ci trovo qualcosa relativa all’ipotesi suddetta e al libro che, quest’anno, ha pubblicato Seminerio sull’affascinante ipotesi avanzata dallo storico ragusano Martino Iuvara?

Signori…che dire?

Era martedì 21 novembre 2006 e Domenico Seminerio, testimoniato da una pagina intera scritta di mio pugno, si intratteneva lungamente sull’ipotesi, annunciando che stava lavorando proprio alla stesura de…pensaTe un po’…”Il manoscritto di Shakespeare”! Non c’è dubbio…mi sento sempre più protagonista, non so in che ruolo, di questa affascinante storia. Quello che è successo, e cioè che io possa aver sentito parlare della vicenda, di averne chiacchierato lungamente, di averne scritto di mio pugno e di non conservarne neppure il più piccolo ricordo…no, non è possibile…credetemi. Non sta né cielo né in terra!

Vado, un eufemismo per dire che…mi fiondo in libreria. Il libro è esaurito…e Ti pareva! Devo aspettare qualche giorno. La curiosità cresce, mi divora. Finalmente passano i giorni ed il libro arriva. Niente, quel giorno, riuscirà a distrarmi dalla lettura. Stacco il telefonino e…full immersion!!!! La narrazione mi è familiare, per niente sconosciuta. Divorato il contenuto, mi accorgo che tutto ciò che Seminerio narra, avendo avuto come fonte Iuvara, io l’ho conosciuto attraverso internet e basandomi su fonti diverse. Ciò che si racconta combacia esattamente con l’idea che mi sono fatta.

Da quel momento, sono certa del mio prossimo passo. Inviterò il grande scrittore calatino e lo farò diventare uno dei protagonisti dei miei ritratti radiofonici. Un’ottima occasione per saperne di più…

Come successo anche in precedenza, Seminerio non se lo fa ripetere e mi dà appuntamento a Catania, da lì a qualche giorno in occasione della presentazione di un libro, stavolta non Suo, dove farà da relatore. Detto, fatto!

Mi presento all’appuntamento munita di registratore e voilà!

Questo ne è il resoconto…

  • Prof.Seminerio, innanzitutto grazie per aver accettato l’invito. A quei due o tre, che non La conoscano…Lei, insieme a Camilleri e Carofiglio, completa la triade degli autori più letti della Sellerio…R. Grazie a Lei dell’invito. Quello che dice è esagerato…troppo buona. Ci sono tanti altri autori, più bravi e più letti di me. Sto ancora cercando la mia strada…non so neppure a che punto del mio “cammino” sia arrivato.
  • Professore, tanto per farci gli affari Suoi…classe 1944…Lei diventa scrittore in età matura, diciamo.

    R. Si! A 60 anni esatti e dopo anni ed anni di insegnamento, da professore di Italiano e Latino, presso il Liceo classico di Caltagirone.

  • Tanti anni di insegnamento, il contatto continuo con i giovani…cosa Le hanno insegnato?

    R. Mah! Io con gli alunni avevo creato un rapporto per cui io insegnavo Loro le cose del passato…Loro erano maestri di futuro e, devo dire che – da questo punto di vista – ho imparato tantissimo dai miei alunni. Questo rapporto continuo con i giovani, mi ha tenuto sveglio…sulla corda. E’ stato molto utile per me. Mi ha spinto ad andare avanti, a crescere, ad adeguarmi al cambiamento del mondo. Io sono profondo assertore della massima latina “Panta rei”…Tutto scorre. Nulla resta immutabile. Tutto si modifica e bisogna avere il coraggio e la pazienza di seguire il mondo nella sua evoluzione, alla ricerca sempre di nuovi equilibri. Purtroppo non si può cristallizzare niente!

  • In questi anni di insegnamento, Lei ha più ascoltato o parlato?R. Devo dire che ho parlato, e molto…ma, al contempo, ho dedicato molta attenzione all’ascolto perchè quello che non ho sentito dire in giro, in questi giorni di contestazione, è il fatto che l’apprendimento è un rapporto biunivoco tra chi insegna e chi apprende. Un bravissimo insegnante, che non abbia un alunno disponibile all’apprendimento, si trova nell’impossibilità di fare bene il proprio lavoro così come, il più volenteroso degli alunni – se non ha di fronte un insegnante capace – non apprenderà nulla. Un rapporto sano tra chi insegna e chi va a scuola ad apprendere è di fondamentale importanza, soprattutto ora che i giovani sono distratti da mille cose. Una volta, ai miei tempi, c’erano pochi centri formativi…la famiglia, la parrocchia e la scuola. Adesso è diverso…i centri formativi sono infiniti per cui la scuola è diventata una debole “voce clamans in deserto”. Regolarmente smentita dalle televisioni, dai giornali, dalle famiglie, dai conciliaboli tra coetanei. La scuola, quindi…è chiaro, ha perso un pochino del suo ruolo e lo sforzo dev’essere quello di recuperare, di mantenersi come punto saldo che dia delle certezze.
  • Pensa che ci troviamo davanti ad un nuovo Sessantotto?R. Mah…direi di no! Io l’ho vissuto quel periodo e frequentavo, tra l’altro, l’Università Statale di Milano…luogo simbolo della contestazione. Devo dire che, con i limiti della vecchia scuola, noi eravamo in grado di leggere – ad esempio – un decreto. Io non so quanti alunni, oggi, siano in grado di farlo. Insomma, lei è sicura che sappiano cosa voglia esattamente la Gelmini? Non credo. Il pericolo è che si protesti tanto per farlo, per amore della protesta in sé…senza capirne nulla.
  • Professore, quali pensa siano gli errori che aveTe commesso? Voi della Vostra generazione, intendo. E, di contro, quali valori pensa siaTe riusciti a trasferire?R. Guardi, a vedere qual è adesso la situazione…non è che abbiamo ottenuto grandi risultati, onestamente… però, devo dire, che rispetto al passato c’è meno massimalismo dovuto all’intemperanza giovanile. Ai miei tempi, fu grande l’intromissione della politica con la conseguente strumentalizzazione di tanti giovani. A quei tempi, molti giovani furono utilizzati per propri scopi ed interessi da parte della politica partitica…non tutti chiaramente. Comunque sia, il Sessantotto fu una grande lezione di civiltà. Una grande lezione di consapevolezza: nulla dev’essere dato per scontato ed è giusto ridiscutere tutti i tabù. Ne parlo proprio nel mio secondo libro (aggiungo io che il primo fu, nel 2004, “Senza re né regno”)…”Il cammello e la corda”. Quel libro, in definitiva, non è che una condanna -senza appello – di ogni sorta di fideismo. Non necessariamente religioso perchè, quando si cerca di spiegare la realtà con le solite giaculatorie stantie, si finisce con il perdere assolutamente il rapporto con la realtà, arrivando al risultato di non capire cosa stia succedendo. E, con mio sommo rammarico, noto che in televisione – di questi tempi – non faccio altro che sentire recitare le solite giaculatorie, per l’appunto, che nulla aggiungono e molto levano alla comprensione delle cose.
  • Professore, in controtendenza con un mondo, quello attuale, caratterizzato dall’utilizzo sempre più crescente di sms…di email…insomma, dominato dall’esigenza di un’immediatezza anche scritta, lei scopre il piacere di comunicare in maniera più profonda soffermandosi su concetti, sulla parola scritta e si ritrova – in età matura – a fare il romanziere…R. Si, esatto. La prima definizione, datami da “Repubblica”, fu quella di “Esordiente tardivo”…la cosa – dapprima – mi gratificò . Poi, ho pensato a quello che diceva Goethe il quale affermava che il vero scrittore si fa a 60 anni. Giusto la mia età. Se, poi, considero quella che è stata l’evoluzione di molti scrittori siciliani, Camilleri in testa…pare che prima dei 60 anni non pubblichi nessuno. Camilleri, ad esempio, ha cominciato a 65, Bufalino a 62, Tomasi di Lampedusa non pubblicò neppure in vita…Suo cugino Lucio Piccolo a 59…insomma, sono nella media dei siciliani e… di Goethe. Consideri anche che la vita media si è allungata quindi…in difenitiva, posso dire di essere in anticipo!Sorride di gusto, il grande Seminerio e, con la Sua risata franca, abita tutto lo spazio circostante.
  • Professore, da quando si è scoperto romanziere, si presenta puntualmente in libreria ed ha sempre un ottimo riscontro di pubblico. Oltre al già citato “Senza re né regno”, affresco della Sicilia del dopoguerra…terra in cui bisogna piegarsi al proprio destino, nel 2006 è la volta de “Il cammello e la corda” da Lei poc’anzi citato. Entrambi sono espressione di una visione adogmatica del mondo oltre che una condanna assoluta – come si diceva – dell’ipocrisia e dell’intolleranza religiosa…R. Esatto. Tra l’altro, in entrambi, ho cercato di approfondire quella che può essere la conoscenza dell’animo dei siciliani atteso che, presso tutti i nostri scrittori, è venuta fuori questa distinzione, questa diversità del siciliano rispetto a tutti gli altri. Sciascia, sulle orme di Crescenzio Canepa, la chiama “Sicilitudo”…la “Sicilitudine”. Io riprendo il concetto con un certo distacco, però. Non vorrei che, a forza di fare i siciliani, dimentichiamo di esserlo…no? Ora, che ci siano delle peculiarità legate alla storia..all’etnos…al clima, è indubbio ma non dobbiamo focalizzarci solo su questo, dimenticando di essere soggetti umani come tutti gli altri…mi pare un’esagerazione. Certo, siamo “particolari” e, secondo me, questo parte dalla nostra insularità che non è assoluta. Non siamo, infatti, abitanti di un’isola ma di un arcipelago. In Sicilia, ci sono isole…città e paesi in grande quantità Ognuno ha la propria peculiarità anche a livello linguistico…pensi come cambia il dialetto anche a distanza di soli 10 km..

    Il tempo scorre e, nonostante la piacevolezza del dire di Seminerio, la paura è di non riuscire ad affrontare l’argomento per cui ho chiesto l’incontro…mi faccio coraggio.

  • Professore, Lei – di recente – è riapparso in libreria con “Il manoscritto di Shakespeare” che si rifà, liberamente, all’ipotesi avanzata dallo storico ragusano Martino Iuvara…ripresa tra l’altro, nel 2000, dall’autorevole Time. C’è una teoria secondo cui…Ci siamo, sento che la mia curiosità possa essere, finalmente, placata!
  • R. Si, Shakespeare potrebbe essere siciliano di…Messina! E’ un’ipotesi più che una teoria. Secondo Lui, si tratterebbe del giovane Michelangelo Florio, nato a Messina dal medico Giovanni e da Guglielma Crollalanza e che visse a Messina sino ai 18 anni. Poi, costretto a fuggirne a causa della conversione al Calvinismo del padre, Insomma, erano i tempi dell’Inquisizione spagnola…

Da questo momento sarà un susseguirsi di domande, in un crescendo di intensità che non lascia spazio alla riflessione.

Più che un’intervista sembrerà un interrogatorio…non me vorrà il professore Seminerio. Ormai gli

argini sono rotti…

  • Ed allora?

R. Ed allora, la famiglia è costretta a trasferirsi al Nord. Per farla breve, il giovane Michelangelo gironzola un po’ e continua i Suoi studi, iniziati nella città natale. Non si sa, con certezza, quale Università del Nord abbia frequentato…le ricerche sono ancora in corso. Nel frattempo, Suo padre viene trucidato in una congiura di fanatici cattolici mentre la madre decide di tornare in Sicilia. Lui non La segue, però…temendo ancora l’Inquisizione ed incontra l’amore. Sa qual è il nome della fanciulla di cui si innamora?

  • No!Non oso pensarlo ma qualcosa mi dice che potrebbe essere…

R. Giulietta!

E Ti pareva! Mentre racconta, Seminerio sorride e ride con un fare complice, con quel baffetto appena brizzolato che Gli conferisce l’espressione di chi sappia piu’ di quello che racconti e qui comincia un simpatico “balletto” verbale, ritmato da domande secche e risposte concise!

R. Guarda caso, la fanciulla si uccide perchè il Suo amore è contrastato. Le dice cosa?

  • Ma và…

R. Sa dove va ad abitare Michelangelo, ad un certo punto?

  • No, dove?

R. In una casa, a Venezia, che in dialetto si chiamava “Ca d’Otel” dove – secondo la leggenda locale – un Capitano della repubblica veneta aveva ammazzato la moglie.

Rilancio, certa della risposta…

  • E qual era il nome della moglie, Professore?

R. Desiderata detta…Desdemona! Ed aggiungo che, andato via da Venezia, approda a Padova dove conosce due studenti danesi della cui esistenza ci sono prove…I nomi? Rosengrantz e Guildester.

Ricordo a me stessa che sono gli stessi nomi dei due personaggi che, nell’Amleto, sono inviati dalla corte di Danimarca per spiare lo stesso, Loro amico d’infanzia, e che lo accompagnano in Inghilterra ignari di dover recapitare una lettera con la Sua condanna a morte. Amleto, scopertoLi, fugge lasciandoLi al Loro destino di morte.

  • Professore, mi perdoni ma perchè ci tiene tanto, nella prefazione del Suo romanzo, a sottolineare che il Suo scrivere è liberamente tratto dall’ipotesi di Iuvara? Perchè vuol prenderne le distanze?

Questa domanda, e le successive, hanno lo scopo di arrivare a quello che voglio sentir dire a Seminerio, con il sigillo della certezza, e cioè che il Bardo fu siciliano senza se e senza ma. Speranza, la mia, disattesa dallo scrittore che, per tutto il tempo, fa simpaticamente orecchio da “mercante” (e stavolta non di…Venezia!). Non si espone. Va avanti in maniera evasiva. Ha ragione Lui. Ammetto che sia politicamente corretto ma certo è che, così facendo, mortifica il mio genuino entusiasmo.

R. Perchè…praticamente la finzione narrativa – che ho adottato – prevede dei personaggi secondari…no? C’è un arzillo maestro ottantenne che si rivolge ad uno scrittore chiedendoGli di scrivere Lui la storia…

  • Ma possiamo dire che lo scrittore è Seminerio e l’ottantenne professore…Iuvara?R. No, non è Iuvara
  • Prof.Seminerio ma Lei l’ha conosciuto Iuvara?
  • R. Ci siamo sentiti per telefono alcune volte. Poi sono andato a trovarLo però, disgraziatamente, era già morto.
  • E non Le ha mai chiesto di portare avanti questa Sua ipotesi, così come fa il professore nel Suo romanzo?
  • R. No. Io Gli avevo solo detto che volevo scriverlo…questo romanzo. E Lui ne era stato contento. Poi avevo cominciato a scrivere…volevo andare a trovarLo ma, al telefono, il figlio mi disse che già era morto.

Qua il mistero s’infittisce. Seminerio non si accorge di aver commesso un errore nella narrazione dei fatti. Dapprima dice di essere andato a trovare lo storico e di averLo trovato già morto, poi racconta di aver pensato di andare a trovarLo ma di aver ricevuto, telefonicamente, la ferale notizia della Sua morte. Insomma, mi chiedo…è andato o no?

  • Professore Seminerio, ma il mistero che circonda questa storia non può nascere, secondo Lei, dal fatto che su Shakespeare abbiamo poche, pochissime, notizie mentre di Florio/Crollalanza, pare, ci siano dei documenti?

    R. Si, esatto! Sappiamo, in base a documenti certi, che il nostro Michelangelo, ad un certo punto, conobbe – durante la Sua permanenza al Nord – Giordano Bruno il quale – reduce da un precedente soggiorno a Londra – aveva conosciuto un certo John Florio che era cugino di Michelangelo e consigliò a quest’ultimo di andarLo a trovare, tanto più che in Inghilterra si respirava maggiore libertà religiosa. Pare che il giovane accettò il consiglio e lì, sotto intercessione del cugino, venne posto sotto la protezione di Lord Pembroke. Ora, non si sa se dietro consiglio di John o del nobiluomo…cambiò nome ed adattò quello di Sua madre in inglese. Guglielmina divenne Guglielmo e quindi…William. Crollalanza…tradotto…Shake (scuoti) speare (lancia). Ed eccoci a…William Shakespeare.

  • Professore…ma Lei che idea si è fatta? Shakespeare fu siculo o non fu siculo?Seminerio sorride complice…

R. Guardi, c’è il famoso ritratto che è in un museo inglese, il primo di Shakespeare giovane, che

in effetti non presenta alcun tratto del “tipo” inglese. Ha il colorito olivastro, i capelli neri, gli occhi a mandorla…

Lo interrompo…

  • Come un siciliano, intende?

R. Ci pensi…secondo me, sì! Poi, tra l’altro, quest’estate a Cefalù al Museo della Mandralisca parlando con il direttore, quest’ultimo ebbe a dirmi che aveva notato una certa somiglianza…noi siciliani siamo specialisti nelle somiglianze…tra l’uomo della Mandralisca, il famoso ignoto marinaio ritratto da Antonello da Messina, e lo stesso Shakespeare. Un’ipotesi assolutamente affascinante e mii spiego, anche, perchè i britannici facciano quadrato: sarebbe come dire che Dante Alighieri, in realtà, avesse origini che so…spagnole!

  • Si, ma quello che non capisco, professore, è perchè noi italiani non facciamo passi avanti per cercare di documentarci meglio e di dare valore a questa tesi che, veramente, potrebbe cambiare le sorti della letteratura mondiale…

    R. Mah! L’ipotesi, devo dire, risale ai primi anni del 900 allorchè un giornalista fiorentino, Paladino, aveva trovato un libricino scritto in italiano “I secondi frutti” e che, poi, ritroviamo, in lingua inglese, con lo stesso titolo ed attribuito, stavolta, a John Florio, il famoso cugino di Michelangelo. Diciamo che si era incuriosito…aveva cominciato a fare qualcosa ma, pare, che alla fine, questo piccolo libro sparì…occultato dai Servizi segreti britannici.

  • Indizi che, messi insieme, assumono valore di prova…Il “Troppu trafficu ppi nenti” ad esempio…R. “Troppo scrusciu ppi nenti!” scritto 50 anni prima di quando apparve “Troppo rumore per nulla” di Shakespeare…Ma, vede, bisogna fare attenzione, però! Noi la commedia siciliana non ce l’abbiamo. E’ un’ipotesi. Insomma, non siamo in grado di dimostrare che questa commedia sia stata scritta in siciliano e, poi, riproposta in inglese. Certo è vero che il nostro Florio seguì corsi di Letteratura teatrale in quel di Messina e proprio nella città siciliana è ambientata l’opera. E, quindi, la domanda sorge spontanea: come faceva un inglese, che mai aveva oltrepassato i confini della Sua terra, ad ambientare una commedia a Messina? Certo, io devo procedere con i piedi di piombo però…realmente, suona strana questa cosa!
  • E certo, professore!

R. Non devo entusiasmarmi, per primo, io! Diciamo che ho voluto riproporre questa ipotesi che, tra l’altro, tra tutte quelle proposte sulla vera identità del Bardo, forse è la meno campata per aria, devo dire. Perchè l’inconsistenza delle notizie biografiche su Shakespeare ha fatto sì che moltissimi studiosi abbiano dubitato che sia chi vogliono gli inglesi…un uomo, cioè, nato a Stratford Up Avon …figlio di un guantaio, pressochè analfabeta…

  • Parliamo, a ragione…allora, giusto? Parliamo di Michelangelo Florio da Messina!

    Sorride sornione e sempre “abbottonato”…

    R. Sarebbe una bella ipotesi, devo dire!

    – Professore Seminerio, poco fa, Lei parlava del concetto di “sicilitudine”. E proprio in questo libro lo riprende. Concetto che Lei ritiene essere un quid che noi siciliani abbiamo e che ci differenzia completamente da qualsiasi altro cittadino del mondo…risorsa o, al contrario, difetto?

    R. Dunque,ascolti. Come tutte le cose, ci sono aspetti negativi e lati positivi. Per cui non si può mai tagliare il bene ed il male con un coltello. Il problema è che, come individui, abbiamo delle peculiarità eccezionali. Come collettività…il discorso cambia. Lì cominciano i nostri problemi perchè il fatto di essere delle isole, delle monadi, di portarci appresso quest’isola…fa sì che, quando ci mettiamo insieme, le cose non è che funzionino proprio bene.. no? Per cui, tutto ciò che è collettivo mostra delle crepe. Ciò che, invece, è l’animo individuale…E poi c’è da dire anche che la Sicilia, soprattutto negli ultimi due secoli, non è che abbia saputo difendersi bene da tutti quelli che l’hanno aggredita, se ne sono impadroniti e l’hanno, poi, tutto sommata sfruttata!

  • Professore, pare che i siciliani amano sentirsi siciliani. Per Lei è la stessa cosa?R. Si, certo! Però, attenzione…un conto è essere siciliani,un conto è fare i siciliani così come vorrebbero le fiction televisive, secondo uno stereotipo che non corrisponde al vero. Tutti gli stereotipi, come i pregiudizi, hanno solamente qualche punto di contatto con la realtà. Poi… sono completamente diversi…mi spiego?
  • Siamo in conclusione di chiacchierata. In controtendenza con i dati pubblicati, nel 2007, dall’Associazione Librai e che confermano la chiusura, in Italia, di una libreria al mese, Lei ne ha aperta una e, per di più, a Gela dove non ne esisteva alcuna…una doppia sfida, quindi!R. Si, l’ho chiamata “L’araba fenice” e sa perchè? Perchè è un po’ metafora della città di Gela. Sa l’origine del nome? Tucidide ci dice che, quando Antifemo – che era il capo dei Greci che fondarono la colonia – sbarcò sulle coste…

E qui esce fuori il “professore” Seminerio…

R….abbagliato dalla bellezza dei luoghi…eghèlase, in greco antico, cioè..sorrise! E dal sorriso di Antifemo nacque Gela. Questa, almeno, la spiegazione poetica che ne fa Tucidide. Poi, però, Gela fu distrutta da Finzia nel 283, scomparve e non fu riedificata subito. Rinacque, ai tempi di Federico II, con il nome di Terranova. A seguire, nel 1828/29, cambiò di nuovo nome e ridiventò Gela. Quindi…Araba Fenice proprio nel senso di…città che rinasce.

  • In una città, mancante di teatri..con pochi cinema…pensa che una libreria possa essere considerato un reale momento di crescita…quindi, no?R. Guardi. Come per tutte le cose bisogna farci l’abitudine. Fino ad adesso non c’è stata l’abitudine del libro, a Gela. Da questo momento, spero che – essendocene una in centro – verrà più facile vederla, entrarci e comprare un libro. Quando non c’è la “merce libro” è chiaro che la “merce libro” non ha circolazione…o no? Almeno, questo è il mio augurio!

Spento il registratore, la nostra chiacchierata continua – tra una sigaretta ed un’altra – nel bellissimo giardino di piante grasse dell’Orto Botanico di Catania. Il professore mi parla del prossimo arrivo in Sicilia della troupe di “Voyager”, il seguitissimo programma Rai che si occupa di misteri irrisolti. Qualcosa, quindi, si muove…la febbre shakespeariana ha contagiato altre persone! Mi sento un po’ meno visionaria. Sollecitato dalle mie domande a raffica e dal mio genuino entusiasmo, Seminerio mi pare meno “abbottonato” e più innamorato e convinto della nostra tesi di quanto dimostrato a registratore acceso e cita un professore della Facoltà di Giurisprudenza di Catania (non dirò il nome per tutelarne l’incolumità…oddio, sono entrata in un vortice di prudenza…il caso lo esige!) che sta portando avanti delle ricerche presso una Università del Nord (che non cito per gli stessi motivi!) che potrebbero confermare ulteriormente l’ipotesi di Iuvara.

Tempo scaduto! Seminerio viene chiamato a parlare del libro che deve presentare ed io ne approfitto per guadagnare l’uscita e scappare a casa per sbobinare quanto raccolto. Chissà se ci troverò, tra le righe, la soluzione al caso!

Ora, non vorrei sembrare autocelabrativa…e forse lo sarò…la maniera migliore di concludere questo resoconto, mi sembra quella di riportare la dedica fattami dal Prof.Seminerio sulla mia copia de “Il manoscritto di Shakespeare”…”A Silvia che, con le Sue ARGUTE E PUNTUALI domande, mi ha costretto a spogliare il mio animo. La simpatia e l’affetto e la stima continuano a crescere. DS”

Fosse servito a qualcosa!!!! Che so…a strappare l’affermazione che il Bardo fosse davvero ed inconfutabilmente siculo!!!!

Vado via. Lungo la strada, sento un ticchettio alle spalle. Mi si gela il sangue…vuoi vedere che sono i Servizi segreti di Sua Maestà la Regina Elisabetta? Mi volto di scatto, con il cuore in gola. No… è semplicemente Elena…ha dimenticato di chiedermi una cosa! Sono salva per questa volta!

Alla prossima!

 

Silvia Ventimiglia – Novembre 2008

 

P.S. Per completezza d’informazione. La libreria aperta nel 2008 dal professore Seminerio a Gela, che doveva rappresentare un momento di rinascita della città, dopo varie traversie e un trasloco da una via ad un’altra della città, dopo poco più di un anno dall’apertura, ha chiuso i battenti per mancanza di “domanda”. Peccato…un’occasione persa. Da Gela e dai gelesi!

E, sempre, per tenerVi aggiornati…Seminerio ha pubblicato un altro bellissimo libro, dai toni noir alla Borges, edito da Flaccovio “Il volo di Fifina”, storia di una mahara siciliana…assolutamente da leggere!

 

 

 

 

 

 

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