“Il lavoro mi apparteneva”… parola di Luca Caviezel.
A colloquio con l’erede della grande famiglia svizzera che ai siciliani ha fatto conoscere le delizie della pasticceria mitteleuropea.
A volte possono crearsi strane alchimie e può succedere che, in una solare mattina d’inverno, si decida di fare un viaggio lungo quasi un secolo attraverso storia, ricordi e curiosità e che si ritrovi il perfetto compagno d’avventure. Basta avere voglia di ascoltare, da una parte e di raccontare, dall’altra. Se poi Lui è un gentiluomo d’altri tempi con un deciso piglio da catanese mittleuropeo e che di nome faccia Luca Caviezel, classe 1923, il gioco è fatto.
E qui comincia un lungo viaggio nella memoria, in compagnia dell’erede di quella grande famiglia svizzera che ha fatto conoscere a noi catanesi le godurie del palato. Un viaggio ricco di dettagli alla faccia di una smemoratezza piu’ dichiarata che reale nonostante le 90 primavere che, a primo acchito, hanno solo attraversato il corpo e la mente senza lasciarne traccia.
Siamo alla fine dell’800 e dalla Svizzera, esattamente dal confine con l’Austria – dal Cantone dei Grigioni… da Pitasch (110 abitanti in tutto)- Alessandro Caviezel, padre di Luca ma anche di Mario…Stefano…Anna Maria e Reto, decide di venire in Sicilia. Tra i monti, laddove pascola il Suo bestiame, si è sparsa la voce che un tizio sta andando a Palermo e così, date le precarie condizioni economiche di tutte le famiglie numerose, decide di scendere giu’.
“Era il 1900 – ricorda il figlio – mio padre aveva 15 anni quando partì solo con un paio di scarpe e due paia di calze. A peri, naturalmente…non aveva manco u cavaddu. Passò il Reno e via via, la Foresta Nera. Impiegò 3 giorni per arrivare a Palermo meta di tanti, dopo la fuga dei Borboni. A quel tempo, la Sicilia era vista come la patria degli aranci e veniva decantata da Goethe per la Sua magnificenza”.
E’ un fiume in piena, Luca Caviezel e ricorda come, essendo piccolino di statura ma anche di età, suo padre venne soprannominato “Il piccoletto” ed impiegato a pulire vetrine. A poco a poco, andò avanti. A Palermo, già dal 1870, c’era la Pasticceria Caflisch (puntualizza che non trattasi della stessa famiglia che a Catania ebbe fortuna con i tessuti e con i casalinghi) che continuava a chiamare svizzeri a lavorare giu’”.
Alessandro, che faceva coppia con Ulrico Groter, ad un certo punto aveva pensato di andare in Transval alla ricerca di pepite d’oro ma fu subito persuaso dall’amico che lo convinse a rimanere in Sicilia e dopo un viaggio, in lungo e largo per l’isola, l’approdo a Catania. Che Dio Li abbia in gloria!
“Il problema erano i soldi – aggiunge – Allora il consolato era retto da Vittorio Caflisch (questo sì della famiglia nota a Catania per i tessuti e per i casalinghi) che lo invogliò a fare società con Lui. Quest’ultimo avrebbe messo il 50%, mio padre ed il Suo amico il restante 50%. Partivano in quinta, avendo una banca privata alle spalle…proprio il Banco Caflisch che aveva sede in Via Biondi 8”.
Appena alzata la saracinesca della A.CAVIEZEL PASTICCERIA SVIZZERA, sita nella principale Via Etnea di fronte a dove oggi si trova La Rinascente, il padre pensò bene di allestire, al primo piano laddove poi ci furono gli uffici e l’amministrazione del’azienda, una foresteria per dare alloggio ai tanti pasticceri che man mano chiamò a lavorare a Catania.
”Noi Caviezel – dichiara orgoglioso – abbiamo avuto il merito di aver portato la pasticceria mitteleuropea in Sicilia”.
La Pasticceria Caviezel, nata come sede unica in Via Etnea, ma mano si sdoppiò aprendo la cosiddetta succursale vicino Piazza Università, dove c’era il famoso Bagghiu Tricomi, un cortile interno dove vennero posizionati dei tavolini a cui servivano camerieri in frac. Con il tempo, venne aperto un locale persino in Piazza Europa. La fortuna dei Caviezel crebbe e si affievolì fino a vedere assottigliato il numero dei dipendenti da 205 a 72 ed infine ad 8.
Cosa accadde, Maestro?
“La colpa fu dei sindacati, non c’è dubbio”.
Si avverte che la questione bruci ancora e volendo riportare la chiacchierata alla leggerezza che, finora, l’ha caratterizzata…torno sul passato piu’ remoto rispetto a quello dove ci stiamo soffermando.
Abbiamo ricordato Suo padre…mi parli di Lei.
“Nella mia famiglia si parlava il romancio. La mia prima lingua estera fu il siciliano…non l’italiano, è vero? Abitavamo in Via Roccaromana dove mio padre desiderava che frequentassimo i ragazzi dda strata, che imparassimo ad ittari petre…Noi Caviezel abbiamo voluto integrarci con la gente di qui. Poi, dopo il siciliano imparammo l’italiano.
Ultimate le scuole superiori a Catania, io ed i miei fratelli Stefano e Mario avremmo dovuto, secondo i nostri progetti, specializzarci in Svizzera. Allo sbarco degli alleati in Sicilia, nel luglio del 43, eravamo già lì e per ben 3/4 anni non sapemmo nulla dei nostri genitori e del resto della famiglia rimasta a Catania. Una volta, per la verità riuscì a comunicare attraverso una radio a Berna. Io parlai ma non seppi mai se mie notizie erano arrivate a destinazione e comunque non seppi niente di chi era rimasto e in quali condizioni. Con i miei fratelli dovemmo interrompere gli studi e metterci a lavorare. Io cominciai in una fabbrica di marmellate. Furono anni difficili ma avevamo un futuro davanti…c’era il desiderio di tornare. Qui era casa nostra!
E finalmente, nel ’46, potemmo tornare e trovammo il resto della famiglia. A noi era andata bene!”
Il Maestro Caviezel, a questo punto, smonta ad una ad una le certezze che leggende metropolitane hanno ricamato sulla sua famiglia. Non furono loro gli inventori del cono gelato né del famoso “pinguino” né dei pezzi duri. Fanno tutti parte della ricca e barocca tradizione pasticcera siciliana, rivisitata alla luce delle influenze europee.
“Noi, quello sì, abbiamo portato – attraverso tutti i lavoranti provenienti da svariati Paesi europei – le novità che, allora in mancanza di comunicazioni, non sarebbero arrivate…noi abbiamo “rubato” dalla cultura parigina e viennese i segreti dell’alta pasticceria e l’abbiamo rivisitata alla luce della tradizione siciliana. Questo sì…se questo è inventare…sì siamo gli inventori”.
E continua…”Ma sa che, per un certo periodo, abbiamo dovuto togliere la scritta dall’insegna? Fu quando Mussolini passò davanti al nostro locale, io Lo ricordo benissimo. Allora, la Svizzera aveva sottoscritto le sanzioni contro l’Italia per aver attaccato l’Abissinia e, quindi, iddu pensò bene di farci togliere la dicitura che riportava alla provenienza geografica”.
Ritrovo le mie corde, perse strada facendo immersa in visioni di panne, creme, gelati…
Il Vostro era il luogo preferito dall’aristocrazia, dai grandi proprietari terrieri, dagli industriali…la dirimpettaia BIRRARIA (si,proprio birraria con la A da birra…così si chiamava ai tempi) LORENTI era il luogo dove si ritrovava l’intellighentia cittadina che aveva possibilità di chiacchierare a quei tavolini di cui Voi eravaTe sprovvisti, almeno nella sede centrale. Il ceto medio basso transitava e basta seguendo le proprie occupazioni…Quale personaggio L’ha colpita maggiormente?
“Guardi, ricordo benissimo Scelba. Ma anche Brancati., il poeta Villaroel sempre in cerca di pezzetti di carta su cui scrivere le sue poesie, il futuro Presidente della Repubblica…De Nicola e tanti altri”.
Aggiungo io che era l’epoca anche dei famosi arancini di GIARDINI…
“Sa perchè erano così buoni? – mi chiede – Perchè Lui era un salumiere e penso bene di aggiungere all’interno delle piramidi di riso, i cozzi dei salumi residuali, macinandoli…”
Ricordo che l’anno prossimo, esattamente il giorno di Natale, saranno cent’anni da quel giorno in cui Suo padre alzò la saracinesca sulla Via Etnea e Gli chiedo come si pensa di festeggiare.
“Guardi, noi abbiamo affrontato vari passaggi nella gestione dell’azienda. Alla fine abbiamo dovuto svenderla e siamo rimasti a zero. Io vivo di pensione e mi sta bene ma di festeggiare c’è poco, per la verità. Noi siamo stati aggrediti dai sindacati senza alcuna possibilità di reagire. Rivendicazioni su rivendicazioni…Ogni sabato assemblee…Alla fine, non c’era piu’ quel piacere al lavoro che ci aveva animato sin dagli esordi. E sono stati parecchi anni quelli difficili, 15/20…non pochi. Abbiamo ricevuto molto, è vero, ma abbiamo dato tanto quanto se non di piu’. C’è molta amarezza e pertanto non c’è voglia di celebrare un bel niente. Non volevamo arricchirci ed infatti non ci siamo arricchiti ma Catania non ci ha protetto. Sento spesso parlare di lavoratori…sacrosanto. Ma chi pensa ai datori di lavoro? Il lavoro chi lo crea se non il datore di lavoro?Mio padre ha cominciato dal nulla…ha creato una bellissima azienda…ha avuto con i propri collaboratori un rapporto quasi familiare ed il risultato quale è stato? La nostra azienda, alla fine, non poteva piu’ andare avanti ed è stato un peccato. Nell’immaginario collettivo i Caviezel sono una famiglia ricchissima…pensi la gente quello che vuole. Non è così!
L’agonia è stata prolungata, poi, con il mantenere vivo il settore ricevimenti, di cui si occupava mio fratello Reto, ed infine l’apertura di Igloo, un punto vendita in Via Raffaello Sanzio, aperta nell’80 e chiuso dopo 8 anni, 14 rapine e 2 richieste estortive”.
Torna a parlare di sindacati e la sua espressione cambia registro…
”I guai cominciarono con i sindacati…dovrebbero star fuori dalla politica. Pensi che, ad certo punto, dovemmo pagare una multa di 6 milioni e sa perchè? Due volte a settimana, i nostri lavoranti seguivano dei corsi in pasticceria e lo facevano facoltativamente. Ciò che elaboravano o veniva buttato oppure su puttavano a casa…certo non li pagavamo per questo. Erano dei corsi e per giunta facoltativi. Morale della favola…fu considerato lavoro non retribuito, non formazione. Da qui la multa che, per quei tempi, erano soldi!
Sono stati i sindacati a rovinarci e non solo a noi. Pensi ai Dagnino ed ai Caflisch a Palermo, agli Irrera a Messina per poi finire alla Motta ed alla Alemagna…queste erano aziende che assumevano, per il periodo natalizio, ben 3000 persone per 4 mesi. No…secondo i sindacati avrebbero dovuto assumere per 14 mesi. Non andava bene… Ma, insomma, come avrebbero potuto sostenere queste spese aziende che lavoravano, soprattutto, in quel periodo?”
Come datore di lavoro non sente di aver commesso errori?
“ Chi non ne commette ma rivendico la buonafede. Ho licenziato ma ho anche riassunto. A volte l’atmosfera di rivendicazione faziosa era talmente pesante che, per poter continuare a lavorare con un minimo di serenità, ho dovuto licenziare”.
Vorrei alleggerire l’atmosfera…mi danno con me stessa per aver portato l’argomento su questo piano. Mi soccorre il sorriso sornione di Aldo Motta con la Sua domanda ricorrente.”Ti raccomando, chiediglielo!” aveva insistito..
Perchè le pizzette furono aumentate da un giorno all’altro da 25 a 40 lire?
“Chissacciu…su riorda sulu iddu!” Sorride e mi svela, pressato, il segreto delle famose pizzette di Caviezel mai piu’ eguagliate…
“Vede, se lei chiede ad un panettiere di fare un dolce lo farà con la Sua mentalità di panettiere. Se ad un pasticcerie chiede di fare il pane prima o poi ci lassa currere un uovo…è vero? Noi avevamo dei pasticceri che prestati alla piccanteria…applicarono la loro mentalità da pasticceri. Innanzitutto, l’impasto…la doppia lievitazione…tre diversi tipi di formaggio di primissima qualità, anche svizzero.
Maestro, mi ricorda che Catania era quella dei Suoi tempi?
“Ma vede, La deluderò…lo so. Ma io stavo per la maggior parte del tempo, dietro…in laboratorio. Quando non ero lì ero in giro per il mondo…sono stato fino in Giappone. E sempre per lavoro. Com’era Catania? Spensierata. Direi…senza pinseri…ottimista”.
Lo dice con un sorriso agrodolce…
“Oggi, come tutta la Sicilia, rimane polo di attrazione…una terra fuori dagli schemi. Una nazione a parte ed io mi sento di appartenere, profondamente, a questa nazione”.
Mai pensato di tornare in Svizzera?
“L’abbiamo pensato qualche volta ma il nostro centro affettivo era qui. E poi non eravamo piu’ i contadini che eravamo partiti da quei luoghi…non avevamo piu’ dimistichezza con quel tipo di vita.
Per quanto riguarda l’”eredità” professionale, sappia che scrivo libri (aggiungo io, considerati Bibbia del settore),tengo corsi per trasmettere quella che è la mia arte nel campo della gelateria. Ci sono bravi gelatieri, mi creda. Devono, però, convincersi che sono Loro i nocchieri…non i produttori di macchine da gelato o di prodotti lavorati. Ana accumannare iddi perchè non vada disperso tutto il patrimonio accomunato…Non bisogna transigere sulle materie prime. Devo essere di eccellenza sia in termini di qualità che di quantità e bisogna specializzarsi.
A questo punto, mi racconta di essere stato il primo al mondo ad aver applicato, in gelateria, il cosiddetto “bilanciamento degli ingredienti” che, inventato dai tecnologi alimentari americani, ha trovato in Lui l’attuatore. In gelateria, mi spiega, è possibile ridurre tutto in cifre, cosa non ancora attuata in pasticceria, ad esempio. Tutto ciò ciò permette chiarezza e certezza di risultato cui la fantasia, l’estro e l’influenza dell’ambiente danno, poi, quel quid che fa la differenza.
Un curiosità, Maestro…ma Lei che preferenze in campo alimentare?
“ Anche qui, forse, la deluderò…non sono goloso! Bevo un litro e mezzo di latte, quello sì…e amo le uova. Mangiarle ed usarle nelle mie ricette. Ci pensi, l’uovo è legante…montante…strutturante…emozionante”. Sembra di assistere ad una dichiarazione d’amore…”Oggi viene usato poco sostituito da schifezze ed è un vero peccato….dico io…mittiti l’ovo e putiti togghiere tuttu u restu”. Anche il gelato, nato dall’acqua e dallo zucchero…ha fatto il suo salto di qualità quando ci si abbiò l’uovo” E qui mi parla si dilunga sul sito che cura per dare un freno alla brutta piega che sta prendendo il mondo del gelato. Oggi viviamo di mediocrità e standardizzazione…c’è poco spazio per quell’eccellenza che prima la faceva da padrona.
Mi scandisce chiaramente l’indirizzo gelatieriperilgelato.com e m’invita a visitarlo. Ha ancora uno scopo nella vita, il grande Luca Caviezel, quello di tutelare e salvaguardare il ricco patrimonio siciliano che spazia dagli schiumoni ai pezzi duri passando per i cannoli gelato.
Una vita lunga la Sua…quale il bilancio?
“Ho fatto quello che ho voluto, secondo gli insegnamenti di mio padre…sono sempre stato portato nel dare piuttosto che nel ricevere. Anche per i corsi che ho tenuto e tengo ho chiesto quello che mi sembrava e sembra giusto…una piccola parte di quello che altri pretendono. Non ho saputo arricchirmi. Non ho voluto arricchirmi. Mio padre ci ha insegnato che ognuno di noi ha un compito, che deve fare qualcosa per gli altri. Questo è stato il faro della mia vita. Non sono scontento, onestamente. Certamente una cosa di cui mi rammarico è il poco tempo dedicato alla famiglia. Lavoravo persino la domenica. Il lavoro mi apparteneva!
Si è fatto tardi ma non vuole lasciarmi andare via. Non appare ancora sazio dell’abbondanza di ricordi regalati e così lo accontento aggiungendo un’ulteriore richiesta di chiarimento. L’ultima.
I beninformati pronunciano il Vostro cognome CAFIZEL…hanno ragione?
“No! La pronuncia corretta è proprio CAVIEZEL e sa che significa? Ca, come a Venezia, sta per Casa. Il nostro cognome significa Casa di Viezel laddove è questo il termine con cui si indica un albero, un ciliegio selvatico….come Caflish significa Casa di Flish…Canova Quelli della casa nuova…Casut, quelli della casa di sotto e così via.
Prima di lasciare la casa, chiedo di poter avere alcuni rametti di una pianta grassa che è stata testimone muta della nostra conversazione e Lui acconsente con piacere. La pianterò a ricordo di questo incontro tra chi ha avuto voglia di raccontare e chi di ascoltare. Attecchirà lo sento e la chiamerò Memoria, come quel patrimonio collettivo… unico ed insostituibile che va tutelato e conservato.
La vigorosa stretta di mano, con la promessa di rincontrarci, si traduce in un impalpabile…sentito e reciproco GRAZIE!!!!
Esco da casa Caviezel e mi sembra di aver passeggiato per via Etnea con mia madre, con i miei nonni mai conosciuti, di aver rivisto una città che non esiste piu’ , di essermi riappropriata della mia piu’ genuina catanesità che, talvolta, appare sbiadita. Magari solo per qualche ora…magari solo nell’arco di una bellissima mattina d’inverno ma è successo e…ditemi se è poco!
P.S. Caro lettore, Ti informo che – a distanza di mesi – quella pianta ha attecchito. E ciò anche grazie a Te che stai leggendo…
Silvia Ventimiglia – Novembre 2013