E’ così che si muore…in ricordo di Dorina Corso Majorana
Sopravvisse 28 anni alla misteriosa scomparsa del figlio, il famoso fisico Ettore Majorana e non perse mai la speranza di riabbracciarlo.
Era il 5 agosto del 1906 e a Catania nasceva colui, il cui genio, Fermi paragonò a quello di Netwon e Galilei, il fisico Ettore Majorana. Di Lui, ma soprattutto della Sua misteriosa scomparsa, si è detto tanto anzi troppo e, pertanto, ci defiliamo dalla schiera dei cosiddetti “majoranologi” che credono di aver capito cosa stia dietro la vicenda e propongono le spiegazioni piu’ varie, a volte fantasiose e surreali.
No, noi vogliamo essere tacciati di originalità e non vogliamo avere la pretesa di spiegare le sorti del giovane Ettore che, come si diceva, scomparve misteriosamente nel marzo del 1938. La Sua fu una scelta volontaria di indietreggiare di fronte alle prospettive ed ai possibili, orrendi, scenari aperti dalle Sue scoperte scientifiche, come ipotizzato da Leonardo Sciascia? O, come mutuato dalla versione piu’ accreditata all’indomani dei fatti, fu rapito da qualche misteriosa Potenza straniera? O, ancora, è Lui il misterioso mago di cui parlano leggende antiche che circolano alle pendici dell’Etna, da Lui tanto amata? Il mago che, salito sulla vetta del vulcano, sparisce nelle Sue viscere e ne uscirà un giorno, in una nube di fuoco, a polverizzare vivi e morti come ipotizzato in un articolo apparso su “La Stampa” del 29 luglio 1950, a 12 anni dalla Sua scomparsa? Ipotesi suggestiva ed inquietante, per certi versi, se si pensa che ancora bambino Ettore, sulla ringhiera della casa di villeggiatura a Passopisciaro (Castiglione di Sicilia) incise una croce per indicare il punto in cui, nella prima decade del Novecento, si trovava la vetta dell’Etna. Questo ciò che si racconta in famiglia e ciò che chi scrive ha visto. Ma se Ettore, già allora, avesse voluto indicare il posto dove avrebbe avuto epilogo la Sua vita già presago della fine ……che avrebbe scelto? No, come dicevo, non ci interessa ipotizzare qualcosa che, probabilmente, non avrà mai risposta. Non è di Lui che vogliamo parlare, quantomeno non direttamente. E’ della madre, Salvatrice Corso, che vogliamo dissertare unendo ricordi di familiari, giudizi riportati a volte senza costrutto ed opinioni personali avendo chi scrive “annusato” la presenza di Dorina, così veniva e viene chiamata in famiglia, in quella che fu la casa portata in dote, insieme ad immense ricchezze poi dilapidate dai discendenti, al momento del matrimonio con Fabio Majorana appartenente ad una dinastia culturale denominata “Gli Archimede di Sicilia” in virtù del fatto che, in oltre un secolo e senza interruzioni, ha fornito soprattutto scienziati. Ma questo è il passato!
Ma torniamo a Dorina. Mi è bastato sfiorare le Sue scarpette in raso fatte a mano, le stesse indossate il giorno del matrimonio, per vederLa avanzare incerta ed emozionata lungo la navata della chiesa laddove il padre, ricchissimo proprietario terriero etneo, La consegnava al marito e, in definitiva, alla Storia. La misura, 34, denuncia che la giovane Dorina non doveva essere piu’ alta di un metro e cinquanta, in linea con i canoni dell’epoca e ciò me l’ha resa ancora piu’ cara, familiare. Da quel matrimonio, la gens Majorana – proveniente da Militello in Val di Catania e che già aveva regalato all’Italia Ministri e uomini di scienza ma la cui fama era destinata a scemare di generazione in generazione, si arricchì e nutrì del genio di Ettore. Anzi, alla Sua scomparsa, si ha l’impressione che abbia voluto alimentare un mistero che, qualcuno oggi, ipotizza non esserlo per Loro. Ma tant’è.
Ma perchè scrivere di Dorina Corso, Vi chiedereTe Voi? Forse per solidarietà femminile o, forse, per rispetto proprio a Colui che rappresenta una delle tre gambe su cui poggia la Trinacria, per dirla alla Matteo Collura, come da Suo ultimo avvicente libro “Sicilia. La fabbrica del mito” e secondo cui simboleggerebbe il Mistero. Le altre due gambe sarebbero,per quanto riportato nel libro dello scrittore siciliano, il conte di Cagliostro, ossia l’Impostore e lo scrittore Raymond Russell, il Visionario.
Semplicistico ed offensivo per i protagonisti, ci è sempre parsa la spiegazione che ricollegherebbe la scomparsa di Majorana alla volontà di sfuggire alle premure morbose della madre e in tal senso è stata ripresa dal regista Amelio nel film “I ragazzi di Via Panisperna” laddove una bravissima, ma inverosimile, Virna Lisi “tiranneggia” il figlio trasformandolo in una sorta di fenomeno da baraccone additandoLo alle amiche e sfidandoLo a calcoli difficilissimi in tenera età. Questa tesi vuol addossare alla madre la responsabilità di quei tratti del carattere schivo e chiuso di Ettore che, alcuni non tutti per fortuna, ipotizzano. L’educazione rigida della madre avrebbe avuto un effetto devastante sull’indole paciosa del bambino prima e del ragazzo dopo, rendendo Ettore un disadattato. Stranamente anche la famiglia ha fatto passare questa ipotesi. L’impressione è che si volesse e si voglia liquidare in fretta la questione aprendo ampi spazi al dubbio che Ettore Majorana abbia deciso di sparire per altri, piu’ gravi, motivi. Ma non è di Lui che vogliamo parlare, dicevo ma della madre. Di Dorina Corso, in quel di Passopisciaro, rimane il ricordo di quei pochi che l’hanno conosciuta, non ultimo Peppino Cannavò (figlio di Ignazio, massaro ed uomo di fiducia dei tempi) che La ricorda come una madre dolcissima cui i figli, soprattutto i maschi cui difettava il senso pratico, facevano riferimento anche nel disbrigo delle piccole faccende di tutti i giorni. Un punto di riferimento nella migliore tradizione meridionale, siciliana in particolare. Ma non solo donna pragmatica, intenta a conservare e preservare l’immenso patrimonio economico e culturale della famiglia, no…anche altro. L’indole appassionata della donna ed il Suo grande estro creativo si può rilevare dai quadri donati alla Chiesa Madre di Passopisciaro, di recente restaurati. Nulla a che vedere con l’idea che viene trasmessa oralmente da chi l’ha conosciuta, tra l’altro, in età adulta quando fiaccata dall’estenuante attesa del ritorno del figlio che, alla morte, nominò nel testamento, appariva dura come ricordato dai nipoti Majorana e dai parenti Roncoroni, per citarne alcuni. Dorina che, senza acciacchi se non quelli dovuti all’età, toglie il disturbo una sera del 1965 dando, anche in questo caso, esempio di stile e di padronanza di sé “E’ così che si muore…” disse poco prima di sdraiarsi su quel letto che l’accolse per l’ultima volta. E’ serenità quella che si legge nella foto funebre (Era l’epoca in cui i morti venivano fotografati) mentre sgomento, smarrimento, quello che si legge nei visi dei figli sopravvissuti…altro che liberazione da una persona scomoda! Appare offensivo e pretestuosamente sbrigativo restituire alla storia il ritratto di un giovane Ettore succube della madre, un debole in definitiva, e feroce nel non voler mai piu’ tornare indietro sulle Sue decisioni, lasciando la madre nel limbo di quel dolore in cui sopravvisse alla Sua scomparsa per ben 28 anni. Un moderno Vitangelo Moscarda piu’ che Mattia Pascal, entrambi personaggi nati dalla felice penna di quel Luigi Pirandello che, pare, fosse l’autore preferito del Majorana. Insomma, appare inverosimile che un giovane, incapace di contrastare e tenere testa alla madre, trovi dentro di sé la forza di tapparsi le orecchie e chiudere il proprio cuore decidendo di infliggere tale pena alla madre secondo noi tanto amata e non subita. Di tono affettuoso, infatti, appaiono le lettere che Ettore scrive alla madre durante i Suoi lunghi soggiorni all’estero o, comunque, lontano da casa. Il tono è quello di un figlio affettuoso che rincuora la madre preoccupata, a ragione considerando lo scarso senso pratico riscontrabile in tutti i Majorana maschi, del figlio scienziato.
La descrivono come una donna brutta e malandata oltre che arcigna mentre le foto di Dorina giovane ne restituiscono l’immagine di una ragazza dai tratti gentili e morbidi. Il tutto prima che la vita Le presentasse il conto che sappiamo. Mentre gli altri dimenticarono o depistarono, Lei la madre continuò ad aspettare il figlio “Mi sentirà quando torna….” certa che non fosse morto.
A riprova che la verità dei fatti stride con ciò che racconta la storia nota, alimentata ad arte dai familiari e dai tanti studiosi di Ettore, è il quadro che la realtà di vita ci racconta. Una famiglia Majorana che, come racconta il pronipote Pietro in “La particella mancante” di Joao Majeuio presenta uno stile di vita lontano anni luce da ciò che ci raccontano. Se Dorina fosse stata la madre-padrona di cui si racconta, la facilità di certi costumi familiari non avrebbe avuto modo di essere. Ironicamente e con affetto, il figlio Pietro racconta di un padre, Luciano fratello maggiore di Ettore, come di un “simpatico puttaniere” di colui che iniziò tutti i maschi Majorana alle gioie del sesso e racconta, con dovizie di particolari, di una vita familiare libera da pregiudizi come non ipotizzabile a quell’epoca e non certamente in linea con l’idea che della famiglia Majorana si è voluta tramandare. Della zia Maria, sorella tanto amata di Ettore, racconta di una giovane lasciata libera di dedicarsi all’arte dando pieno sfogo alla propria creatività. Il fatto che, a riprova della severità della madre, si adduca il fatto che non tutti i figli avessero deciso di formarsi una vita propria, si evinca che la primogenita Rosina si sposò con Werner Schultze, soldato tedesco che aveva trovato rifugio in casa Majorana al tempo di guerra; Salvatore rimase nubile tutto intento com’era ai Suoi studi filosofi e religiosi; Ettore scomparve; Maria ebbe un’allegra vita sociale lontana dall’idea di una ragazza tenuta sotto le gonne della madre. La casa romana viene ricordata come una fucina culturale laddove si suonava Schumann e Debussy, si discuteva del pensiero di Mallrmè, Verlaine e Prevert e si cimentò in teatro con testi di Cechov, come ricorda Erasmo Recami in “ Il caso Majorana” ed in ultimo Luciano che prese moglie in età adulta. Certo, appare strano ed incomprensibile, ciò che disse alla futura moglie Nunni Cirino che pressava per il matrimonio “Come posso fare una cosa del genere a mia madre?”…perchè non pensare che che si trovi davanti al classico scapolo impenitente che accampa storie per non sposarsi? Non sarebbe il primo né l’ultimo. No, si è preferito addossare la colpa alla madre dipingendoLa come una tiranna da cui era difficile prendere le distanze. Una famiglia, secondo ciò che mutua la tradizione, condizionata dal peso dell’educazione materna. “Tutte falsità” si accalora Peppino Cannavò, citato poc’anzi. “La signora Dorina era una madre dolcissima, tutta dedita alla famiglia. Ricordo ancora le grandi feste che dava in villa per allietare le serate della figlia Maria. La casa era sempre piena di amici. Era una madre attenta e premurosa anche con noi, figli del massaro. Ci trattava alla stessa maniera e si preoccupava delle nostre vite. La ricordo il giorno che ebbe la notizia della nomina del professore Ettore per “meriti speciali”. Andava su e giu’ sulla terrazza – e me la indica – non stava nella pelle, orgogliosa del Suo figlio genio. Cosa c’è di male in questo? I miei ricordi piu’ belli dell’infanzia sono legati alla signora Dorina…mi fa male sentire certe storie. I figli non erano succubi. Erano solo amati ed accuditi e, d’altra parte, non ricordo che a Loro dispiacesse. Perchè ana cuntare ste storie?” Di Dorina Corso, in quel di Passopisciaro, Peppino – classe 1928 – non è il solo ad avere questo tipo di ricordo…tutti coloro, pochissimi per la verità, ancora in vita ricordano che “a Passopisciaro era tutto diverso quando c’era la signora Dorina”. Di quella che fu la tanto amata casa di villeggiatura di Ettore, spesso citata nella corrispondenza con Gastone Piques, dei vasti vigneti da cui la famiglia produceva un ottimo vino…non rimane quasi nulla. Solo lo scheletro di una casa che, certamente, potrebbe raccontare la vera storia di Ettore Majorana, che ne custodisce tracce e respiri, dei Suoi sogni, visioni e suggestioni quando osservava le stelle e l’Etna in cerca del mistero dell’Universo nel cui oblio ha trovato collocazione. All’annuncio della morte della madre, Luciano ebbe a dire “Ora saprà che fine ha fatto Ettore…” Era il 1966 ed erano passati ben 28 anni…anni nei quali la verità sulla sorte del figlio non fu palese ad una madre inconsolabile oppure fu tenuta nascosta. Si, adesso lo sa e riposa in quella cappella gentilizia del Cimitero monumentale di Catania che accoglie le spoglie mortali di ministri,magnifici rettori ed illustri clinici e nella quale riposa degna di portare l’ingombrante cognome, anche se non per diritto di nascita, e con essa comincia quella discesa e non solo da un punto di vista finanziario che oggi è la cifra della famiglia.
Questo scritto nasce dal desiderio di aggiungere un piccolo tassello alla vicenda terrena di una donna che, secondo chi scrive, non ha avuto giustizia sulla terra e che è stata usata come capro espiatorio in una vicenda familiare che, certamente, ha avuto altri risvolti che, forse, mai sapremo. Spero di riuscire a portare questa mia testimonianza ove possibile così come fatto in occasione della presentazione del libro di Roncoroni, svoltasi a Catania con sommo disappunto della famiglia a salvaguardia di non si capisce bene quale “bene supremo”.
In occasione di detto evento, ho incrociato il volto di un signore di età avanzatissima considerando il velo impenetrabile che offuscava le pupille. Ha sorriso al mio arrivo e lo stesso ha fatto alla fine di un mio intervento dove pressapoco ho raccontato ciò che ho scritto oggi. Mentre guadagnavo l’uscita, mi ha faticosamente raggiunto e mi ha ringraziato. “Io l’ho conosciuta Dorina…grande donna. Grazie per la Sua testimonianza”. Il tempo di riavermi dalla sorpresa, avrei voluto chiederGli notizie e riempire i buchi di un puzzle che fa acqua da tutte le parti e voilà…non l’ho visto piu’. Sono anche arrivata a pensare che l’avessi immaginato, presa da quell’alone di mistero che avvolge tutta la vicenda umana – prima che scientifica – di Ettore Majorana. Chi era quel signore? Cosa sapeva di Dorina e di Suo figlio? Forse non lo saprò mai come mai, probabilmente, sapremo quale è stata realmente la fine del giovane fisico catanese.
Silvia Ventimiglia – Settembre 2010
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Caro lettore, Ti comunico che il succitato Peppino Cannavò è morto – qualche mese fa – in conseguenza di un banale incidente domestico e che, pertanto, questa può considerarsi la Sua ultima testimonianza.